La Voce - anno I - n. 44 - 14 ottobre 1909
OCE Esce og-ni giovedì in Firenze, via dei Robbia, 42 ,:I, Diretta da GIUSEPPE PREZZO LINI .;J. Abbonamento ;Jer f; Regno, Trento, T deste, Canton Ticino, L. 5,00. Un numero ce'lt. IO. I TRE Una scultura i1aliann, oggi come oggi, non esiste. Se la pittura si tro\'a, come dissi al- 1re volte e come dirò ancora, in catth•e acque, la scultura è addirittura morta. Mori un brutto giorno che Vincenzo Gemito - il quale insieme a tante brutte cose dava pur fuori a volte qualche opera di gran pregio - sprofondò in un abisso che è peggio del sepolcro, e nn giovanotto pie– montese - .Medardo RossO - stanco e nauseato di veder sè schernilo e incompreso e le proprie opere, accettate dai giurì delle esposizioni nazionali, nascoste poi, per far piacere ai Dazzi d'allofa, negli anditi bui e dietro le casse, do\e il buon Favretto, che se non altro era un galan1uomo, andava a ripescarle, infagottò i suoi primi capolavori (le marJJarilas che i porci d'Italia avean peslicciato grugnendo) e disse ciau alla pa• 1ria per cercare a Parigi beslie meno schiz– zinose. ~1orl, è morta e chi sa quando o se risorgerà. ~la perchè molti non lo credono ancora e qualcuno ha persino il coraggio di volerla far passare per viva e \ 1 egeta, non sarà male, credo, meuere un po' il coltello nel buzzo di questo cadavere puzzolente. Per vedere ! Lasciando dunque :mdare, com'è dovere di chiunque s'occupa d'arte sul serio, i Calan– dra, gh Jerace, i Ximenes, i Ferrari, i Cifa• riello e che so 10 - chi si ricorda di tanli nomi famosi? - tutla insomma quella coorte apocaliuica di servitori del diavolo che da Chiasso a Taranto e da Trieste a Nizza pianta annualmente in ogni città italiana monumenti e monumentini, i quali sono come gaslighi per i nostri lanti peccati, anche quei pochi scultori che la stampa quo– tidiana, quindicinale o mensile strombetta e strombazza in ogni occasione non costan propriamente gran cosa; non sarebbe anzi temerario affermare che il loro valore è un valore del tulto negativo: sian Il ad ammo– nire qual'è la scultura che non bisognerebbe fare. E fra questi scultori italiani cosl detti giovani, i piil in vista son tre: Pietro Ca– nonica, Leonardo Bistolfi e Domenico Tren• tacoste. Chi volesse scherzare si potrebbe dir di costoro quello che il For1eguerri disse già dei suoi tre eroi : L'un ,,aJe~ poco, l'altro nulla, e il terzo Sta\'a tra' due, nè ci sarebbe da temere d'esser lroppo in· giusli ; ma poichè non voglian;o essere in• giusti neanche un pochino riconosceremo i pregi, ancor che piccoli, a chi ne ha. E fra i tre chi ne ha qualcuno è senza dubbio Ca– nonica. Una diecina d'anni fa, quando Angelo Conti scriveva ancora degli articoli pieni d'en– tusiasmo e di cor3ggio, essendo egli andato a Venezia per mandare al Jv/11r1.,occo raggua• gli su quella esposi1.ionc, l'unico scultore che gli venisse fatto di lodare sinceramenle e con calore fu appun10 questo torinese che allora esponeva un Cristo in croce che se non era quella gran maraviglia pareva al Conti, avanzava di certo per concezione, espressione ed esecuzione tulle le bagattelle mal dirozzate o ricamate onde anche allora eran piene le sale. Patetico, forse all'ec• cesso, quel crocifisso, che ora si contorce nella più brutta chiesa di Torino, giustifi– cava abbastanza l'esaltazione del critico il quale affermava che davanti a quella imma gine un'anima candida avrebbe potuto vera- Anno I .f. N.• 44 .:t, 14 Ottobre 1909. mente pregare. Kon è quindi strano se molle speranze s1 fondarono !