tembre, su quella stessa piazza, dov'eran convenuti gli stendardi di tutti i comuni e i gagliardetti di tutti i fasci per rendere omaggio alla Maestà del Re, levarsi da mille voci l'inno di Francesco di Assisi, l'osanna verso Dio grande, Dio eterno, Dio misericordioso. Era ben quello il Cantico che i giovinetti eroi, saliti sulla guglia più eccelsa dell'Alpe in-- contaminata, sospesi fra le stelle e l'abisso, fra la morte e la gloria, vollero gettare in cospetto del1' universo. Quello stesso cantico porta va in quel momento a Vittorio Emanuele Ili la voce di devozione e di gratitudine della Patria. Allorchè Francesco d•Assisi passò per il castello di Casa Savoia, a Beatrice che con grande edi6cazione lo ricevette, profetizzò che la famiglia Sabauda avrebbe avuto la gloria di tenere nei secoli le porte d'Italia. Nel corso degli anni la profezia ai è adempiuta. E non soltan~o le porte della Patria il terzo Re d'Italia ha tenacemente custodito, ma, strappati i termini degli iniqui confini, la bandiera dei tre colori ha portato avanti nella luce radiosa della vittoria. Ognuno che lo vide vicinò a sè nell'aspra guerra della trincea, comprende che al suo cospetto doveva essere in questa celebrazione ricantato l'inno della gente italica. Ah '"chenessun sontuoso manto di broccato purpureo, tessuto presso regge disperse in tempi lontani, nessun paramento tempestato di gemme donato al tesoro della basilica di Assisi attraverso i secoli da re franchi o bizantini, rifulge di una santità più immacolata delle bianche tovaglie d' altare che Elena d'Italia, con regal gentilezza, trasse dall'antico tesoro di Casa Savoia per offrirle in questo centenario alle chiese centenarie di Assisi. La più ricca di quelle tovaglie era distesa sulla tomba del Santo il 4 ottobre, giorno della grande apoteosi. Spettacolo grandioso e1commovente. La grande auster~· chiesa, ordinariamente avvolta nell'ombra, risplendeva di luce vivissima nel iblioteca Gino Bianco tr~molio di mille fiammelle, nello scintillio dei suoi magnifici lampadari, e, a questo splendore, dagli archi delle navate tutta la folla dei santi delle vergini degli angeli dei guerrieri che · Giotto ritrasse, emergeva, sembrava animarsi, esaltarsi per il ricordo che sorgeva all'evocazione dell'inno sacro : Franciscus pauper et umilis.. ~ Disotto fluttuava la marea del popolo accorso da ogni parte del mondo. Il legato era là, nella basilica pontificia eguale a quella di San Pietro, seduto sul trono che, per antico privilegio soltanto poteva accogliere le persone dei pontefici. Il Papa era presente giunto fra noi, tra un delirio di entusiasmo come per un viaggio trionfale. All'improvviso, nel momento più solenne della cerimonia, di fronte all'altare innalzato sulle reliquie del Santo, la voce del celebrante si levò alta, squillò per tutta la chiesa, vinse il tumulto della folla : ·« O padre serafico, benedite l'Italia, terra privilegiata e feconda di Santi e d•eroi, da voi tanto · glorificata· » • . Era la prima benedizione del Pontefice all'Italia, dal 1848 in poi, dopo la benedizione di Pio IX auspicante alla nostra unità nazionale. Fra poco, cessato il tumulto delle folle internazionali, questa chiesa riprenderà la sua veste severa di silenzioe di meditazione. Ma nell'ultimo giorno del centenario, il 4 ottobre di quest'anno, al chiudersi della grande celebrazione, nella casa di preghiera più bella che vanti la terra, di fronte alla pietra rude in cui le ossa del Santo bruciano dell'antico ardore, noi accenderemo la lampada che tutti i fascisti italiani hanno voluto donare a quella tomba, affinchè vi arda perennemente, nei secoli. Quella lampada ricorderà la fede e l'anima che i fascisti hanno dato alla rievocazione del grande Santo ; e ricorderà anche la fiamma ideale che arde e arderà nei secoli, contro ogni ombra di scetticismo e ogni debolezza. nel cuore dei nuovi éavalieri d'Italia. \
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