Vita Nova - anno III - n. 10 - ottobre 1927

IL CENTENARIO DI NINO COSTA 653 acquisto del Governatorato il desiderio del Maestro è esaudito completamente. Il terzo periodo dell'arte di Nino Costa si chiude a Roma, dove egli, stanco delle sue pe .... regrinazioni per l' Italia, per la Francia e per l'Inghilterra, . . . . . s1 r1t1ra a vivere 1n . una onesta operosi" I ma alla fine i costiani trionfarono. tà gli ultimi giorni, fondando l'Associazione In Arte Libertas e raccogliendo intorno a sè una CAPRI Del resto Nino Costa aveva già con~ seguita ali' estero quella celebrità che gli mancava in Patria. Le sue opere venivano disputate a colpi di biglietti da mille, specialmente in Inghilterra ; e con la celebrità egli ebbe anche la ricchezza. Questo non significa che fosse attaccato al denaro, perchè pochi artisti schiera di discepoli valorosi, fedeli e devoti: a questo periodo appartengono molti rapidi paesaggi e diversi . . . . . . 1ncis1v1 r1tratt1. Come si vede l'arte di Nino Costa è stata varia e complessa. Ma è dal 1860 che comincia il suo apostolato artistico a Firenze, dove aiuta a trovare sè stesso il Fattori smarrito dietro il quadrone di carattere storico allora imperante, e nel 1887 continua a Roma dove fonda il cenacolo sopra ricordato. Eravamo in un periodo pericoloso per gli artisti italiani che andavano ricadendo nel manierismo accademico, per seguire gli spagnuoli col Fortuny alla testa, e potere trovare rapidamente buoni compratori. In questo modo l'arte se ne andava per cedere il posto al commercio. Il suo sodalizio, che portava nel nome tutto il programma, iniziò una esposizione in un piccolo locale di Via San Nicola da Tolentino, dove, insieme a un gruppo di opere del Costa, come il Tramontosui colli Albani, figuravano quadri del Carlandi, del Coleman, del Sartorio, del Ferretti, del Pazzini e di Mario de Maria. Quella ricerca del vero, quantunque non reso pedissequamente ma visto attraverso a temperamenti di . . ' artisti, sconcerto un poco tutti, pubblico e critica, e le accoglienze non furono troppo lusin ... ghiere. Ma non do-- veva tardare una • maggior comprensione di questo sa- • no movimento e quanto lui lavorarono solo per la propria soddisfazione, mai transigendo con la loro coscienza. Nelle diverse lettere dirette ad amici e discepoli egli esalta sempre la bellezza della natura, delle prime ore del giorno e di quelle del tardo pomeriggio. La luce piena del sole lo stordiva, quasi lo irritava: aveva bisogno della sua carezza blanda e lo attendeva al sorgere o al tramontare. « Mi levo alle 4 antimeridiane - scriveva da Bocca d'Arno nel 1891- e lavoro dal vero fino alle cinque e mezza, e poi lavoro in casa fino a mezzogiorno e mezzo, dopo desino e dormo e non lavoro che verso le sei». E, più tardi: « Mi levo alle tre e mezza per sorprendere l'aurora ed il sole che illumina le sommità delle teste; ma, quando il sole diventa villano, io chiudo le imposte, dormo e consiglio le belle a dormire; ma quando Febo torna modesto e, quasi pentito delle sue esuberanze, si fa guardare in faccia, allora torno anche io a godermelo )). E, riguardo ai principì della sua arte soleva dire: « È una gran bella cosa l'amore del vero semplice, perchè si invecchia fanciulli, si muore bambini ridenti )). Oppure: « Goda lavorando il più di retta men te che può dalla natura, nella felice dimenticanza di pro ... cessi e maestri, colleghi e campanili. lo per ora lavoro la sola mattina allo spuntar del sole, dal vero, trovando il . ' vero sempre piu difficile a spiegare, avendo i miei cinquantotto anni suonati. Tanto meglio Nino Cost;i ottenne presto 11 generale consenso. Ci vollero dieci anni di tenacia, è vero, IL PONTE D,ARICCIA , h' , cosi, pere e e seBiblioteca Gino Bianco

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