La Voce - anno I - n. 44 - 14 ottobre 1909

gliatissima l'esistenza. E però ho sempre pen– sato che la riforma della scuola media, per ciò che riguarda l'ordinamento degli istituti, non è questione s1>eciale di questa scuola, ma di tl!lto l'ordinamento della istruzione pubblica, ed ò quindi anche un complicato problema soci.de. Alla soluzione del quale gl' insegnanti secondarii credo non possano meglio contribuire che difendendo la scuola media classica, per mantenerla quan10 pH1 rigorosamente ò possibile, conforme al suo principio, ed e~ercitando per questa vill una Noi che non A:1che l'altro giorno, pt'r chiudere definitiva– mente una 1>ole111ica sul nazionalismo a Trieste due giov.1ni giornali~t1 ha11110convenuto di bat– tersi e di fatto si sono h~1111tialla sciabola nel cortile di un p<1lauo tli Udine. Due tre, quattro assalti, si sa come avvit"ne, e due o tre o qu.1ttro sciabolate: non 50, nel c:1so, uè quali nè quante, poichè non ~ro io I:\ a dari<>, nè sono qni ora a contarle; ma i giornali riferirono di Rciabol:lle, e certo la questione era tale che le mcrirnva. Non dissero i giornali con quale animo si lascias.sero i contendenti; ma è uru:rno e facile a imnrngin:ne che l'uno fosse contento cli averle date, in nome dtlle proprie idee; e l'altro anch'egli, in nome delle proprie idee opposte e diverse, si dichiarasse 50ddisfo110 di nve1le ricevute. Cose, ormai, d'ogni Sèt1i111n11a e d'ogni giorno. Un tempo si ballewrno frn loro panicolarmente i nobili i oggi, Mnzida uu pezzo usano battersi fra loro, promiscuamente gli avvocati i letternti i giornalisti. La società ca:i.mbia il pelo più facil– mente che non muli i costumi. Ci sono molli che stupisc-0110 di questa persi– stenu del duello ne' tempi moderni, quasi si trat– tasse di un arrncrouismo dei costumt'. Ma da più di cent'anni ,I duello non è che una pretta istituzione borghese, conveniente all11 società uscita dalla rivoluzione francese, come l'antico duello conveniva alla società nobiliare e cavalleresca che la rivoluzione francese abha11è. Proprio mentre il terzo stato, nella sua legislazione, condannava il duello c1.,me un attentato contro le persone, fra i suoi !4tessi legifcrntori, l'iuè fra deputnti, avvocati, gioruRlisti, ri110rgcva il moderno duello l>orghese. Don k.odrigo non c'tra più e non poteva più b.11- leni i ma gli A,:zeccag;uhugli abbond.1vano, si moltiplic.1v.1noj cominci,1rono a battersi, essi d presero gusto e si ba1to110 irncora. È ben vero che uell.1 borghesia c'è u1111 quantilà considerevole di persone le c1uali non hanno in– torno al duello un'opinione molto risoluta; e si domandano a ogni occasione se provocati o sfi– dati si dovr:muo CAv11llerescamente b.lllere o se coscie11ziosamente dovranno rifiut:ue di battersi; come ci sono !Rnli che pass:ino gli .1nni a doma11- darsi e domandare agli .1mici se debbano 1>rendere moglie o se non debbano prendere mog·lie; e se siano d.1reputRre più fortun.11i e felici gli scapoli ogli nm• mogliati: Prendo moglie o 11011 la 1>rendo? Mi batto o 11011mi batto? Ma coloro che si rivolgono ora l'una or.i l'altra e piil spe:..so tulle e due le do· mande, co11 l'animo i11ce1 lo, spaurito, ;iveudo di una 11101ithe il concello cli 1111uemico che li af– fron1i con la spada in pugno, e nutrendo per un avversario in lh;èllo maggior sgomento che per una moglie; se anche in pratica non si battono, sono sempre quelli che incitano ~li altri a battersi, che fanno loro circolo intorno, e che si erigono ogni volta n