La Voce - anno II - n. 42 - 29 settembre 1910

404 LA VOCE mo la volontà $i sottomette alla conoscenia, la porta, la spinge, non la guida ; quindi quel carattere secondario, subordinalo, tec– nico degli pseudoconcetti. Nel caso secondo, la volontà, diventata oggetto di conoscenza, cessa di e~sere attiva e si fa passiva ; non è più un fare, diventa un avvenire, un succedere. La volontà è conoscibile solo in quanto av– venimento non più azione, fatto e non più fattore, risultato e non più impulso, essere e non più divenire; insomma in quanto raf– freddatasi e irrigidita a pura oggettività. Ma il concetto puro e la pura intuizione hanno appunto il vantaggio di conoscere la realtà tutta viva, tutta calda, attiva e palpi• tante e niente affatto irrigidita. Quindi il dilemma: o Il concetto puro e I' intuizione pura non hanno potere per afferrare la realtà, di modo che la conoscenza pura non è pos– sibile; oppure la realtà viene afferrala in istato passivo schematizzato e naturalizzato per mezzo degli pseudoconcetti. Ed ora il pseudoconcetto non è più un istrumento su– bordinato e secondario della conoscenza, anzi è esso solo la conoscenza vera, non più pseu– doconcetto ma pura, schietta e unica teoria e scienza. Ed ora il parassita posticcio che si nutre del miglior sangue altrui, non è più il pseudoconcetto, è i I concetto puro ! Ecco come il concetto puro pericola, mi– nacciato da due lati : dall'agnosticismo e dal• l'intellettualismo. Ed ecco, se non sbaglio, l'orip;ine storica " psir.ologica della doppiezza del sistema. Il geniale autore, odiando con ugual passione l'agnosticismo e I' intellettua– lismo, volle combattere ambedue queste cor– renti dominanti della tilosofia odierna e contro ambedue si mise in difesa e schierò le sue idee con due fronti in faccia ai due nemiti: Il concetto puro è Il punto avanzato ed espo· sto ove le due linee formando un angolo si incontrano. Guardato da un lato questo punto, cioè ti concetto puro, pare ed è un' astra· zione che si appropria i I succo vitale del pseudoconcetto e ne rigetta le bucce; dall'al– tro lato il concetto puro ooo si presenta più come utrazione oè pseudoconcetto nè con– cetto in genere, ma come un ideale lontano lontano, non mai raggiunto e tutt' altro che immanente e si muta in un trascendente mi– stero. Qµesto doppio carattere si spande sopra I' intero sistema. Esso è una Wella11sc/1a1111ng bella e viva, una fede, una religione, figlia della più calda sete di verità, concepita nel- 1'1nima grande dell'uomo geniale; - ed è uno schema astratto, una costruzione natura– listica che S<!rve,come gli pseudoconcetti, alla sola orientazione. Pare che lo stesso Croce, giunto al termine del suo gigantesco lavoro; abbia sentito anch'egli questo fallo. L'ultima frase dell'ultimo volume suona cosi: ... e io metto termine al mio lavoro, porgendolo ai ben di!posti come strumento di lavoro >. Comunque sia - tanto come astrazione e costruzione, quanto come fede e religione, il sistema ha la sna grandissima importanza. Esso ci aiuta e ci edifica. Vero, che il va– lore di edificazione è assai inferiore al valore logico, Egli è che il temperamento del Croce non è edificativo, non è mistico; vi è qualche cosa di borghese, prosaico, industrioso. La re– ligione del Croce, il vangelo della pura atti– vità come scopo a sè stessa, non reca grandi conforti; è una religione eroica, ma senza le passioni e senza le tragedie degli eroi. Perciò manca di poesia, nel senso solito della parola, anche lo stile del Croce. Ma vi è un fare oggettivo, schietto, modesto e fi. ducioso, una sobrietà che si colorisce arti– sticamente di tinte ironiche e