• RECENSIONI GEORGES V ALOIS : La révolution nationale, in-16, pp. 190, Paris, cc Nouvelle Librairie Nationale ». Ci sono due aspetti dello spinto europeo verso di noi : da una parte, alligna e si dilaga la propaganda antifascista, rinfocolata da forze massoniche e democratiche, socialiste e bolsceviche ; ma dall'altra in molti paesi stranieri si guarda al movimento fascista come ad un esempio da invidiare e - ove sia possibile - da imitare. Su quest'ultimo punto, a dire il vero, c'è molto da dire e forse è giusta la sentenza di chi afferma che (( il Fascismo non è merce di esportazione ». Resta però il fatto che il Fascismo ha dato uno stile ed un incitamento alle diverse forme di resistenza antibolscevica che oggi fioriscono in Europa. L · Inghilterra ha i suoi fascisti, nella Spagna alcuni scrittori politici, come il Perez Bueno, affermano la necessità di un regime fascistico; in Francia, mentre politici di destra acuti e dotti come il Maurras e il Johannet studiano con profondo interesse il fascismo, fiorisce su di esso tutta una letteratura che va da L' ltalie vivante di Paul Hazard (un libro onesto e vivo) ad un volume di Alphonse Séché, Le dictateur, che ha raggiunto in breve la settima edizione, solo perchè nel problema politico generale, si è visto cc le problème du jour ». A questo tipo di letteratura si rico.1duce anche il libro che Georges Valois ha intitolato La révolution nationale. L'autore non parl'l molto del Fascismo, ma si sente che l'esempio di tale mov.imento è in lui vivissimo e presente. Il V alois - autore di notevoli saagi di filosofia politica - sostiene che la Francia ha la necessità di una vera rivoluzione, che sovverta le vecchie istituzion.i parlamentar,i e costituzionali, fondando un nuovo stato etico basato, non su quelle che egli chiama virtù borghesi, ma sulle virtù eroiche. Ad assolvere tale còmpito egli chiama i combattenti : il V alois pensa infatti che lo spirito più vero e profondo del Combattentifmo possa costruire, in atto, una concezione politica in cui lo spirito eroico abbia il dominio e si serva - come di un mezzo subordinato - delle forze sociali latenti nella borghesia. Le virtù borghesi, afferma il V alois, possono essere grandi al loro giusto posto - cioè nell'organizzazione economica e sociale - ma non sono tali da poter comandare nello Stato. La salvezza è invece nell'unione degli uomin,i che sono animati dallo spirito eroico: essi solo possono creare uno Stato nazionale, che abbatterà la plutocrazia democratica e borghese dominante in Francia e cercherà poi nelle diverse classi sociali gli strumenti operosi e fattivi - non i dominatori - della Nazione. *** . E' questo un libro non privo di qualche ingenuità, che però merita di essere letto e meditato per due ragioni : anzi tutto, la critica della democrazia francese del dopoguerra è fatta con acuta competenza e con uno stile vivo che appassiona il lettore ; in secondo luogo, esso è un interessante segno dei tempi, e precorre forse a più larghi rinnovamenti nella vita della Nazione francese. Ma quando il Valois parla della borghesia (in polemica contro il Johannet che aveva scritto un Eloge du Bourgeois) non si avvede della difficoltà di determinare, socialmente e psicologicamente, il concetto di borghesia (ed in genere quello di classe sociale). Nè pertanto è pqssibile una divisione netta fra borghesi e combattenti, fra virtù borghesi e virtù eroiche poichè il Combattentismo è sorto da tutte le ·classi ed è .innegabile che la stessa borghesia vi ha avuto gran parte. Infine il V alois non tiene conto del puro formalismo della sua concezione : quale contenuto ideale darà il Combattentismo alle proprie aspirazioni eroiche? Chi lo assicura che, evolvendosi, esso non dòmini lo Stato in un modo assai diverso da quello eh' egli vagheggia~ A tale incertezza l'autore porta rimedio ponendo, come necessaria, l'esigenza monarchica. In sulle prime sembra che il V alois si limiti a propugnare una dittatura. Occorre, egli