giudici e a cronisti (li quel fattf:rello o di quel fattaccio a cui, secondo i casi, si riduce sempre un duello. Poichè è noto che un duello non riesce mtll11più che un fallerello o 1111 fallaccio di cronaca: ed è un fatterello anche c1ua11do il sangue scorra tragica– mente; come è un fattaccio auchc qua11do tulio sia predisposto d'.tvanzo perchè il S.'lngue 11011 st.:orra. Nessun duello è mai riusci io a v.1rcare i limili della cronaca per i11v.1derequelli delln slorin: ci sono sui– cidi, ci sono persino omicidi stmici, 11011 ci sono duelli che aLbi:rno meritato e che 1:onservi110 u11a tale quMlìfica. li duello nnsce e 111uort:dissolto eutro i lambicchi della cronaca mondana, e tolti i casi nei c1uali esso è l'epilogo unico e tragico di do– lori di onte e di scingure che portano nelle;:;loro cupe origini seg1111tal,1 lrbta fatalità del sangue, il duello nasce <la 1111 1>ettegolez7.o per morir sof– focato in un cumulo tli chiacchiere, sorge da un atto d'incoscienza o dì villania ver morite tra_le iridescenze del ridkolo. Il duello è una istituzione dop1>1.m1e11te borght'se, e per gli nuori suùi e per gli spetta101 i; cosi supiuamenlt: borghese, cosl vuota di ogni sig11ificazio11ec,1v,1Jleresca,cosi sprov– veduta di ogni sc11t1111e1110 militare, che nell'eser– cito stesso, il duello accenna rapid:uucnte a scom– parire. Ormai 11011sono gli ufficiali nè i sottu!• ficiali <li cav.1lleria quelli che diwno il maggior LA VOCE naturale funzione ele1ti"a, che schiarid la generale coscienza dei ,·eri termini della cosa e premerà sui naturali bisogni economici 1 s; che essi si creino da sè gli organi adatti alla propria soddisfazione. Del resto, se mi si consente di dirlo, tutte le ingeg~ose escogi– tazioni de' pili nuovi e mirabili tipi di scuole, e tutte le felici discussioni che ciascuno di 411esti si tira dietro, mi paiono questioni di lana caprin.i. da lasciare a <1uei pedagogisti di professione, che ne sono andati sempre in cerca. Giovanni Gentile. ci battiamo. co111ingente alle cronache duellistiche, sono i de– pulati, gli avvoca11, i girm1alisti e i le11e.r.1ti; tutla gente che il più delle \'Olle 11011 sa tenere nem– meno sopportabilmente la <iJ>ada in nrnno: giovani che quando erano studenti di liceo ~i fa:ce,·ano stemlere dal medico il ccnific-ato di in.1bili1à per Olltnt:r l' e-.enzione clagh esercit.i gin11astici della palestra, :l11l1che :111i111e cl1"-.a11che11té.e.s degli esercizi coi lmstoui l:tger. Ebhent: noi S;1remo anche noi per alcuuc parti borghesi. Anzi, si:11110certamente borghesi tutte le volte rhe 11011 riusciamo schiettamente nè plebei nè aristocrntici; ma la borgh,seconcezionedel duel– lo da 1111 pezzo 11011 è più la nos1ra. Noi 11011 ci do• mandiamo nrni se JH:r le nostre questioni <li cri– tica d'ute o di h:tli:ratura ci bsitteremo un giorno o 11011 ci b,11teremo, e certo è che 11011 abbiamo mai frenato l'impeto della penna nel timore di vederla i11crociars1con J,1lanrn di una s1>11da.Per noi il letterato che si b.1tte non è un letterato, ma è uno spad:1cci110che scrive. Per l'arte, per la cri1icn, per l,1 leueraturn, 1>er il socialismo, per il nazio1mlismo 11oisi combatte, quando si ha vo– glia, ma non ci si• bAlle 111.1i. Combattere cì può semhrare un dovere; b.llterci ci sembrerebbe una ostentazione rumorosa e ridicola cli questo dovere. l'erò, c'è ge111e che ci nccuAAdi m.lnc11nz,1di corng~io fisico: o Addirillur.1 di coraggio morale, e con c1ueste due .iccuse molti credono senza più di a\'erci 