Vita Nova - anno II - n. 2 - febbraio 1926

' I ,, VITA NOVA che anche nelle cose umili della vita si guardasse bene dal rispetto umano. Vi fu un tempo in cui, abitando a Genova, aveva presa l'abitudine di comprare lui stesso, di tanto in tanto, qualche grosso pesce e portarselo a casa. Un giorno che si fermò al solito banco del pescivendolo Giacomo Origo, il quale aveva voce di basso ed era cantante di chiesa e di teatro, questi gli disse: " Mi permetta, signor Maestro, di dirle che canto in teatro in qualità di basso comprimario, e che appunto in questa stagione faccio il Re nella sua Aida''. Verdi sorrise del suo solito risolino arguto e rispose : " Mi rallegro con lei, ma scommetto che ella guadagna di più. a vendere questi bei pesci che non a cingere la corona reale nella mia opera ". E, dopo averlo salutato, si allontanò nella carrozza che lo accompagnava sempre. La sera in teatro l' Origo raccontò l'episodio, che I' indomani tutta Genova ripeteva. *** · Verdi fu, fino agli ultimi anni di vita, assiduo frequentatore di Montecatini. Ma non vi discorreva mai di musica e di musicisti, nè amava che altri , ne parlasse con lui. A .pranzo finito si faceva servire il caffè sulla terrazza, e, dopo una passeggiatina si recava in carnera ove lavorava fin oltre la mezzanotte. L'appartamento di Verdi non veniva mai modificato in nulla. Uri giorno che al maestro di casa venne in mente di cambiargli una poltrona, poco mancò che il povero uomo non cadesse in disgrazia. Verdi non volle che si rimovesse di posto nemmeno il tavolino sul quale scriveva e componeva, rigando da sè la carta. È certo, ornai, che a quel tavolino egli dette l'ultima mano all'Otello e al Falstaf/.. Un giorno Verdi era seduto al caffè. Il pubblico sÌ"accorse della sua presenza ed il direttore di una piccola orchestra che suonava poco lungi credette di fare un bel gesto presentandosi, nel primo intermezzo, al Maestro per chiedergli qual pezzo di una sua opera desiderasse sentire. Verdi rispose un po' seccato: " Scelga lei, ma non suoni musica di Verdi ". Il poveretto non ebbe l'ardire di insistere e se ne tornò al suo posto un poco avvilito. E siccome uno degli amici si mostrò ammirato col Verdi per la sua modestia, questi rispose : " No, caro, non è questione di modestia, gli è che, quando mi riesce, cerco di risparmiarmi il dolore di sentire maltrattata la mia musica ". Questa paura di vedere maltrattata la sua musica lo spinse una volta a Sant'Agata a un passo disperato. È noto l'amore che egli avesse per certi suoi grossi e robusti cani, ad uno dei quali, quando morì, elevò un tumulo nel suo giardino, sul quale scrisse : " Qui riposa un vero amico ". Di quei cani si servì un giorno per prendersi vendetta di certi disgraziati suonatori girovaghi che si erano recati sotto alla sua villa a suonare e massacrare qualche pezzo dell'Aida. Spalancatisi subito i canioteca Gino • 1anco celli ne balzarono fuori, con rapidità fulminea, _tutta i mastini e ai malcapitati non restò che fuggire a gambe levate verso Busseto. .. Nell'ultimo anno della sua vita, sempre a Montecatini, era intorno a lui una contin~a gara per _procu: rarsi qualche suo rico!do.. ~pec1alm~nte ~1cerc~t! erano dalle signore i b1cch1er1 entro I q~ah Ver?• beveva l'acqua benefica. Una ~olta, pe~ g1u~gere 1n tempo, la contessa F. si affre!to ad offrire cinquanta lire al cameriere a cui Verdi aveva appena passa~• il calice vuoto. Ma Verdi, che se ne accorse, strappò il bicchiere di mano alla contessa e lo battè a terra esclamando indignato: '' Se valgo qualche çosa, non sono gli avanzi del mio ~icchi~re che si devon~ così scioccamente mercanteggiare! . La dama, pallida e confusa, non seppe rispondere e si ritrasse. Ma, poco dopo, Verdi, pentito dello sgarbo commessg, le inviò manoscritta l'aria del Rigoletto " la donna è mobile " con questa aggiunta: " ... ma anche l'uomo, purtroppo! Non so se valgano più queste note o gli avanzi del mio bicchiere. A ogni modo, senza spesa ". Nel 1873, trovandosi a Napoli per la prima dell'Aida, a causa della malattia della Stolz, che fece rimahdare lo spettacolo, compose, per ingannare il tempo un quartetto di archi. Ma non volle mai farlo eseguire in pubblico, perchè riteneva di non dovergli dare importanza, e anche perchè il quartetto in Italia, era, secondo lui, pianta fuori di clima. Florimo riuscì, poi, a procurarsi il manoscritto per la biblioteca di+S. Pietro a Majella. Allo.rchè si dette il Falstaf/ alla Scala (1893) il Maestro aveva compiuto gli ottanta anni. Alla grandiosa serata volle intervenire anche· l' on. Martini, allora Ministro della P. I. Dopo il secondo atto al Verdi pervenne un telegramma del Re Umberto ed egli, commosso, vi rispose con un biglietto che il Ministro si impegnò di portare a Roma. Era appena ritornato alla Capitale quando riceveva questo telegramma dal Maestro: '' Leggo Perseveranza annuncio titolo marchese. Mi rivolgo a lei come artista perchè faccia tutto il possibile impedirlo. Ciò non toglie mia riconoscenza che sarà maggiore se nomina non· avviene ". Martini cadde dalle nuvole, nulla sapend• di ciò, e ne chiese al Re, che, ben conoscendo l' indole di Verdi, non aveva mai pensato a nulla di simile. La diceria risultò, poi, creata dai giornali americani che, anche dopo, vi ricamarono sopra. Verdi sarebbe stato indicato dal Re per il collare dell'Annunziata. Crispi, che era Presidente del Consiglio, si sarebbe opposto. Martini esigette allora, il titolo di marchese di Busseto. Ma, .a tagliar corto, il Maestro aveva sdegnosamente respinto il decreto. L'on. Martini si a~ rettò a. rassicurare Verdi che mai si era pensato di aristocrat1~zare la ~ua gloria : ma Verdi tenne sempre per certo il tentativo, e, mentre era felice di essere g~unto in te":iP.? a sventarlo, serbò perenne gratitudine a Mart1n1 per essersi subito arreso alla sua preghiera. ARTURO LANCELLOTTI · r

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