-ubito i-ull'artista mal noto. Pietro Canonica era infatti a que' tem• pi di trivialità artistica e letterari;i, mista di saponeria dannunziana e preraffoel\ita, l'unica coscienza sincera che si mostra-;-;e 1 110~ spe– cie d'aristocralico galantuomo dell'arte che nelle teste di bambini (il suo Ma, io fu per qualche anno ramoso) e nei busti di vergini comunicanti e sognanti effondeva con inge• nui1:\ l'emozione della sua anima delicata e non cercava, come troppi altii, di gabellar calchi sul vero per opere di bellezza o por• chi vecchiumi veristi e commerciali per ten– tativi temerari da sconvolgitori d'estetiche. Lavor:uore sapiente dtl marmo e spirito ma· linconico, solitario egli creava figure do\'e la dote dell'animo era messa i:l piena luce da quella della mano obbediente e a molti, anche dei più esigenti, poteva pi:1cere e di fatti piacev:1. N'è rholuzionario nè tradizio– nalista, egli camminava su quella giusta via di mezzo che non è sempre e necessariamente que-lla dei mediocri, conciliando in sè la no• stalgia del passato e un certo desiderio, un po' vago invero, d'avvenire, compens:rndo la generalità del concetto con lo studio pene– trante del particolare vi,•o; lont:rno egual– mente dall'accademia e dall' imposlura dei ralsi libertari di quell'aurea tine di secolo. Poteva piacere, piacque, e per un certo tempo parve incoraggiar la fiducia che gli amanti del bello riponevano. in lui. Senonchè__! lungo andare. Ira t>er lt lusin– ghe del successo, tra per quel l'inerzia spiri– tuale che sono il flagello di tanti giovani del nostro paese, anche quella sua scarsa vena tranquilla d'ispirazione e di poesia si assot· tigliò : la ricerca scrupolosa dette luogo alla facilità, b calma del cuore alla gelida fred– dezza, l'onesto stile alla maniera, e oramai son più anni che Pietro Canonica perJe il suo tempo e quel po' di fiamma che forse gli resta ancora in lavori d'ordinazione per cimiteri di lusso o nel far ritratti a re ventruti e pa• chidermici, a vecchie titolate, a signorine a\•– viZlite o a signori idioti e \'anagloriosi. Così senza mai aver detto una parola potentemente nuova, e solo dopo qualche buona promessa non mantenuta, l'arte di que-sto non pii.1 tanto giovane entra nel silenzio e piano piano va e,;tinguendosi nel nulla eterno. È triste. In quanto all'alt_ro, cioè Leon:irdo Bistolfi, la cosa è ancor pii.1 desolante. Non a\'endo mai fatto nulla che non sia falso, svenevole e bolso come la poesia di certi menestrelli odiernissimi i quali impippi.rndosi di paroline decadenti, di brodetti simboli~ti e di preziosa marcia ultramontana, rivomitano il tutto in paginette ben marginate e leviga1e 1 costui è passato e passa per un profeta dell'arte nuova. A sentir quelli che se ne intendono - e sono, come ognun 53 1 senza numero in llalia -· la sua arte traduce la squisiteua morbosa dell'a– nima contemporanea, il sottil sentir d'oggi; rispecchia le aspirazioni vertiginosamente profonde, arcane del cuore verso plaghe piì.1 felici di questa nostra terra soda e fronzuta, bruciata da un sole troppo rovente, bagnata dall'aria viva, spazzata da venti \ieloci e stra· pazzoni che non voglion sapernè di clemenza per gl' ideali spolpati. A sentir loro quelle enigmatiche, allampanate, ridicole spose della morte che usciron prime dal seno di questo creatore, quelli ineffabili dolori confortati dalle memorie, parodia irriverente di un ca– pol:1voro ,;acro, quelle donnine lunghe svolaz– zanti fra veli e nuvoli in compagnia di geni e d'eroi gestrosi, questi Garibaldi da cinema– tografo, questi basso e altorilie,•i per sale di transatl..111ici tedeschi, tutte i:1 brc:\·e quelle povere concezioni da c2ttivo letterato della scuhura. sarebbero l'es:itta traduzione ideale dei fant.smi ineenernti cbl nostro spirito mo– dernC". - E nessuno s' è i.ncora :lcrorto che 1101 .. tr:1t11 se ,,nn di sdocchezz.