Vita Nova - anno III - n. 10 - ottobre 1927

e di un Signor~, e non l'interesse di una nazione e quindi non scaturisce dalle esigenze di tutta una tradizione storica, e non rappresenta il valore di tutta una concreta e viva espressione di spiritualità umana, ma è sempre in qualeihe misura legato alla materialità chiusa di un individuo o di un gruppo di individui, ed all' esclusivi~ smo egoistico di una negazione. Si capisce quindi che la virtù Machiavellica non si risolve tutta in una più alta capacità d'illuminata devozione all'unità statale; ma risente il materialistico egoismo proprio di ogni forza che dall'esterno si sovrappo~ga o tenti di soprapporsi a uno stato. La virtù Machiavellica · in altre parole non è fatta di pura ·spiritualità umana e la sua vittoria non è la prova di una superiore capacità umana, e non reca con se necessariamente l'attuazione di un'idea e quindi di una vita moralmente superiore. Ecco perchè c'è qualche cosa che ci ri- • pugna nel realismo col quale il Machiavelli accetta Cesare Borgia come modello di virtù per il suo principe redentore. Egli invoca per il suo eroe la giustific~zione da un 'idea che egli attuerà al termine della vita, egli invoca cioè la giustificazione da un valore che rimane pur sempre in qualche misura astratto dalla vita se anche egli si dispone ad attuarlo con tutta la libertà, e non riesce quindi a giustificare tutti gli atti della sua libertà se anche 1 per se è un valore altamente morale. Noi giustifichiamo e anzi non sentiamo nemmeno il bisogno di giustificare qualsiasi atto che nei rapporti comuni fra individui si chiama immorale quando è fatto per 1•interesse dello Stato e porta quindi •il segno sacro della devozione ad una forma ideale di vita superiore all'individuo ed alla sua materialità empirica. L'atto immorale a servizio dello Stato si trasfigura spontaneamente in un atto di moralità, perchè con quell'atto si nega l'umanità di un nemico, · si afferma anche la fede, una forma ideale d'umanità superiore, e si affronta per testimonianza della sincerità di fede il giudizio di Dio che la Storia • • • • • • pronuncia attraverso 1 suoi c1ment1 supremi. Ma per il principe del Machiavelli lo Stato è ancora per troppa parte oggetto estraneo, anzi opposto, alla sua attività di sovrano, assomiglia ancora troppo ad un materiale possesso. La sua sovranità serve ancora molto più al suo particolare egoismo che alla divina spiritua'lità umana ordinata nell'organismo di un vero e proprio Stato. Certo, se egli compirà l'opera alla quale lo chiama il suo autore, recherà un grande bene ali' Italia, in quanto ibl·ot ca Gino Bianco 19 che eliminerà disordini e discordie interne e darà all'Italia con la pace anche la possibilità di rivendicare contro le altre nazioni il suo interesse e la sua dignità. Ma il principe nel compimento di quest'opera riesce ad eliminare in se stesso il materialistico egoismo di aumentare il suo possesso, non può e non potrà mai far coincidere il suo egoismo di sovrano coll'idea di una forma superiore d'umanità da servire nell'intimo del suo cuore. Ecco perchè la violenza del principe può avere delle giustificazioni, ma non può essere pienamente legittimata come un valore morale. Il principe insomma combatte per l'attuazione di un'opera che ha un 'indubbio valore morale, ma non è spinto alla battaglia dalla fiamma di un valore morale vivo e presente nell'animo e nell'atto, combatte cioè per unificare in uno stato nazionale la penisola Italiana, ma non muove alla battaglia per il valore morale che c'è nell'idea di uno Stato nazionale Italiano. Starei per dire che la moralità più che nel principe è riel suo autore, è nell'angoscia colla quale il Machiavelli vede i mali che affliggono l'Italia e anche quelli che le si preparano, è nell'intensità del sentimento con cui cerca i segni di miglior avvenire, è nella consapevolezza della necessità di uno Stato nazionale, è nella potenza della parola con cui lo afferma, è nell'ansia con cui lavora· e combatte per il compimento di questo ideale, con cui non potendo combattere egli stesso e lavorare direttamente all'impresa, crea una sua figura di principe ornato di tutta la virtù necessaria, e lo lancia nel mondo colla speranza che un principe italiano si specchi in quella sua figura, vi trovi un monito ed un incitamento ad essere quello che deve essere. Ma il creatore non ha potuto infondere nella sua creatura l'idea etica di Stato nazionale che J}on era nell'atmosfera storica, che egli stesso non possedeva. Ed infatti nessun principe racco~se l'invocazione appassionata del Machiavelli. Coll'idea etica dello Stato nazionale mancava anche la forza che potesse decidere un signore all'impresa, ad avvivarne la virtù alla lotta e meritargli la vittoria. * * * Ed era perfettamente logico che l'inv~cazione del Machiavelli rimanesse senza risposta. Noi. possiamo sicuramente immaginare che il Duca di . Urbino leggendo il Principe abbia un po' sorriso con quella indulgenza colla quale deve aver sorriso Ippolito d'Este alle fantasticherie poetiche del- - ,

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