Vita Nova - anno III - n. 3 - marzo 1927

f>ROF. ÒIUSEPPE SAlrf À STORIA DELLA POLITICA IV. DA. PLATONE AD ARISTOTELE , Prima noi abbiamo parlato del concetto dello Stato di Platone, quale si presenta nei suoi dialogiii sulia Repubblica, ma non abbiamo fatto se non un semplice cenno di quegli altri dialoghi Le Leggi che dobbiamo cercare d'intendere per avere un concetto pieno dello sviluppo della polica platonica. In questi ultimi dialoghi, difatti, l'idealismo unitario, rigido si smussa via via, e lo Stato non appare più come una sola testa, un solo ·cuore, un ... ~olo sentimento, anzi il principio del comunismo è considerato come una semplice fantasia. Platone nelle Leggi s'avvia risolutamente al motivo ispiratore del suo intimo filosofare, cioè alla realtà trascendente, per il quale rinunz~a a parecchi concetti svolti così artisticamente e così suggestivamente sulla Repubblica. Il difetto fondamentale della politica platonica, come si è visto, è costituito dall'autoritarismo dentro le cui maglie non c•era p·osto pèr I' individuo, per il particolare. Nelle Leggi Platone non rigetta interamente questo concetto, ma cerca di conciliarlo col principio della libertà. L'autorità per sè sola rappresenta la necessità, la quale implica il determinismo, r uniformità, l'uguaglianza. Questo difetto dell'autoritarismo egli intuisce quando parlando delle costituzioni le ri- .duce a due : alla monarchica e alla democratica. Difatti la monarchia rappresenta il principio del- . l'autorità, laddove la democrazia quella della li- ~ertà. Platone cerca di_conciliarle, ma la sua conBianéo ' ciliazione è eclettica, cio~ non dedotta da un prin- • • • c1p10 rigoroso. Aristotele ebbe la visione esatta delle man• chevolezze dell'universalismo_ del suo grande maestro, che per il suo slancio mistico si era rinserrato dentro il mondo delle idee, immobili, eterne, e per ciò, come si sa, egli muove da una critica sistematica della posizione che assunse Platone. Il filosofo del concreto, dell'esperienza, come è stato chiamato Aristotele, ha in -uggia le idee , astratte, universali, coè sterili, perchè non capaci di realizzarsi. La stessa morale è tale in quanto rappresenta il bene nostro, e per ciò egli fa osservare che il bene dello Stato che non sia il bene dell'individuo è qualche cosa di vuoto. Pure non bi:1ogna credere che Aristotele rappresenti l'antitesi di Platone: egli sebbene muova dal concreto dall'esperienza, dal ciò che è, risale costantemente ai principi primi, cioè agli universali. Il. che si può fare soltanto mediante l'analisi, la quale riduce il fatto complesso .nei suoi elementi, e quindi va in cerca del concreto, dell'individuale. Per questo senso vivacissimo del concreto Aristotile non può aderire al concetto del bene • in sè e per sè. Per lui il vero bene è quello che è in noi, cioè la_ f elici~à, della quale egli per la prima volta dà una dottrina sistematica e profonda. Sono gli atti . umani quelli da cui dipende la felicità : donae il principio dell'autarchia o della suffi- _cienza di se stesso, per il quale il destino di cui ai •

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==