maliziosamente spiritose. L'esallezza chiara, arida, scolastica delle deduzioni è vivificata da vera grazia e sveltezza napoletana. Si direbbe che il gran compaesano, S. Tommaso d'Aquino, si fosse messo di buon umore e tornasse a questo se• colo per comunicarci un mondo di idee mo– derne e laiche, ma non perciò meno nobili, e volesse ordinarle in disposizioni classica– mente limpide e colorirle di grazia e di leg– gerezza. A noi altri tedeschi è negata questa unione di forza ed eleganza. Tanto più do· vremmo amarne e cercarne gli esempi. Ne abbiamo uno dei pili vivi, dei più belli in questa grande opera. Dell'ordine, della bel· Jezza, della infinita ricchezza e fecondità che vi troverete, la mia recensione non vi dà che una pallida ombra. Karl Vossler. lflil1•: ,b11r.tr SEMPRE ROMA E CONTRO ROMA<*> San Pancrnio di P•rma, Villa Gandol6 5 Settembre del 1 910. Ma si figuri, egregio Prezzolini : - parli pur franco e rude sulle mie cosuccie e senza pietà. Non solamente non me t'avrò a male, ma cre– derò sul serio a un briciolo di quella stima che, non richiesto o sollecitato, mi tributa. E non è poco guadagno, da vero. Ella non mi conosce o conosce di me tutto il vile ciarpame polen.iico, il chiasso, il fumo che non mi è stato possibile evitare gittandomi a capo fitto e contro corrente, inerme sempre e abbandonato ovunque, in quella indefinibile sentina che vuol dirsi la nostra vita pubblica. Cioè Ella mi conosce per ciò che d'in– feriore, d'oscuro, intorno a me, con i fermenti delle male ire e degli interessi illegittimi altrui, ho suscitato. Colpa mia, tutta quanta, non vi hn dubbio. Dieci anni di aspro vigilare e conten– dere, mi impedirono anche la scrittura: intendo lo scrivere il quale meriti menzione e segua una traccia orpnica di pensiero. E quand'io scrivevo, in que11a solitudine che Ella revoca ora a suo titolo d'orgoglio, e disso• davo un terreno maledetto - l'indifferenza ci– nica della gioventù mia coeva - e scrivevo per solo atto e intendimento di cultura, cercando una bussola meno ingannatrice del sommuovere gli istinti plebei o dell' indulgere alle padronanze consortesche i tentando la rivendicazione di al– cuni di quei valori ideali e spirituali che hanno poi sorriso di tanto maggior frutto e fortuna a molti sopravvenuti, Ella era troppo addietro negli anni per ricordarsene bene ed a\'er io oggi, diritto, da parte sua, a una più sicura equità. Passo - vero? - in faccia a molti studiosi per uno scostumato fanfarone, non privo di qualche intuito e di alcuna virtuosità estempo• ranea, che pasteggia a chiasso e girandole e stamburrate e corre a metter in subbuglio ogni angolo dove quattro ragazzi immaturi d'alfabeto chiamino con l'esca d'una cinquantina di voti. E vedo molta brava, decorosa, onesta gente sor• ridere sotto e sopra i baffi, tra di compassione e cli stupore. Vcclu, ascolto, leggo, e da dieci nnni - non per insensibilità, giuro - lascio correre, solo preso dalla necessità del mio an– dare. Cinquanta voti, e scherni, vituperi, scem– piaggini in cento luoghi di varia .,gente: e mi sembra premio bastevole alla prova durissima. Qualcuno si volta; tale altro si ferma a udire : un terzo annuisce; un quarto si convince e pro· mette fedeltà. Cerco forse io un gregge sparuto; una parodia di guardia del corpo, una scuolctta di talpe ilwischiate dentro una formula ruf1iana? Oh, si è detto, presso a poco, e per eufemi– smi anche qualcosa di questo genere: e • va• gellanti • prima, e gio,·ani turchi • poi, ,·en– nero definiti, con la idiozia sconclu~ionata di certe voghe verbali non si sa come e quando nate, i miei amici raggruppati or qua or là dove il vento tira forte