Vita Nova - anno III - n. 3 - marzo 1927

TARANTO FORTE NAVE o· ITALIA 147 rimase per vivere. Vi portò tutto ciò che la sua madre patria aveva già creato, ma vi aggiunse qualche cosa' di nuovo che era il frutto della nuova terra. E il nome di Siracusa, quello di Taranto - regine del J onio - raggiò nell'antichità come quello di Atene, come quello di Sparta. « Intorno a sè, nelle luminose vie della vita, il Greco chiama adunque i suoi dei ed i suoi eroi. Li vuole solennemente immobili nei simulacri, li vuole attivamente operanti nella scultura architettonica che con fregio di trigli fì e di metope e con frontone cinge granitica collana ed alto diadema ai templi, li vuole gaiamente dipinti sui vasi con i quali attinge l'acqua, mescola il vino, propizia nei banchetti, li vuole incisi sul castone dell'anello con cui ~uggella il contratto, li vuole impressi sulle monete » - ed i dischi argentei di Taranto portano l' immagine di Taras, il divino figlio di Poseidone, armato di tridente e vagante a cavallo del delfino pei mari italici. « Ei ricorda a se stesso in tutti gli istanti della sua vita un mondo di esseri superiori » ed evoca la randagia gente Jonica venuta da Creta e le fatiche leggendarie di Falanto che vi condusse una colonia di Partenii. Dagli scavi afRuiscono in Taranto le reliquie del1'arte micenea, i frammenti delle piccole e grandi statue degli iddii, che la città antica accoglieva nel1'anfìteatro, nell'acropoli, nel foro, nei templi dorici, le colonne di marmi orientali, le anfore, le vivaci • policromie musive ellenistiche che hanno come un profumo inebriante di primavera orientale, gli idoletti fittili modellati con delicato magistero, le monete, le sculture rivelatrici della corruzione tarantina, e le iscrizioni ritmiche, che apportano nuova luce sulla religione, la filosofia, l'arte, i costumi delle genti del Jonio ed elevano un inno alle antiche deità del cielo ►· alle gra2ie della terra ed alla bellezza immortale. Ma più dovizioso sarebbe il patrimonio artistico dell'epoca ellenica se, alla rapina ed alla devastazione del periodo barbarico « non si fossero aggiunte - ed invano elevò la voce, in difesa dell'arte, Pietro ,Marti - la brutale ignoranza delle masse, la incuria dei governi e la libidine speculatrice dei mercanti >>,. per cui molte opere insigni migrarono e migrano ancora in terre straniere. Rammentiamo alcuni pezzi di argenteria incrostati d'oro, che, per l'accento spirituale del lavoro e per la finezza dell' ellenismo rielaborato nell'arte tarantina, formano una serie originale: il calice argenteo niellato (< che il banchiere Carlo Cacace vendette, nel 1899, al barone Rotschild, i-1quale poi ne fece ambito e vistoso dono al Museo del Louvre >>; la coppa d'argento figurato, che un contadino rinvenne nelle campagne di Taranto nel 1900 e cedette, per meschino guadagno, sul mercato di Bitonto, alla Direzione del Museo provinciale di Bari, r- ora involata!! - e l'anfora vitrea, con teste bianche a sbalzo su sfondo celeste, rivenuta nella necropoli di Muro leccese, verso il 1870, ed oggi custoTARAr TO - JL CA .-\LE NAVIGABILE ED IL PONTE GIREVOLE Bibliote a Gino Bianco

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