e frequenti nella età antica che nella sua. Ma ciò non toglie il fatto che egli creda non solo alla moralità ma all'eroismo. D'altronde la più sicura e forte attestazione della sua fede è nella passione colla quale contempla le sofferenze dell'Italia e costruisce un suo ideale di redenzione ed invoca l'eroe capace di attuarlo. Ora non si ha da credere che qqeste antitesi costituiscano un dis,idio filosofico che il Machiavelli tentò di comporre senza riuscirci. Il Machiavelli non ha mai tentato seriamente di conciliare queste antitesi ed il dissidio resta al di quà della speculazione filosofica. Il dissidio è molto semplicemente quello che il pensiero p~rta a se stesso e trova necessariamente nel primo momento di riflessione critica, in cui attraverso l'osservazione dei fatti non può a meno di incontrare le forme essenziali della vita ; avverso agli avversi termini della sua dialettica. Tal ora può venir fatto di credere che Machiavelli voglia risolvere il dissidio dando ad uno dei due termini antitetici valore di unità assoluta, ma non si tarda molto a capire che si trattava puramente di momentanea generalizzazione empirica e che in un altro momento, momento di un'opposta esperienza di fronte ad un opposto atteggiamento della vita, egli si esprime in modo che sembra proprio che voglia risolvere il dissidio dando valore di unità al termine opposto. Bisogna persuaderci che il suo interesse teoretico non è affatto rivolto agli universali, e quindi a lui importa proprio nulla la loro antitesi e la loro sintesi dialettica. Ciò che lo interessa, ciò che anzi lo appassiona è. la realtà empirica della vita, è conoscére il gioco delle intime forze che ne determinano lo svolgimento, gl'impulsi di amore e di odio, i calcoli egoistici, le forme ideali che muovono le volontà e dirigono la storia, conoscere cioè la realtà che costituisce il limite e lo strumento della volontà di ogni individuo per l'attuazione di un suo fine. Ecco perchè egli accetta serenamente opposte forme dell'universale come verità una ed assoluta, senza sentire per nulla il bisogno di uscire dalla contraddizione. Egli non sente il bisogno di uscirne perchè in un certo senso non c'è mai entrato, perchè egli non si è mai_ proposto di determinare come filosofo i rapporti dialettici, ma si è proposto solo di indagarne il contenuto empirico come storico e di viverlo come ·politico o almeno come maestro di una nuova politica. Restando al di quà della speculazione filoao6ca egli si è tolto il peso di tutto l'astrattismo etico che il Rinascimento aveva ereditato dall'età della scolastica e che ancora nel Rinascimento aduggiava la teoria e la pratica della politica, e può con libero animo e con occhio puro cercare nella immediata realtà della Storia il nuovo ideale poli .. tic o ed i criteri .per attuarlo. Il male, come già si è detto, è che questo ideale non ha ancora compenetrato la realtà della Storia, e perciò la nuova libertà è ancora soltanto negativa, e lo sguardo purificato dalle vecchie nebbie non è ancora illuminato di luce e nQn riesce ad affermare la verità che è concretezza di reale e d'ideale e quindi non riesce a scoprire il vero realismo, nè riesce a dare del suo realismo la giustificazione morale. * * * In un passo, al Principe egli dice che non gli è • incognita l'opinione di molti che le cose del mondo siano in modo governate dalla fortuna e da Dio, che gli uomini con la prudenza loro non possano correggerle e non vi abbiano rimedio alcuno. E confessa a~zi che pensando alla variazione grande delle cose che si sono viste e veggonsi ogni di fuori di ogni umana connettura, egli si è in qualche parte inclinato nella opinione loro. Ma a questa filosofica fatalità ne oppone subito un'altra perfettamente opposta, che cioè il nostro libero arbitrio non può essere spento, e compone poi le due tesi al di quà della filosofia dividendo la· ragione con qiol.ta semplicità ed esattezza per metà, concludendo cioè poter essere vero che la fortuna sia arbitra della metà delle azioni nostre ma che ne lasci governare a noi l'altra metà. E se si considera in che consista per il Machiavelli la fortuna athitra della metà delle azioni umane, ci appar~ con perfetta chiarezza che questa formula con cui egli compone le due tesi filosofiche è precisamente l'accettazione della realtà della vita quale si presenta alla prima esperienza empirica. La natura ha c1eato gli uomini in modo che possano desiderare ogni cosa e non· possano conseguire ogni cosa, talchè essendo sempre maggiore il desiderio che la potenza d~ll'acquistare ne consegue la mala contentezza di quello che si possiede e la poca soddisfazione di esso. Di qui il continuo variare della fortune ed il processo continuamente vario della storia. Questo è il concetto fondamentale del Machiavelli sulla na:.. tura e sulla vita umana, e, se si vuole, diciamo pure il nucleo del suo pensiero filosofico.La storia nella sua essenza intima non è che il risultato delle int
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