,I ' BOLOGNA leggi in tutta l'età moderna e specialmente in Itali a ; ma non vedeva che questa deficienza risaliva ad un'altra, cioè alla deficienza in tutto il mondo moderno, specialmente in Italia, di una concreta e precisa idea dello Stato e quindi di una coscienza politica devota e illuminata. Ed egli vede bene l'angosciosa contraddizione in cui si trova questo grande popolo Italiano, sempre segnato dal destino nella magnificenza e nella miseria, primo sempre sopra tutti gli ·altri in ogni forma di valore, ma meno capace degli altri a darsi seri ordinamenti che gli permettano di mettere in atto la sua virtù. Ma egli non può naturalmente giungere a com- - prendere che proprio l'intima costituzione ideale della Società moderna, col suo concetto trascendentale di uno stato cosmopolitico raccomandato ad una moralità astratta dalla politica impediva la foimazione di un ideale, di una coscienza statale · precisa e sicura, e che l'Italia perchè era il centro religioso colturale della nuova società sulla rovina dell'antico impero trovava in se, nel suo stesso compito e nella sua stessa gloria, l'impedimento maggiore alla formazione di un vero e proprio . . .. . . stato e non r1usc1va nemmeno a cost1tu1re come altre nazioni viventi alla periferia dell' Imper~ una unità statale intorno alla persona di un re e a darle la possibilità di uno sviluppo storico sul cammino di una dinastia. Egli non riesce a vedere la ragione storica di questa contraddizione che travagliail popolo Italiano, non vede che la tristezza delle sue condizioni politiche è legata alla gloria della sua coltura e discende insieme alla sua grandezza teoretica dalle intime ragioni della sua storia. Egli vede nel destino del popolo Italiano un fondo oscuro che non può nè comprendere nè accettare, che anzi esalta la sua passione di pensatore e di uomo di azione a trovar modo di vincere questo irrazionale che c'è nella storia d'Italia, per toglierla dallo stato di abbiezione in cui si t~ova, _più schiava che gli Ebrei, più serva che i Persi, più dispersa che gli Ateniesi, senza capo, senz•ordine, battuta, spogliata, lacera, corsa. Noi comprendiamo ora anche la sua eloquenza nuova, aspra e appassionata, tutta materiata del più crudo realismo politico e tutta accesa di amore per un ideale lontano. Egli sente il bisogno quasi di martoriare il suo ingegno acciò valga per suscitare la virtù di un principe all'impresa e munirlo di ogni accorgimento e addestrarlo ad ogni battaglia. Ma c'è un limit~ alla virtù sua e alla virtù del PrinBibli eca I cipe. Egli può fornire il Principe di tutte le armi può dargli tutti gli accorgimenti e tutte le arti, insegnar,di ad abbattere e perdonare, ad atterrire ed ed accontentare, a giocare di prudenza e di temerità, può mostrargli ad una ad una le forme in cui si rivela la capacità di vincere ; ma non gli può dare la forza conquistatrice che solo possiede il . sovrano di uno Stato nella cui individualità viva, come vivea nella repubblica roµiana, un'idea universale. Egli si è liberato insomma dell'utopia dantesca che cercava l'idea universale dello Stato fuori della vita stessa dello Stato. Ma è caduto nell'utopia di poter creare lo Stato puramente dalla rielaborazione empirica della realtà senza l'idea dell'universale. Ecco perchè il suo appello ad una virtù creatrice di uno Stato nazionale non solo rimane senza risposta, ma rimane incompreso e mal giudicato, fino ad oggi, in cui sentiamo finalmente formato nella sua intima compagine questo Stato Italiano, e quindi possiamo rivolgerci a riguardare il processo s~colare di quella formazione e valutare giustamente tutte le forze che vi. hanno contribuito. Noi non abbiamo oggi più bisogno di giustificare Machiavelli del suo realismo politico per la semplice ragione che nòi l'abbiamo compreso questo realismo, e abbiamo comf)reso la contraddizione che esso rappresenta nella storia d'Italia. Nel suo appello sentiamo la voce dell'Italia stessa che esce dal Rinascimento ad affermare l'esigenza etica di un suo Stato Nazionale vivente nella concretezza della realtà. Naturalmente non ha potuto affermare altro che l' esigenza perchè presentiva ma non conosceva l'essenza della realtà che è spirito, la sua determinazione politica concreta che è la nazione. Oggi noi ci rendiamo conto di ciò che vi era di utopistico nella figura d~l Principe Machiavellico, come nella figura del veltro dantesco, e comprendiamo esattamente che come non è venuto all'alba del Trecento colui che ricostituisce l'universale Stato romano sulla duplice potestà dell'Impero e del Papato, così non poteva nemmeno venire colui che desse unità di Stato ad un popolo la cui" coscienza nazionale aveva ancora come specifico carattere un sentimento essenzialmente internazionale. Ma se il Principe non ha risposto ali'appello questo non vuol dire che la voce si sia perduta senza effetto e senza traccia, che non abbia giovato ali' opera sognata. Alla formazione dello Stato Italiano non bastava dunque un principe pur dotato di tutta la
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