e In carogneria italica è più livida. Ma si è detto l'onninamente falso. Ella, :rnche non conoscendo me (e la prova legittima è ad ogni riga della sua nota che mi riguarda) ne deve con\'enire, se pur nella Vore ha aperto cd apre il posto a parecchi che vennero dal mio modesto solco e \'i permangono, pil) validi d•I primo oratore ma non tali che a lui non si ri– conducono come a quegli il quale in ore di to– tale oscuramento della coscienza e - badi - della dottrina italiana, si provò, solo, a tener , h·e le poche fa,·:lle di alcuni veri al cui negli• gere do,·emmo gli anni della sporchissima truff~l collettiva onde boccheggiano parlamento, stato e paese. Vero è che Ella, egregio Prezzolini 1 poco con• corda, o infrequentemente, con i Caroncini i quali son vicini ali 'opera e alla persona mia e con gli Amendola nei quali io riconosco, ringio• \'anito, il seme della mia lontana /den Litura/e; ma anche suppongo, deve esser vero, che della scrittura di tali ospiti nella Vate, Ella non :wn\ a ,·ergognarsi come di una e sudiceria italiana • gravida di colera. li che, parmi, vogli:t dire esistere in questo fortuito scorcio di polemica, un elemento che annebbia alquanto In ,·erit:i, o per lo meno le reciproche nostre posizioni intel· l'I Led mentloni della. V Ne ci han co1tretto a rinandar 6no •d oeei que1ta leuera d1 G. Bordli. Bibloteca Gino Bianco lettuali. I.a nebbia scese dal motivo iniziale contro cui Ella parti con la sferla. ;\li r:unma• rico che il motivo sia soltanto d'occasione; ma, Ella medesimo ammetterà che in esso è grande parte della materia disputabile nei pubblici pro• blemi nostri. Di gnisa che non sarà perduto il tempo e lo spazio da me chiesti alla Vore e a Lei. Avremo altre volte, forse, occasione d'in– contrnrci e di scontrarci e per necessità che possono avvicinarci più di quanto ora, magari, sia Ella disposto ad ammettere. Tutto ciò che avrà contribuito a schiarire il pensiero e le per– sone, le cose e le responsabilità, potrà giovare, allora. E quanto alla sferza, non dubiti. Son dis1>0s~o a prenderne e a darne. Ed è sacro– santo esercizio di igiene. Chieggo soltanto che si sappia bene reciprocamente su che si picchia e perchè si picchia. Dopo, tireremo le somme. 1f Ella, amante della precisione, della disciplina, ctclle rose romc sta11110, è caduto, per il gusto del piglio mordace, in qualche svarione di fatto, e in una confusione notevole di principii e rii argomenti. Lo svarione di fatto si riferisce pro– prio a ciò che mi rimprovera acerbamente: non conoscei-e la Toscana, se non quella delle « car– toline illustrate • e dei libri di testo « elemen• tari ». Sarà: le cartoline. illustrate sono un ec• cellente castigo alla memoria di molti storici ed esteti, in Italia, illustri. I libri elemerllari di testo non ingannano nessuno. Invece 1a lettera– tura superiore e la solitudine d'elezione, possono trarre a gra\'e inganno. \'ede, il caso presente. Ella crede che la Toscana non abbia risposto all'appello del Comitato Centrale di Roma, per suggerimento di « quella meschineria borghese, « taccagna e arguta, dimessa e ironica, di quel « positivismo e buon senso bottegaio 1 che for• « mano il carattere della maggioranza dei To– « scani •. Manco per sogno. La Toscana (o meglio le sue pubbliche delegazioni) non ha risposto semplicemente perchè nessuno l'aveva interpellata, nei modi dovuti fra la gente per bene. Il presidente di quel che doveva essere il Comitato toscano, cioè il conte Giovannangelo B.1.stogi, in tutt'altre faccende nffaccendato 1 si dimenticò degli .... interessati. Non una pubblica amministrazione fu richiesta di checchessia. Una sola eccezione: