Vita Nova - anno III - n. 7 - luglio 1927

38 ----------- UNIVERSITÀ FASCISTA :::::::::::::::::::::::::::::::::::::~::::::~~ Noi dobbiamo vivere, egli dice, come se nulla possedessimo ; anche le cose più care come i congiunti dobbiamo considerarle come semplici doni che ci possono venire rapiti quando che sia, e quindi se le perdiamo non dobbiamo rammaricarci per conservare la_perfetta tranquillità dell •animo. « Non dir mai, egli soggiunge, di cosa veruna : io l'ho perduta ; ma bene : io l'ho restituita. Ti è morto per avventura un figliuolo? tu l~hai renduto. Morta la tua donna? tu l'hai renduta .. Ti è stato tolto un podere ? or ·non è egli renduto anche questo » ? Morale veramente eroica, ma astratta e che possiamo ben definire morale della rassegnazione, la quale però non è di noi uomini, perchè urta contro le, esigenze incoercibili del mondo affettivo e passionale dello spirito umano. Giacchè appunto per conquistare la tranquillità assoluta dell'animo essa richiede che noi dobbiamo implacabilmente sopprimere tutti .quanti i nostri affetti, - tutte le nostre passioni. Non per nulla, secondo Epitteto ed altri stoici, la vita umana è paragonabile ad un banchetto : · « Tieni a mente che tu ti dèi governare in tutta la vita come a un banchetto .. Portasi attorno una vivanda. Ti si ferlna ella innanzi? Stendi la mano, e pigliane costumatamente. Passa oltre ? non la ritenere. Ancora non viene ? non ti scagliar però in là collo appetito : · aspetta che ella venga ». · Davanti ad una concezione morale così rigida e così antiumana, una concezione politica era fuori posto. Giacchè solo ad un patto la vita politica può sorgere, che si abbia coscienza del dramÌnatismo perenne dell •umanità, e quindi della lotta incessante degli interessi, delle passioni e degli affetti .umani. Le virtù come semplici virtù sono pallide ombre, perchè fuori dell'umanità che soffre e giois~e, che ' . ' . . e v1rtu e VIZIO. Difatti che virtù ·sarebbe mai quella che si stendesse come un cielo tranquillo e non solcato m•ai da nubi? La virtù è tale in quanto conosce il male e ne trionfa. Ora se la politica è la celebrazione della virtù, esso non può· torcere lo sguardo da questo mondo pieno di luci ma anche di ombre. Ecco perchè la concezione stoica dimostrò la sua impotenza : la sua morale irreale e falsa per tanta parte era la negazione della vera virtù, e quindi della politica. Profondamente diversa e decisamente rivoluzionaria è invece la morale bandita dal Cristianesimo, ma questa non si può comprendere appienQ Biblioteca G·no Bianco se non ci rifacciamo dall'Ebraismo, di cui esso è una mirabile continuazione. L'Ebraismo, come si sa, ha la sua massima espressione nel Mosaismo, perchè appunto da Mosè, il grande legislatore degli Ebrei ha origine il con- \ . cetto più alto che esso abbia avuto e che consiste 1 nella rappresentazione della personalità di Dio. Questo concetto segnava una grande differenza fra la religione ebraica e quella degli altri popoli. Nell'India p. es. Dio è unità, ma non è personalità. Tanto il Bramanesimo quanto il Buddismo hanno di Dio un concetto indeterminato, generico, impersonale. Nella Persia si hanno due pr.incipii ugualmente ·originarii, il principio del bene e il principio del male, e però due infiniti, che è quanto dire il circolo quad~ato. Onde rettamente si può affermare che il principio della -personalità di1/ina costituisce la peculiarità della religione ebraica; . principio d'una importanza eccezionale, perchè esso è intimamente connesso con quello della personalità umana. Ora .possiamo renderci piena ragione del fatto che tutta I• antichità, malg~ado taluni suoi principii vividi e profondi, non riuscì a costruire il concetto vero della personalità o della dignità umana. La quale solo è possibile, giova fiipeterlo, in quanto s'inserisce in una concezione dell'assoluto come personalità, cioè come autocoscienza. Ciò, secondo· noi, forma la grande originalità dell'Ebraismo. Tuttavia bisogna riconoscere che il Dio degli Ebrei non era così puro o così spirituale come a prima vista si potrebbe supporre. Giacchè gli Ebrei avevano una concezione troppo angusta della loro nazionalità, e però mal~rado che in più luoghi della Bibbia sia detto che Dio è uno solo, questo ' era concepito come un Dio nazionale. E risaputo da tutti che il popolo ebraico si considerava come il popolo eletto, e quindi era ovvio che Dio riservasse a lui tutte le ·sue grazie. Di qui anche il concetto di un E>io geloso, vendicatore, umano. Donde la rappresentazione di Dio come un fuoco divorante che punisce le inicquità dei padri sui figli fino alla terza e alla quarta generazione.- Ma noi a questo punto non vogliamo fare la critica della concezione monoteistica degli Ebrei ; a noi importa soltanto notare che la concezione religiosa in essi s'identifica perfettamente colla concezione politica. Difatti la legislazione di Mosè è condensata tutta nei famosi dieci comandamenti, dei quali i primi tr~ concernono le rela- . I

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