1mliati dal campo della letteratura, della critica e del giornalismo italiano; credono, o 1>iultos10 sarebhero mono contenti cli poter ere• dere che siamo ri11ì1i,morti, sepol1i. Esce se11im11- 11almtnte a ~lilano un giornale illustr:uo e p111>az• ze11ato che va acc1uistando le1to1i per 11111'11ltro che l)er buon gfodi7.iO in cose di let1ern1ura O di critica, il quale s'è lasci.1to andare II pubblicamente giurare che non ci nominerà mai 1>iù: « 11011 nomi– neremo mai pi(1 il giornale fiorentino La Vou nè il suo direttore uè presumibilmente i suoi col111bc– r.1tori ecc. ccc. Jt Torna alfo mente una delle scene più festcvoli del comico /labng-trs, là dove si fa divieto ai convenuti di 1,ronunciare il nome di Dio, fosic anche amalgamato in un ezi.1ndio, sotto 1>e11.1 di ciuquant:t centesimi di mult.1; e nemmeno 1>t1r vero che uomini di tealro si siano lasciati arllla– re seu.e I avvedersene a 1111a così pa1e111eeminuscola parodia. Eppure è 1111 pullulare e uno !k:ulell:ue di rabagassini 11ttorno a 11oi, 1111 11flannarsidi giovani quasi letlernti, e di letlemti quasi giovani, i quali credono sul serio di compiere 1111:1 missione rifiu– tandosi di nomiirnrci ull'occ:isione opportm1:1 1 ri– fiutirndosi di stenderci la mano pcrchè noi ci ri– fì111iar110di s1e11clerl.1loro coperta cli un lungo gunnto e m1111itadi una spada. Noi siamo critici e scrittori cli\poc11 o di mala fc<le d.11 momento che non ci llich:arlamo dis1>0sti a pa~ar di 1>erso• na, come dicono es-.i con el~ganM d'espressione che rasenta mollo da vicino certe eleganze dei co– stumi greci. Costoro h,1nno un concetto 11011 meno nu!!schino dei dirilli e dei doveri dello scri11ore che non abbiano della libe-rlà in sè della stampa. 1.-:-.sendonostri confrntelli ci sfidano a duello; se fossero nostri min:stri ci sequtstrebbero l'articolo e il gio, nale. Ma queste accuse sono, per non dir peggio, l'una più sciocca clell'ahra. È sciocco dire a u110 scrittore: tu non hai coraggio mornle quando so110 appunto le cose che egli lrn scritte quelle che ha11110suscit:ito lo scandalo, r.velata I' ingiu– sti7.ia o lu b111llurn, modificata o con l'ira o col sorriso In posizione morale di un uomo dinanzi al pubblico. Ed è poi fuod di luog·o accus11re uno che fa professione cli critico o di scriltore di po– chezza o di mancan7.a di coraggio fisico. Il co– raggio fisico è una bt:llissima cosa, e 11011 pure iu voi e in noi ma in tutti; ma non sempre è ugual– mente bellissimo nè sempre utilissimo, anzi in 1>iù d'urm condizione 11011 è nè necessHrio nè utile nè bello; per esempio ogni volta che si di:ocute di critira o d'arte, o auche di gfornalismo e di nazio– nalismo, è evidente che il cor.1j!gio fisico non sen•e a nulla, a meno che la discussione non av– venga in mm co1111>agniadi gente che ragioni coi piedi e che voglia concludere con le mani. :-.l'oidella Vore 11011ci battiamo e 11011 ci scaz- zolliamo mai nè fra noi nè cogli altri proprio perchè scriviamo nella Voce, ci~ J>erchè possia– mo dire oggi e diremo domani, come già dicent• mo ie,i, 111110 quello che in coscienza ci 1,aTee ci pi.te~ e ci conforta e ci rallegra di e.liresu tutto e su 11u1i,cosicch#I quando i pen<iieri nostri sono scri11i, e gli sriitti sono s1;uu1m1i, a vederli an– tlllre tranquillamcnle di qua e di là come vanno, e riusci!"e al pu1110dove sono diretti e nl fine per cui furono dedicati, noi ci si sente cosi lieti e soddis.faui che 11011 s' ha nes<:1111:1 ragione di vo• lerc attaccar briga pai e di menare