òle de– coralive, degne tutt'al pili della mente di un doganiere impestato di c:utive letture di con· trabbando, quali un tempo ne mostrava The studio a cbi voleva vederle e che della bel· lezza non hanno nè un segno nè l'ombra. Troppo ci sarebbe da dire, chi se ne gio· vasse, su questi unguenti e belletti pseudo– decadenti; conlentiamoci di dichiarare che a parer nostro Leonardo Bistolfi non è nè un artista sincero nè un buono scultore : del• l'uno gli manca la maschia candidezza e la penetrazione, dell'altro la vigoria nell'ese– guire e persino il senso della materia che impiega, e del mestiere. La sua tecnica arzigogolata filaccicosa ti– tubante è un giuoco losco per far parere incantevoli e nuove le piì.1 trivi:lli fanlasime e far credere sapienza I' ig·noranza dissimulata di ogni forma di verità e di bellezza. Quando, lasciati da parte gli arruffian:imenti isterici del piccolo tocco disim•olto che sminuzzola i piani, titilla le masse, sfaccetta ogni roton– dità per farla parer vi\';, o della steccata imbrogliona che sdrucciola sull'errore mar– chiano, scavalca il vuoto dell'attuazione?, av• volge svol.izzi e molteplicità di pieghe in– torno alla morte delle membra male e su– Pl:_rficialmenle plasmatt>, ,;j va dirilto al corpo dell'opera, non è difficile accorgersi come tutto in questa sia fiacco e comunale. Non palpito di vita, non sobrietà di sintesi, non sentimento reale di espressione drammatica. Come in certa poesia contemporanea che non ha nemmeno la turgidezz:1 enfatica dell'arte barocca, qui tutto è aggettivo, eufe– mismo, sgambeuo di vir1uoso; e la polpa saporosa del soggetto è surrogata dalla con– sunta stopposità del luogo comune. Simboli· smo? Santa, casta verginità degli artefici primitivi! chi ti capisce pii1? Allegoriac• eia, dico io, sciarada, e giuoco di bussolotti. Nè i mazzolini sabaudi la rialzeranno d'un dito nel concetto di chi dopo di noi, ci vedrà chiaro. Mn passiamo .i Domenico Tren– tacoste. Tra la pochezza del primo e la nullità del secondo sta, come dicevo, la mediocrità di questo terzo ed ultimo scultore i1aliano. E questa che gli assegno non è sohanto una posizione ideale, chè la sua scultura è real• mente un quid che delle due ahre si nutrisce e si forma. Privo d'originali!:\ e d'ardire egli, come gli altri, non porta nulla di sostanzioso su questa tavola sparecchiata che è 11 arie pl:islica italiana: ondeggia fra la sacra I radi• zione e il ciarlatanisino dell'ultim'ora, mo• della Cristi, signorine e larghette d' indu– striali, di nobili e di giornalisti con la devola impersonali1à d'un mestierante, assai abile del resto, - e i caminetti di s1ile Liberty non han segreti per lui. l'ileno profondo del Ca– nonic:1 e falso precisamente come il Bistolli, questo camaleonle della scul turn si veste volta a voha degli aspe11i dell'uno e dell'altro: lecca il marmo, come il primo, la mattina j l'urta, l'arroncigliola e lo stritola la sera, come il secondo. A volte, la notte, fo una scorreria nel campo di ~leunier o di Rodio e allora fo la figura di una gran cosa. Il Cicc,1iolo e il Caino son le prede ch'f'gli ri· porta da queste spedizioni azzardose •- e la critica dei nostri fogli se ne congratula. I! un uomo abile. i\la di