ùna ragione più forte, non industriale, ma 6nanziaria. . Ricordiamo il piano DAWES, il grande trionfo della finanza anglo-sassone, la quale riuscì ad imporre il suo dominio sulla Germania ed a assicurarselo per I' avvenire con solide garanzie, a traverso la caduta del marco e· la emissione del nuovo marco-oro. Non è escluso che negli ambiziosi sogni della finanza anglo-americana sia apparso un piano non troppo differente -da quello DAWES, da esperimentarsi a tutto beneficio delle due sorelle latine. Ma nè la Francia, nè l' Italia, finanziariamente meno forte dellaF rancia, ma politicamente, per merito delI' attuale indirizzo di governo, formidabile ,asseconderanno le aspirazioni indiscrete dei padroni dell' oro mondiale .Collaborare sempre, da pari a pari, servire mai. A proposito dell' oro americano io non sono d' accordo con quegli scrittori, come il sen. EINAUDI, che vorrebbero respingerlo a qualunque patto. Bisogna distinguere : I' immigrazione in Italia dei capitali monetari americani potrebbe essere di grande vantaggio per le nostre industrie e i prestiti monetari potrebbero anche servire non per stabilizzare la lira al valore attuale ma per la rivalutazione graduale e convalidarne a suo tempo il nuovo valore. Il « giammai » del sen EINAUDI è troppo aprioristico : si tratta di veder chiaro nelle condizioni dei prestiti, di stabilirne esattamente il fine e di premunirci contro gli eventuali effetti politico-finanziari di una partecipazione più diretta della finanza straniera alla nostra vita economica. Forse che oggi la finanza italiana può dirsi immune da influenze straniere? Si renda più intensa se è possibile, massima nell'interesse italiano, la collaborazione colla finanza estera, ma si diminuisca più che si può la nostra dipendenza risolvendo finalmente con nuovi ordinamenti il massimo problema italiano cioè quello bancario: della banca di emissione e delle banche ordi- • nar1e. Sempre negli << Annali » dell'Università Bocconi ha visto la luce un amplissimo studio del Sen. Einaudi sulla Terrae l' impasta, distinto in tre parti : il problema storico, il problema teorico ed il problema tecnico. La parte fondamentale è la seconda, nella quale dopo un'analisi accurata dei redditi derivati dalla terra, si vuol stabilire quale dev'essere l'oggetto dell' imposta terriera. Secondo l 'A. i soprarrediti terrieri non debbono essere assoggettati ali' imposta, per gravi ragioni tecniche ed economiche. L'oggetto Vl;.[A NOWA dell'imposta è il reddito ordinario e non il reddito effettivo, esclusa dunque ogni pretesa di colpire i soprarredditi. Una grande scoperta, scrive l' Einaudi, fu fatta in Lombardia ali' epoca del primo censimento milanese ( 1718) che già il Messedaglia aveva definito il -<< modello degli odierni catasti », una scoperta che, per la grandezza dei benefici arrecati ali' economia pubblica ben può paragonarsi alle maggiori di che si vanti la scienza economica : essere oggetto proprio di tassazione non il reddito effettivo agrario, ma il reddito ordinario. Due nostri grandi scrittori Gian Rinaldo Carli e Carlo Cattaneo descrissero, in pagine memorabili, i- meravigliosi effetti del censimento milanese nel quale, per ripetere le parole del Carli, compariva la provvida agevolezza per cui i miglioramenti de Ile terre, sia per nuova cultura delle incolte, sia per nuove piantagioni di gelsi ed altre utili piante, sono esenti da ogni aumento di censo, cosicchè· quel terreno che è stato posto in estimo come incolto e però aggravato da minima tenue porzione di carico, divenuto colto e fruttifero seguita a pagare senza aumento alcuno il medesimo carico di prima. Ali' incontro q~ei terreni i quali al tempo della stima si sono ritrovati colti, se mai per incuria o per negligenza divengono di peggiore condizione, rimangono senza diminuzione alcuna sotto il medesimo tributo. Cosl con una operazione sola si punisce l' inerzia e si premia l'industria: il che è stato sempre presso i politici un problema di difficile soluzione >>. Penso anch'io che sia necessario far ritorno, in finanza ed in economia, alle tradizioni luminose della scienza italiana che andarono purtroppo oscurandosi lungo il secolo XIX. Il Sen. Einaudi ha rievocato opportunamente gli ammaestrainenti finanziari del Cattaneo e del Carli « uomini vèramenti grandi », cùi dovremo ispirarci in una riforma veramente organica della nostra finanza agraria non foss'altro per fiancheggiare potentemente 1a grande campa - gna condotta dal governo per l' incremento della produzione nazionale che culmina nella battaglia, e ormai - vittoria, del grano. Ma in tutti gli economisti italiani di quello stesso secolo, come ho cercate più volte di dimostrare, vi sono pagine memorabili, la cui rinnovata meditazione potrà liberarci da tanti errori di Filosofia e di politica economica nei quali siamo caduti sino ad oggi per la Biblioteca Gino Bianc I J 45 mania d'accogliere senza discutere tutto quello che ci viene di fuori. Osservazioni originali se .non sem- • • • pre persuasive contiene uno scritto del G1N1, Problemi di economiavisti da uno statistico (negli « Annali » cit.) Sorprende una affermazione che può apparire addirittura rivoluzionar:a e che s'incontra subito alla prima pagina : la rendita della terra non esiste, o meglio esiste a condizione che non sia previsto l'incremento di valore deIla terra. Il Gin i non è certo il primo a negare la teoria Ricardiana della rendita: lo hanno preceduto parecchi. Gia nei suoi « Prindpi di economia politica » (1848), I I, 16, 5, Stuart Mili dedica alcune pagine decisive alla critica della teoria negatrice della rendita. apparsa, fino da quei tempi, negli scritti dell'economista americano Carey. Sia pur vero, scrive tra l'altro il Mili, tutto quello che il Carty sostiene sùl costo di trasformazione delle terre dal lo stato naturale allo stato attuale, resta sempre vero che se vi sono delle terre che non danno una r{ndita, quelle che la producono, la producono come conseguenza di qualche vantaggio che hanno sulle altre e la misura di. questo vantaggio è anche la misura della rendita. La causa della rendita è il monopolio naturale di codeste tErre, monopolio resultante dal fatto che non esiste altra terra in condizioni così vantaggiose per rifornire il mercato. Così lo Stuart Mili e con lui ormai tutti gli economisti. Ma il Gini nega che esista « nor• malmente » una rendita della terra « una rendita sistematica della terra può difficilmente verificarsi », essa non si verificherebbe in ogni mcdo che per uno di quegli errori di previsione da cui l'eco nomia teorica, in quanto presuppone la rispondenza dei mezzi al fìne, prescinde nelle sue costruzioni. La impressione che vi sia una « rendita sistematica » della terra deriverebbe da un computo incompleto del costo in quanto non si include in questo quella sua parte che consiste nell'astensione dal percepire una frazione (talvolta la totalità) dello interesse corrente del capitale investito. Sia, per esempio, un fondo il cui affitto, al netto d'ogni spesa, è oggi di 6000 lire, ma il cui valore - e analogamente l'affitto - si prevede che cresca del 2 ù/ 0 all'anno. Il valore commerciale del fondo non sarà di 100.0CO lire, come sarebbe stato qualora nessun aumento fosse previsto,
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