Vita Nova - anno III - n. 10 - ottobre 1927

14 UNIVERSIT A F ASClST A , hnite azioni degli individui per l'attuazione dei loro fini, per la .conquista dei loro beni sempre nuovi. , Sicchè il dissidio tanto commentato fra virtù e fortuna ha molto semplicemente la sua radice e la sua ragione nel dualismo che ogni individuo incontra sempre nello svolgimento della sua azione coll'azione della collettività, è anzi questo stesso dualismo in un momento di più aspra tensione. Virtù e fortuna, se pure si contrastano fra loro a-- spramente, non sono, per· il Machiavelli, termini di un'oppos·zione dialettica da ~isolvere nell'identità di uno dei due o di un terzo termine, ma esistono e debbono coe;istere come forme della realtà empirica, della storia, la quale non sarebbe senza di essi e senza il loro contrasto. Ogni individuo colla sua azione tende a n1odificare la storia, che egli C')ntribuisce a produrre. Ora la virt~ non è che questa capacità di modificare la storia e di imprimerle l'in:ipronta della volontà dell'indivi~uo, ma è questa capacità nel suo grado più alto. E la forza dominatrice propria degli uomini superiori, è l'arte di attuare il proprio fine contro tutti gli impedimenti che la fortuna opponga alla loro azione. E la fortuna viceversa è la mole della storia stessa e dei suoi impedimenti, è il ccmplesso di tutti i voleri e di tutte le azioni degli altri individui, che costituiscono un natura le limite all'azione, per quanto sagace e forte, di ogni individuo. Si capisce che la vera virtù non è solo impulso violento di volontà e di azione, ma P anche calma prudente, è sapienza di adattare la realtà al proprio volere, ma anche di adattare il proprio volere alla realtà, è forza di fare e di non fare secondo le esigenze dell'ora, è ardimento ed astuzia, capacità di osare fino alla temerità e anche cedere fino a sembrare deboli,. è insomma l'arte di raggiungere il proprio fine per ogni via, l'arte di vincere con qualsiasi mezzo ; e la f o~- ' tuna invece è come la personificazione di tutti gli elementi che sfuggono ad· ogni previsione per quanto oculata e resistono ad ogni sforzo di energia per quanto vigoroso e µossono da un'ora all'altra creare ' impedimenti insuperabili. Il politico dunque dovrà apprendere dalla Storia a fortificare quanto gli sia · possibile la sua virtù e le sue doti di prudenza e di energia cosi da giungere a domare totalmente la fortùna e ad eliminare ogni impedimento, ed imporre cosi alla storia tutto il suo Yolere ed at- .tu~re nella sua pienezza_ i suoi fini di espansione e di conquista. . , Biblioteca ino Bianco A questo punto ci si presenta il · problema centrale del pensiero del Machiavelli : il problema cioè della moralità della Storia e quindi il problema del rapporto fra la virtù conqu·statrice e i doveri posti da una superiore légge ad ogni conquista e ad ogni virtù individuale. Come si· è detto avanti, il Machiavelli non. nega affatto una coscienza morale nell'uomo e non nega quindi nemmeno il valore di ·una legge morale chè s'impone alla sua coscienza. Il Machiavelli, noi abbiarr,o detto, accetta la realtà della ~ toria quale si presenta alla prima immediata esperienza ed al semplice buon senso prefilosofico, in tutta la varietà delle sue forme e delle sue manifestazioni. Egli non sente il bisogno di ridurre le varietà della coscienza e della vita umana all'identità di una formula filosofica. Egli non si pone seriamente nemmeno il problema se l'uomo sia intimamente libero o se la sua volontà sia determinata da fattori es1rant i, se la Storia sia libera creazione dell'attività umana, o il prodotto di una forza estranea all'uomo. La Storia gli appare, diciamo pure un pò superficialmente, quale il risultato del complesso delle azioni umane compiute dai singoli individui per la conquista di un loro bene, e cioè il risultato del contrasto fra l'azione di ogni individuo e la realtà delle azioni compiute dalla collettività, o, per usare i termini del Machiavelli, fra la virtù e la fortuna. Nella coscienza umana egli vede il bene ed il male, impulsi violenti di bieco egoismo e sentimenti di altruistico disinteresse ; la Storia ci presenta ad ogni passo esempi di viltà e ·di eroismo, di perfidia e di devozione, è insomma fatta di moralità e di immoralità. Ed egli mostra di pregiare gli esempi buoni di moralità, e m~stra viceversa vivo sdegno verso i troppi esempi cattivi di immoralità. Come avviene dunque che ad certo momento egìi annulla questa distinzione fra il bene ed il male, fra la moralità e l'i11m1 oralità dell'azione, toglie alla virtù qualsiasi impedimento di qualsiasi limite morale, e la lascia assolutamente libera di usare qualsiasi mezzo per attuare i suoi fini di conquista? In Machiavelli insomma il bene è veramente niente più che il successo : e se i due termini si equivalgono come si giustifica nel Machiavelli questa equivalenza? * * * Prima di affrontareil problema,noi dobbiamo ripeterci ancora una volta quello che si è detto avanti, che cioè il Machiavelli è puramen_teuno

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