questa abili13 Parte muore ; e quel suo Semi11a/ore dal gesto smanceroso, Bibloteca Gino Bianco ,,;,r_, rografico, ;,ederaslico che butta la sua ~menla al vent? fra gli c;carti del L:issem– Uurgo di Parigi, pot:f'!:ifoe servir benissimo d'emblenrn per I:\ .;u?. rpe,·a f' qut>llr. r.i:i sco:. simili, il cui più spic.:ato. e tremendo carat– tei'e è I.. sterilit:.. Sterilità d' inte111i e di ef• fettuazione, dintrvamento eterno del senti• mento e dello s1ile 1 resupina rassegnazione alla comunalità, terrore delle feconde e nuove audacie. In questa opera, come in tutte quelle che d';rnno in anno ,·anno ingombrando sem• pre pili i nostri musei e le nostre esposizioni, la sponlaneilà della sana intuizione e dei mezzi che la individuano in figure ~piranti, lascia il posto al calcolo ritorto di u•1a mente guasta da pregiudizi estetici di pessima marca, al partito preso d' intelligenze torbide e tor• pide dove gli echi di vane discussioni sul bello e sullo stile !-Ì mescolano grottesca– mente ai ricordi dell'accademia e alle con– siderazio:ii segrete di un istinto mercenario. Tutte queste immagini non sono le incarna– zioni degli esseri ideali popolanti il mondo particolare proprio a ciascun artista i ma il fruito annebbialo, smorto di triste elocubra• zioni, di stitiche ponzature cominciate a una ta\'Ola di caffè o di trattoria e continuale fra il ciarpame costoso di uno studio-salotto, fino ad evacuazione rumorosa in una sala di Venezia o di Roma. L'arle non c'entra per nulla. Ma queste purtroppo son verità che nè Dome• nico Trentacoste nè le altre due persone della trimurti vorranno mai meditare: preferiscono ignorarle come ignorano che cosa sia preci– samente la grandezza e la sincerità. Turribu– Jati dai critici, dagli amici e dal pubblico che, quanto a loro, ignorano ogni cosa, aiu• lati dagli allievi, seguiti dagli imilatori, essi tirano e tireranno innanzi con le loro figu– rine cloroliche, sfarfalleggianti e teatrali, di– so11orando la patria e corrompendo, con l'e– sempio del successo e del facile profiuo, la gioventi.1. Quella gio\·enti1 che dovrebbe resuscil:tre col suo soffio poderoso e fresco quest'arte morta, ma che, poichè non dà segno di ribel• !ione, merit:1 forse d'esser corrotta - e peggio. Ardengo Soffici. Dopo il Congresso. L'importanza maggiore dei congressi, che i professori secondarii lengono annualmente non è, a paier mio, nei risultati che si suole raggiungere nelle loro discussioni e nel con– tenuto determinato delle Jelibernzioni, che vi si adottano: bensl nelln scossa, che danno al• l'animo degli stessi professori che vi parte• cipan.o, nella passione che vi deslano per alte questioni sociali e ideali: nella purilicazione, direi quasi 1mtomatica che vi si fo dello spi– ri10 professorale, sottratto agi' interessi parti– colari di tutti i giorni e sollevato nell' aer vivificante di dibattiti superiori: ora segnata– mente, c:he la federazione si avvia sempre più risolutamente a trasformarsi, da asse-eia• zione di classe in associazione pedagogica. I giorni del congresSo sono come una paren– tesi nella vita ordinaria piena di noie, di difficohà, di amarezze e di tribolazioni: una paren1esi, in cui gl' insegnanti, sforzandosi di rinnovare la coscienza pura della loro mis• sione sociale, riattingono freschezza nuo\'a di propositi e d'energie e nuovo vigore di fede nel loro nito uflicio. Kè le idealità, che vi si agitano, restano chiuse nella bre\·e cerchia dei 1ecnici: suscitano, come ogni volta s'è
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