il Comune di Firenze1 nl tem1>0 della sua regolare rappresen!anza. 11 sindaco Sangiorgi rispose in modo aspro e negativo al Comitato Centrale, ma sa perchè, egregio Prez– zolini? Perc-hè Firenze, seconda capitale del Regno, era stata negletta nel programmane di quella che l.ei chiama la « pubblica pappatoria e la carnevalata di Roma ». Si \/0leva, inson1111a, una fclta, anzi un fettone della torta in luogo. Ma dimenticò l'avv. Sangiorgi di promuoverne la possibilità, presso a poco alla maniera <li Torino: aprendo la borsa dell'erario comunale, indicendo una risoluta iniziativa da Palazzo Vecchio, appellandosi alle tasche dei cittadini. Forse il Sangiorgi conosce nell'identica luce di Lei, egregio Prez:zolini, la maggioranza dei to– scani e non avrà voluto nzzardarsi. Prefcrl , la protesta sdegnosa e il rifiuto di collaborare con Rom:\ in Roma. Ma la logica dov'è? i\oti che il rifiuto fu un atto meramente personale del sindaco; non una interpretazione controllata del sentimento pubblico. A Torino il pubblico con– fortò l'iniziativa dd Municipio con oltre sei mi– lioni di pubblica offerta e, sia pure per il solo rito, l'impresa fu indetta nel nome e nelln gloria di Roma italiana. 11sentimento pubblico di Toscana non avrebbe in misura proporzionale, risposto, o consen• lito? Quest'è una presunzione che io non discuto. Me ne sto ai fatti, cioè alle cose come sla11110, a punto in salvo dalla rettorica anche negativa. I fotti, intanto, mi dicono che nessuna publJlica amministrazione, direttamente interpellata, segue la platonica traccia dell' e.x Sindaco di Firenze. f'er quanto tardi, non tacendo delle condizioni generali disastrose, dei bilanci singoli, tutte ri– spondono e chiedono la ragione d'esser stale finora tenute all'oscuro e trascurate. In nitre pa– role : io, che mi ero fatto a combattere proprio uno stato d'animo pubblico del genere di quello ch'Ella mi definisce e dipinge, ne ho trovato In smentita recisn di questi giorni a Livorno e n Grosseto, in Arezzo e a Lucca, a Pisa e n l\lassn Carrara. Siena, con il fior dei suoi mcrcatanti, con la discendenza di quei politici, cli quegli scrittori, cli quei fattori, che Ella, Prezzolini, mi accusa cl' ignorare, da qua~i un anno, e prima d'ogni altra, spalancò la cassa del suo ~tonte de' Paschi, tutta presa del ,·ivido orgoglio di recare in Roma un segno stilistico della sua arte, della sua storia, della sua personalità cittadina. Errore, pappatoria, affarismo artistico, contri– buto alla e caccia delle vanità e delle ~inccurc •? Sarà : ma le cose, :1.nchein Toscana, stmmo cosi. * Quanto al resto, bisognerebbe volgere a be,I altro discorso. So i doveri dell'ospitalità, che si• gnificano sovratutto misura, e non posso troppo offenderli. D'altra parte la confusione da Lei, signor Direttore, fatta, in ordine all:t mia opern pro-esposizione di Roma, non mi consente di tacere. L'Esposizione non l'ho inventata, indetta, di– segnata io. Se, per assurda ipotesi, fossi stato tra coloro in grado di dare e far prevalere un consiglio, certamente il modo della celebrazione giubilare sarebbe stato assai diverso. E anche in Roma molta parte di quelle atth·ità e di c1uelle prove di civile redenzione che Ella mi rimpro• \'era assenti, avrebbero, in caso, poi trovato posto. Si preferì ,.una \'isione storico-estetica della pe• nisola, dalla Rinascita a noi. Uno sproposito? Concediamolo pure, ma è fatto. E vi hanno con• tribuito gli uomini più illustri delle gerarchie ufficiali, con alla testa gli uomini di pura dot– trina, i consulenti solenni delle grandi occasioni. I così detti scienziati positivi vi hanno dato mani e piedi. Il sindaco