le mani. Se ques10 pare;:;a \• e.ii efletto di tristi tempera– me111i, di invidi inge1,;11i vi lnsceri:mo credere. Per noi questa è naturn ed è educ11ziont•. Che ,•olete? Come uomini e come letkrat1 siamo naturali ed educati cosi. 11 nos1ro ufficio C!"ediamo doverlo compiere, in qnesto e non in altro modo, con un tale animo, senza crucci, seuz.1 irt- che non siano l'es1lfessione itrtistica o morale del nostro pens·ero esenz,1 inimicizie che durino oltre la lettera. Voi vi credete di essere da 11oiodiati, con furore e con· inimidzia :lV\'er<mli; \•i fi~urate un co1111>lot10 con– tro le vo"lre co1111>:lg11ie, contro le vostre cose, contro i vo-.tri g11,1cfogni e contro l.1 \'Ostra nomi– n:rnz.a; e 11011 è nulla <li tutto questo. La prova è che non mai una volta nbbi111110 '""'lato di voi stnza ;1ggiungert1 delibera1.1men1e il nome al cc– gnome, senza quel falso adombrnrc che il giovine di non generoso animo ra lah•olta dinauzi al giovine suo eguale. L,1prova è che abbia1110dello m,1le dei grandi, dei t111aliern as,ai piì1 comodo dir bene, e abbiamo dello bene dei p1ccoli, e degli umili, nel pensiero che la lode nostr,1 11avrebbe raggiunti ma non sollev.111in Mmbizione e in orgoglio. e la prova migliore dellA equanimi1à e se1e11i1;\ no– stra verso di voi I.i vole1e? Cbbene : Volete scri– vere nella Voce? Vi si aprono tulle le porte, senza invidia, come a fratelli e ad amici. Venite, venile, se volete, e im1>11rerc1epur qualche cosa. Non faremo di lauti banchetti, come usate voi, no, ma di belle passeggiate; non ci s1>e<liremo 1tlto-so– nau11 salutazioni nel CASO di una vittoria ; nu in com1>enso 11011 ci telegraferemo il compiacimento nostro in c:1sod, 1111a disgrazia che ci 1>0ssatoccare per via ... Non ci faremo l'un all'altro de' soflietti, nu, in c<Jmpeuso ci diremo privatamente e pubbli– c.1me11teh, vemà, tutta In vt'rit;\, niente allro che la verilà, e non per questo ci batteremo nè ci scauottert-1110. E farete quanta gi11n:1s1ica e quanto sporl vorrete, nelle palestre e nelle sale di scher– ma, e nei cir<."011 di canottaggio come ora forse 11011 usate . .Questo è bene e vi fotà beue. Non a tutti che lengouo la 1>e111u1 in mano~ lecito vivere e morire ra11r.11>piticome Giacomo Leopardi, o gottosi come Vittorio Alfieri. ~la l'import.111te è questo: che 11011 provi11te il bisogno di 1>assardalla pedana della sala di scherma sul terreno dello scontro, oppure che per una soverchia ammir.1- zione della romanilà non rifacciate in mezzo a una via i pugili o i gladiatori romani, mentre intorno a voi non c•~ nemmeno 1111amatrona della deca– denza che J)Ossa inebbriarsi della vostra bestia– lità pug11ace- 1 ma solo r.1gazze dalla fint'stra, che si mettono a gridare \'eden do due che si ac01pigliano. E in ogni caso, se :rnche non vogliate far co– munell.1 con noi persusidetevi della necessità che nvete di meglio educarvi alla scuola della sincerità e dell'onestà vera non dico pili morale, ma lette– raria. Si tratta insomma non tn1110di abolire il duello, per sole rngioni morali, quanto piullosto di ricostituire e ricre14re per rngìoni ideali nella sua vera intera e genuina anima e figura il lette• rato, lo scrìllore, il pens111orecome è sempre stato e anche: il pubblicista come deve essere. Noi non vogliamo costituire uua lega C"risp0t1ia11,1, cli lette– rati contro il duello; ma siamo per una intesa di le1tera1i e cli scrittori a 111110 prò della lelleraturn e della cultura e anche di quella parte di lellera– tura e di cultura