dice, un capo. E si domanda: (< est-il héréditaire? est-il chef tempora.ire? ... qui fait le chef? Le débat est ouvert ». Ma egli aggiunge subito: « Sur la terre italienne, l' expérience donne une double leçon: l'hérédité a foumi le chef de )a continuité nationale; le chef de l' eure s·est fait de lui meme, et le chef héréditaire a consacré son entreprise, sa réussite au nom de la continuité ». Su l'esempio ;taliano, per il Valois, « le débat est c!os ». Il suo libro conclude quindi con una concezione monarchica. E questo è, nell'opera sua, il più vivo segno dei .tempi. VALENTINO PICCOLI MARIO VINCIGUERRA_: Un quarto di secolo. 1900-1925. ln-16, pp. 83, Torino, Editore P. Gc,betti. Assai arduo è scrivere sui propri contemporanei - e particolarmente difficile è raccogliere in un quadro organico i molteplici .aspetti di una cultura e di una storia che sono tuttora nel loro divenire. Nè saprei dire quanto giovino questi sommari sistemi, che servono tutto al più come promemoria provv,isort ad uso dei posteri, o come affermazione di un singolo punto di vista. Premesse qu'!ste considerazioni, già s'intende il valore relativo e passeggiero che noi attriBiblioteca Gi o Bianco buiamo al denso volumetto che Mario Vinciguerra ha intitolato Un quarto di secolo. Esso presenta poi anche un grave difetto di metodo: mentre, data la sua brevità, sembra voler proporsi una sintesi organica, in cui le linee di pensiero e le correnti abbiano 11 scpravvento sui singoli uomini. I p autore ama soffermarsi invee~ a profilare questo o quello, dissolvendo l'iniziale tentativo di sintesi in una lineare rassegna di personaggi - non tutti veramente di prima linea. Ma il libro - e per l'argomento di cui tratta, e per certa 011iginalità di vedute e vigoria di stile - si fa leggere d'un fiato, attraverso una serie di reazioni e discussioni.· E · questo è certo un pregio non trascurabile. Ma quanti arbitrii nel quadro del Vinciguerra ! Dopo avere delineato alla brava, ma con tratti sicuri, il crepuscolo del secolo XIX e il movimento fiorentino della Voce, il V~nciguerra pone a centro del suo quadro, nel periodo preparatorio, la figura di Benedetto Croce. Questi gli appare un solitario, capito solo in parte, pe-r l' Estetica, sì che l'intuizione pura, destinatia a passare « dall'arte alla vita >>, aggiungerà « un nuovo e potente impulso alle tendenze disgregatric,i della vita sociale italiana dopo il '900 ». Sarebbe il caso di chiedere al Yinciguerra che. cosa sia un passaggio dell'intuizione « dall'arte alla vita >>, e se sia possibile ·porre l'arte e la vita come termini antitetici senza cadere nel più vieto positivismo. Ma questa controversia ci porterebbe troppo lontano. D'altl"a parte su quesbi passaggi è basato tutto il meccanismo del libro del Vinciguerra, che fa, di questo Croce male inteso, l'involontario preparatore del miraco!.ismo e del marinettismo. In quest ·ultimo campo il tramite fra Croce e Marinetti sarebbe Papini, il quale non è ma.i stato, in alcun modo crociano ed ha una mentalità essenzialmente anticrooiaina. In realtà, il Y,inciguerra ha intuito bene 1• iniziale fraintendimento del crocismo, ma ne ha esagerato le conseguenze, riducendo ad un solo elemento quella fitta rete di correnti intellettualistiche e di fattori psicologici e sociali che ha preparato lo stato d •animo dell'intervento nella guerra europea. Questo - che è senza dubbio I ',inizio di un periodo di tormento eroico e fecondo e di transizione complessa - appare al Vinciguerra l'inizio del caos, il grande errore da cui il Croce rifuggiva. Non cosl il Gentile (che però, si badi bene, si era staccato filosoficamente dal Croce sino dal 1913) ; e il filosofo dell 'attual-ismo appare al Vinciguerra - nelle pagine meno sicure del suo libro - come colui che giova agli adattamenti del pensiero e dell •azione. e serve a portare alle ultime conseguenze un attiv ·smo che è caro a Marinetti : in questo I •
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