34 dall'Impero ben presto fu travolto, e tutti gli sforzi • • • degli imperatori per conservarlo r1usc1rono van~. Gli è che l'impero così come s'era venuto costituendo non era per nulla capace di appagare certe tendenze intime, certi bisogni gagliardi r he cominciavano a fare la loro apparizione specialmente per l'avvento della grande rivoluzione cristiana. La religione dell' Jmpero non scendeva profondo: era una religione tutta esteriore che si esauriva nelle pompe, nei rituali, nelle cerimonie e nella ripetizione di vecchie formule che, evidentemente non potevano soddisfare alla sete d'intimità che si faceva strada proprio in quell'epoca. L'uomo avvertiva che la yera religione consiste in un rapporto intimo fra sè e Dio. Al maturarsi di questo bisogno d'int1mità, in cui si d1sp1ega e si avverte la presenza del divino contribui potentemente anche lo Stoicismo, la cui influenza è molto v1sibile nei giuristi che sorsero nell'età imperiale. Papiniano, Paolo, Gaio, Ulp1ano e Modestino, in ·fondo, s'ispirano all'ideale stoico. Il concetto più notevole che essi, dal 11ostro punto di vista, mettono in chiara ev1denz_a è que- · sto che tra la giurisp1udenza e la filosofia non passa nessuna diflerenLa, perchè il loro rapporto è così intimo che non si può pensare runa senza l"altra. Ulpiano nel tito~o primo dei Digesti scrive così: « Dando opera al gius occorre prima sapere donde ne venga il nome. Gius è chiamata la giustizia perc.hè, come Celso lo defini elegantemente, esso è l'arte del buono e dell·equo. Perciò siamo creati con ragione sacerdoti della giustizia. D Jf atti professiamo la giustizia e manifestiamo la scienza del buono e dell'equo. ~eparando l'equo dall'iniquo e discernendo le còse siamo desiderosi di fare buono l'uomo non solo per il timore della pena, ma anche perchè ricerchi e manifesti 11 bene e non l'inganno. » Dunque, per codesti giuristi non si può parlare d'un diritto e quindi d'una politica separata dalla filosofia o qalla moralità. Dalla coscienza profonda di questa identità nacque l'esigenza di sostituire al diritto che fondava la fami- , glia sul potere d~l pater Jamilias, alla proprietà fondata sul privilegio del cittadino 1·omano e alla santità dei contratti fondata sulla convenzione scritta, una giustizia più umana e più conforme all'equità naturale. Insomma, i giuristi romani non si contentano più della legge scritta o della convenzione comunque sorta, ma vogLono indagare la natura o l'essenza stessa del contlatto, vale a dire della legge. Bib 1otecaGino Bianco Ma quali sono i princi;,ii ess~n~al~, ~ioè ete~ immutabili del diritto secondo 1 g1unsh romani) Essi sono. questi : vivere onestamente, non fare torto a nessuno, rendere a ciascuno il suo. Che sono principii i quali si possono facilmente ritro• vare in filosofi precedenti, ma la loro importanza consiste in ciò che essi vengono introdotti nella legislazione. Per ciò i giuristi ..r~mani si travaglian_o tanto sulla definizione del d1r1tto, dalla quale dipendono tutte le altre conclusioni. · Che cosa è il diritto per loro~ Esso è ciò che la ragione naturale stabilisce per gli uomini. Posta questa definizione tutti i prece~ti del diritto as)umono una caratte,istica eterna, immortale, immutabile: il corpo del diritto diventa, in altri termini, ideale. Questa idealità del diritto proprio dei giuristi romani esalterà poi il nostro G. B. Vico. Di qui deriva la netta distinzione fra il diritto na• turale e 11 diritto positivo. Dice Gaio che l'interesse civile non può corrompere i diritti naturali. II, che vale quanto dire che qualsiasi legge positiva o convenzionale non deve contraddire al diritto naturale c<.me quello che è insito nella stessa nostia natura umana. Da questo diiittò natu·rale ha origine il contratto che riposa sopra 1· affetto reciproco. Che è un concetto evidentemente cristiano. Anche i giuristi senza che ·naturalmente ne avessero coscienza ·preparavano il trionfo del Cristianesimo. Nè solo essi ammettevano il principio della fraternità umana, ma anche altri concetti mirabili e f · condi sulla pena, sulla libertà umana e sulla schiavitù. Non bisogna far pagare, dice Ulpiano. al 6glio innoct 1 nte la pena del padre; val meglio lasciare un delitto impunito che condannare un innocente; la pena è stabilita per il m1glioriimento degli uomini •. Concetti, questi, a noi f am1liari, ma che nel tempo in cui sorsero erano nuovi. Come nuovo, almeno nel dominio della giurisprudenza, era la dottrina che essi professavano sulla schiavitù. La quale è per loro uno stato contro natura, perchè tutti gli uomini sono liberi per natura. Pure bisogna confessare che tutti questi bei • • •• pr1nc1p11 propugnati dai giuristi romani sono fiori sparsi in un campo silvestre. Codesti uomini che sembravano portatori d"icÌee più umane furono invece i più grandi sostenitori dell'assolutismo romano. Difatti tutta la loro opera era intesa al consolidamento del potere imperiale. ·Donde la loro fa- • mosa espressione : tutto ciò che piace al principe
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==