che oggi s1 chiamit giornalismo. Perchè in fondo in fondo voi che \'i battete siete letterati \enuti su male, con il terriccio delle vo• stre origini plebee, e con i 1>rofumi delle false am– bii.ioni aristocratiche, col vostro male larvato anal– fabetismo con la vostra insunìcieuza critica con la vostra incultura e con la presuntuosa .1ri11di ca– valieri e di gentiluomini. Siate meuo gentiluomini e più letterati. SiAle meno ignornuti e anche meno imbecilli. Quando la violenz11di una nostra critica vi intimiclisca, fate 1111n cosa, prendete in mano il Caro o il Baretti o il ~lonti e rinfrnncatevi sulle loro pagine del tremore che vi d;111110 le nostre. Prima di sfidarci a duello o di assalirci a pugni, o di buttar I;\ l'accusa che siamo gente senza co– rnggio rileggetevi il Cnrducci e p0i cercate lè volle che si b:mè egli a duello col Rapirnrdi o col Guenoni o coi vostri simili quando voi non era– vate ancor 11.tti,ma pure era\'ate già vivi, e intorno gli facevate chiasso noia e fa~tulio, p.1peri, pappa• galli, vi1>eret1e e cagnuoli. Non che fra noi, inten– diamoci, si presuma che vi sia un C.1rclucci; ma anch'egli commise poleminando le sue brave in– giustizit", come può darsi che le abbiamo qualche volta commesse anche noi; ma e le sue e le no- Bibloteca Gino Bianco 185 stre in quanto non sono senza nome e non furono spedite per lellera pri,•ata, figurn.110r:el libro delle nostre publiche azioni e sono Il per essere giudi– c:a1e. Via, via, provatevi a finire cotesta commecliohi dei duelli che nascono, come dite, in seguito a una polemica, e che nel fatto .st101noalla \'eri1f\ e alla giustizia come 1I fungo ,1I tronco dell'albero i cui mmi si sollevano 1)Crirragg:i:lrsi di luce. Non è il po– lemista che fa nascere il duello, ma è lo svadaccino nascosto sotto i 1>111111i del letterato che lo provoca e che lo accetta, lo Slllldacciuo J)Cr tempernmento e per \'anità, che dice 1111a sera agli nmici: C11ri, sapete? la mia questione con il Inie sta per finire; questa volt'a gli ho risposto in modo che non può assolutamente cavarsela senta m:uufarmi i padrini. E ciò dicendo si frega le mani, Il prurito de:lla zufla già glì serpeggi~ per le membn, gli accende il sangue, gli piu1oi i neni : e quell'uomo 11011 appartiene più all,1 repubblica lellerMia, ne~ fuori, è un piccolo bandito, quando 11011 sia un letterato da domicilio coatto. Ora, se ,,e l'abbiamo a dire, nella re1lubblica s:inla e serena delle leuere noi, cari confratelli, siamo nati e vogliamo vh•ere e moriremo senza pili 11,cirne, cittadini e repub– blica11i. Ceppe reIlo. LA SPEZIA Per capire intimllmente e complel.11111enteque– sta citi:\, cosi aflascin:1111enelle sue indicibili bel– luze naturali, e cosi atrofica cd ;ipaticn nell'anima - e per ,•a~amente intuire ciò che C.'lSa potrà es– sere in 1111 futuro non molto 1011111110 - bisogna sopra gli llltri consider11re tre falli: 1' La Spe-zia è cillà nuova; '2° L'I Spezia t staia la creatura. e, fino a poe'.olempo ra, la schiava della Mari1111 mi– litare; 3• La Spezia attraversa oggi il periodo di crisi della sua llllber1.'1. 