L· ultimo capitolo contiene alcuni importanti dettagl•i che possono servire non poco allo studio della storia giuridica ed econbmica del Medioevo italiano. Nel complesso, questa di Volpe non è, sfortunatamente, un·opera organica, ma egli ste6SO lo preavvisa nella prefazione; è una raccolta di articoli vecchi e recenti, ma di grande e vivo interesse particolare e generale. BRUNO BIANCINI ALFREDO TESTONI : Ricordi di Teatro. Bologna, Zanichelli. 1925. In questo tempo di scarsa e cattiva produzione nel ramo della letteratura amena, J' ultimo lavoro del Testoni forma, oso d•irlo, una spec.ie di balsamo per il pubblico dei lettori, particolarmente bolognese, in quanto fa rivivere ,i momenti più caratteristici di mi' epoca alleg,ra e' patriarcale che lentamente va spegnendosi con i suoi ultimi campioni, per cui fra poco non r,imarrà che il ricordo scr.itto. E forse per questo I' A. avrà voluto fissare ancora altre traccie indelebili della vita bolognese d · una volta. col racchiudere in un volume gli episodi più gustosi concernenti, non solo alla sua vita quasi bohèmien di pubblicista, carattecizzata dalla scapigliata per quanto aspra carriera di autore drammatico, bensì a qu_eTia d 1 quasi tutti i suoi contemporanei, molti dei quali ancora v-iventi, con cui egli divise i contrasti e la spensieratezza deìlla gioventù operosa. Dalle sue pagine è un'incessante sfilare di capicomici, attori, autori e artisti di ogni fattta, molti di cui diventati celebri ad opera del tempo, quali la Duse, il Novelli, il Zacconi, ecc. ; è tutta la formidabile schiera eletta della· vecchia Bologna del Caffè del Corso, del Brunetti, del Mercato di Mezzo e specialmente ~el Catlè dell'Arena che sapientemente rivive nelle situazioni più piccanti in cui si trovò coinvolta e nei lati suoi più umoristici. I racconti scritti con molta verve, in istile agilissimo e senza alcuno arti6zio rettorico, comunicano tutti un senso gratissimo di nostalgìa petroniana : splendidi fiori appas- . siti a cagione del tempo ma esalanti ancora profumo ... BRUNO BIANCINI QUESTIONI DEL GIORNO Il centenario di Stefano Turr. ~ A fine di novembre si è commemorato in Roma, con l' ~,nte~ento delle più illustri. personalità italiane ed ungheresi, il centenMio del generale Stefano Tiirr. Primi, Mussolinri e il Duca D'Aosta. Ma basta .il Campidoglio a dar ~ome di celebrazione mondiale ai fasti che vi si compiono. Sarebbe imprudente, tuttavia, affermare che il ricordo del Tiirr ed il discorso ufficiale della sua erede Stefania abbiano troppo commosso il popolo italiano. Non sarebbe, dunque, una «questione del giorno» il preclaro avvenimento, se non vi si dovessero com.mettere i problemi più vitali della nostra influenza adiriaco-danubiana e se, dal r~ordo degli eventi, non dovessimo trrarre ~prone ed -ammaestramento, come dicono i discor.si alr ora dell. arrosto, quando c.. è più poco da fare. Come si fa a salutare in Italia, madre del diritto e creatrice della più originale dottrina della nazionalità da Alberico Gentile a Mazzini, la valkiria cavalcante della 1nemoria del-l'Ungherese, quando l'Ungheria è stata ridotta da trattati che recano anche la firma dell'Italia, ad· un aborto di nazione? Non è una protesta sentimentale, questa, solo perchè l'Italia moderna è estranea a-i valli romani del Danubio. L'Ungheria mutilata fa parte di quel sistema politico del vicino Oriente Europeo che è la più grande infamia uscita dal dopo guerra; e capace da sola di riabilitare la Santa Alleanza. Il sistema ha voluto infranto sopratutto un baluardo slavo che era sull'Adriatico la prova eroica della possibile fratellanza italo slava auspicata da Mazzini : il Montenegro. Se ci è estraneo il vallo danubi~no, o accorta e sapiente ombra