Nathan è il vertice della pi– ramide. Ferdinando ì\lartini, un toscanissimo, dettò la circolare-programmn, in cui, il deno~ minato « Foro delle Regioni • costituisce il per• nio. Socialisti, repubblicani, radicali, con l'intero blocco « risanatore • puntarono sulle feste del 1911, la le\•a massima per cacciare i clerico-mo– derati di Campidoglio. Il programma era quello: i modi di attuazione prefissi. Discutere, bestemmiare, sferzare, inchio– dare nlla gogna era possibile, lecito, desidera• bile, a seconda del libero intendere altrui : ma il sasso lanciato, non si ritraeva più. 11 1911 sarebbe venuto medesimamente : le baracche sa• rebbero state erette, i milioni spesi, la respon• sabilità dell'intero paese impegnata e se il ri• fiuto parziale di questo e di queJla avesse con– tribuito ad allargar~ l'ombra diffidente e ostile contro Roma nel paese, più facile anche sarebbe apparso un diversivo di responsabilità al tirar delle somme. Ora, si può aver di Roma e dello scannatoio p'lrlamentare che oggi la rappresenta ; si può, aver del governo e della viltà istituzionale un concetto anche più feroce di quello che noi ab– biamo (dico noi, perchè la Voee non sconcorda e non supera in tonalità ciò che da auni io scrivo, dico, professo contro lulh); ma non si può ri– maner freddi dinnanzi al pericolo che la cele– brazione dell'anno venturo, in Roma, spappoli in una enorme mangiatoia da truogolo, o far· netichi per una grottesca mascherata cli paras– siti. Quando mi accade di incontrar taluno il qunle « ghignando di sardonica superiorità, rutta: - che volete fare se non un fallimento memo– rabile?» - mi tasto bene i talismani vitali, per• chè non si sa mai, ma sovratutto mi Jomando tra me e me che razza di contributo porti si fatto sdegno e tanta altezza d' intendimenti, al rinno• varsi (si dice cosi, vero?) della patria. Se siam giunti a tale, giù, per dio, al tronco, ma sul serio ; non per le riformetterie bloccarde e gli aggiustamenti rappresentativi. È stolto cre– dere a una forza di resistenza grande in istituti rosi, come i nostri, da tutti i bachi clandestini e vuoti d'ogni assistenza ideale. Una minoranza decisa a correr l'alea di mo• rire (non a morire, chè non muore mai tutto il manipolo) può tentare l'assalto al ridotto cen- 1rnle, con la quasi certezza della riuscita. Mino• ranze cli tal genere non le dà che la cultura temprata in solitudine, ma pur dentro la realtà viva dell'ora storica. Siamo ripeto, a tanto? Non pazzesco od ozioso dovrebbe ai più e meglio disinteressati apparire il quesito ; nè intempestivo ormai. Le prove ripetute, invadenti, assorbenti di una impotenza feconda soltanto di vermi, non iscar• seggiano da Roma alle provincie. Dunque? Lascio a Lei, Prezzolini, accogliere o meno il mio spunto alla discussione. Oggi, il limite si trova, per me, assai al di qua. E di qua rimango, anche perchè, per conto mio da anni ho già risposto al quesito istituzionale. Non vedo terreno ad una di quelle minoranze cl' at• tacco di cui sopr~t, il qual terreno non apra, ad esito favorevole ottenuto, ipotesi ancora più gravi e disastrose. E però sono rimasto nell'orbita, sforzandomi ad un 'opera disintegratrice critica del mnlafTare imperante. Malaffare da ambo le rive, inten• diamoci : quello che si consuma per i sacrnmenti dell'ordine e quello ~he si prepara con l'esca so,•vertitrice. Ma anche mi sono accorto che non bastn pen• sare e scrivere: bisogna muoversi, adunare, fare, mescolarsi, penetrare per l'amore o per la forza, E bisogna tener per fermo alcune cose, idee. parole sovrane intorno le <1uali è possibile an-

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