1• La Spezia è cillf\ nuovn: infalli J>OC"O pili di 30 anni or sono non nv~bhe po_luto sostener degnamente che la dtfinizione di gro~<iaborgi'lta: per la sua slrnda ptincipRle, as.sord,11a Okgi J,1 scampanellio cli tram elettrici, scorreva, in 1emp: che la generazione or11al tramonto ricorda benis• simo, un canale scoperto e l)ùCO pn1ito. Adt:!ISO invece essa s'avvia a diventar comune cli 100,000 abi1.1nti {*}; ecittf\ di prim'ordine sarà tra non molte decine d',1nni. Da ciò deriva u1111 serie di conseguenze in11>0r• tantissime. Non esiste qui trn,lizionc nè d'ar1e nè di storia : la S1lezia è nominatA nei voltami dei cronisti liguri piì1 spes<10 per occa.sionr, e per fatti di non molto interesse gcncralti; ed ha tal ricchezza di monumenti d'nrchitellurn, di i.cui• h1r11e pilturn, che Je dila delle due mani son sufficienti a co1lltggi111"e;a uomini noli diede ori– gine; ma qutsti 11011 si giovarono, J>tr svih11lpare il loro ingegno, dell'ambiente nativo, nè l' am• biente nAtivo impro111aro110della loro operosi1à. Non esiste all11 Spezia una nobili:\ d'antica ori• ginc e cli notevole glori.I: le poche famiglie.che posseggono titoli autentici, e le 1>0ehis.~irneche abitino un pal:izzo avito adorno di qualche pie• colo tesoro d'arte, oggi vivono come in una rocca im1le11e1rabile, dove non freme alito di vita u~ \ 1 ecchia 11~nuova, Non uislono qua-.ì aflatto nè p11rticolari industrie nè p:n1icolAri comruerci, che diano alla produ7.ione industriale del luoio e al– l'.1t1ivitl\ sia pur bottegaia uno speciale indirizzo, poichè le note cave d'Arenaria e di 1,orfido sono eccezioni miracolose: l'11gricolturA, sebbene s'av– vantaggi di qualche ricercato prodotto, 1wu1ne d;\ copia tale da renderlo cnratteristico nel commer• cio na7.ionale. Non esiste in citi~ nè tribunale nè vescovado per i qtmli, con disagio e disapprova, zione dt:i gi11-.1i, 1:t Spezia •Jeve dipendere da S11r• 7.Atia.I.o sviluppo ra1>ido ha reso poi fatale il per– dersi dei pochi costumi indigeni e persino del di11let10, che 11011 è 1>arl:lloquasi piì1 da nessuno con purità, e un di-.gregarsi e confondersi delle f.uniglie spe7.Zine nel sopra\'venuto cos11101>oliti– s.mo. 20 L11S1lezia è naia dalla Marina dn guerra e-d è staia sempre alla sua dipendr:nz..1. l':: 1111 fat- 10: Napoleone ha se-guaio il dc:,tino della città; il Ca,•our lo ha ratificato: il generai Chiodo lo ha tradotto in allo, disegmmdo i piani <lei R. Arse– nale e sorvegliandone la costruzione che fu co– minci:lta nel 1861. Tutti gli stupendi dintorni, le mer11vigliose rivt dtl KOlfo,furono ridotte a stru– mento di guerra, e i forti occhiCJ:1-'::Ìarono d11c,gni parte, sul mare clivin11me11teauurro. La condi– zione in cui l.1 Spezia si trovò.per tanto fu cu– riosis.-.ima: l'elemento predominAnte della sua popolazione si venne compouendo di operai e di militari i acc.1uto ai quali, e per necessità di cose, si S\'iluppava 1111 numeroso ceto di impiegati in grnn parte go\'ernativi, e una piccola borghesia di commt:rcianti grandi o piccoli, d'ogni imecie e colort", Più importaute è però il fauo, che le in– finite costruzioni mili111riobbligarono il governo a 1mmerose e laute espropria1.ioni di C:llApecchie e di povere terre, ed a bnndire importanti appalti per fornitura di mano d'o1>era o di 111a1eri111i, e di ,•iveri in seguito per le 1ru1,pe: sorse quindi, a fianco della sc.11·sissima ari.stocrni.ia , 111111 grossa borghesia di origine abbastanza umile, che rara– mente poi smenti uei gusti e nelle idee il suo Slln– gue. Per decine d'anni la milfaia di terra e di ma!"c, ma sopra tutto la m.1riua, pesò sulle sorti e sulle condizioui ciel paese, e provocava interessi e conflitti cl' interc•ssi: ~quadra in r)()rto, per es., t•)Ogci c<>nt1 71.~i 1!,i11n1i, Ji cui 11-17', ia città. A que•1i poi d~Tono o<trc •:;>g-i11nu 8.61Suomini Ji u11pr- ~1.1t-i1i, e ■hrcn■nli Ji ~-ui.:oo.

RkJQdWJsaXNoZXIy