di T iirr, fa parte de) nostro sistema « sentimentale ed imperiale » : della nostra vita morale di nazione, . ' c1oe. • Bibl·oteca Gino Bianco • ' E no1 ne facciamo una questione del giorno, con capairbietà monotona; la questione è una miccia accesa ed il mondo sa che I' an,ima italiana è asciuttissima. La fine del Montenegro. E rinnoviamo ad ogni occasione la protesta. Perchè i signori della cosidetta Società delle Nazioni, eredi di non so quale protocollo versaillese, debbono finalmente metters; in capo che la loro commedia non è neppure decente se tollerano che nei confronti del Montenegro si siano me6se perfino quelle innocue formalità del diritto internazionale che fonnano la delizia dei libri colorati delle Cancellerie : per esempio il plebiscito. Si è reso così il popolo responsabile di pretesi errori di princ1p1, di gelosie tra dinastie, di baratti compiuti tra pochi e per pochi. Nemmeno la Germania vincitrice avrebbe osato più completo e più assurdo rinnovamento delle elementairi regole della pace i11temazionale. Nemmeno la malafede di un sultano turco avrebbe •potuto dimenticare la figura storica e giuridica del popolo montenegrino partecipe dell'Intesa ! Pmtroppo l'Italia fu terribilmente assente dal regolamento intemazionale del dopoguerra. Essa che avrebbe dovuto difendere il popolo adriat-ico {!ella ·Czernagora, non fu nemmeno vigilante sembrandole eresia occuparsi della patria della sua Regina, mentre lasciava diilapidare •il patrimonio ideale e reale di Fiume e della Dalmazia. E forse ebbe ragione. Così, noi, i vincitori, protestiamo. Prott:.4Stiamo riconoscendo che il signor Radic ha perfettamente rag•ione di preoccuparsi dello stato d'animo degli italiani verso i fratelli Dalmati; protestiamo perchè gli italiani ricordino di associare nell'idea di un'unica rivendicazione la Dalmazia al Montenegro. Quando il colonnello Viallade Sommières visitò il Montenegro per conto delle armate napoloeniche, scrisse: « Passavamo a poca distanza da un villaggio e ci fermammo con la barca onde sentire qualche cosa di nuovo. Un uomo, alto della persona, sedeva con alquanti compagni dinanzi alla capanna. E.gli era il Presidente del Senato, r oratore del Parlamento ». Ma invece di eccitargli un facile umorismo, quella vista straordinaria di un popolo di guerrieri-pastori, gli fa aggiungere: « Certo, se centomila francesi si ponessero in capo di penetrare i.in questo paese, vi perverrebbero. I nostri fasti, ci offrono, dei fatti, per lo meno, altrettanto straordinari. I romani vi arrivarono con meno soldati. Ma ... » Ma i serbi del signor Radic vi sono giunti con un pezzo di ca.rta mal,amctpte vergato a Versailles. I romani lasciarono sempre indipendente il Montenegro che, del resto. non ha nulla a che fare con gli antichi Labeates ; e lo avrebbero lasciato tale anche i generali francesi Ma·rmont e Malitor seguendo il consiglio del colonnello Vialla, se il Montenegro non avesse lui, proprio lui, preteso l'onore d•intromettersi tra le grandi guerre di Francia, Austria e Russia. Fu lo stesso a•rdimento che spinse il Montenegro a rompere per primo in guerra contro la Turchia, iniziando ·dopo l'eco delle cannonate di T ripoli, la prima guerra b~lcanica, ossia la guerra mondiale. Ma queste audacie sono tutt ·altro che ~olli : mal~rado la classica nostra ignoranza in fatto dt geografia storica, dobbiamo aver bene compreso che col Montenegro e dal ~o,nteneg~o si può tutto osare; con un paese, c1oe, dall aspetto terribile come un castello irto .di bastioni e con un popolo così esperto nell a~te della guerra che ha un proverbio ~he dice : « dove passano gli uomini. passano 1 cannoni ». Il Montenegro è per questo la ,.
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