ITALIA SCONOSCIUTA Giosuè Carducci, commemorando il Poeta delle Ricordanze nel <( natìo borgo selvaggio », esclamava vibratamente: << Se mai maligno animo di stranieri ... ne venga a ricordare che troppo a lungo durammo servi, noi rispondiamo, Dante; che troppo a lungo per le molle arti dimenticammo le severe fati che del pensiero, noi rispondiamo, Galileo; che troppo ci godemmo di leggerezze e vanità e lascivia disumana, noi rispondiamo, Leopardi ». E l' anima gagliarda del forte Artiere si esaltava vibrante al ricordo, alla rievocazione. Eppure gli stranieri - e non gli stranieri soltanto - continuano a misconoscere la virtù della nostra gente, eroica in guerra, più eroica in pace. Non gli stranieri soltanto, purtroppo! Che è infatti questo attardarsi in discussioni la cui importanza è pari solo alla vanità dei contendenti? Non li vedt te questi piccoli uomini, dirnentichi dtl ieri, incuranti del domani, perdersi nei viottoli bui delle n1iserabili querimonie? Per tante brave persone non esiste che una questione: la politica. E di quella peggiore. Il resto? Ma alla malora tutt' il resto. Tanto che si perde? Nulla. Che si può fare in Italia? Nulla. Siamo ancora in fasce e dobbiamo imparare a camminare se le altre nazioni vorranno: condurci con le dande ... Ebbene: a questa gente possiamo e dobbiamo rispondere che anche qui da noi, specialmente dar noi, si lavora; che qui c' è la forza di volontà, la {tenacia, l' abnegazione che non conoscono altra ambizione che quella della fatica duramente compiuta, altra sod- . disf azione che d' essere utile al proprio paese. Una prova ·_ e non è la sola - l' abbiamo nelle opere pubbliche che si vanno compiendo silenziosamente, mentre i giornali si indugiano con compiacenza sugli episodi e cercano di sfogare la loro impotenza sciorinando colonne su colonne per dimostrare che l' Italia non ha più neppure il conforto che consolava Gioacchino Rossini abbracciando l'ambasciatore di Spagna! lo avrei desiderato avere con me qualcuno di tali vociferatori nella visita fatta, in compagnia dei funzionari delle ferrovie, agli impianti idroelettrici suls·biiote a Gin Bianco • l'Appennino tosco-emiliano. È stata un~ di quelle gite che rallegrano lo spirito e ritemprano la fiducia nell' avvenire della nostra patria. Pensate: dopo gli impianti meravigliosi di Morbegno e di Bordonecchia, di Chiappella e di Torre del Lago, questi della Porrettana ! E si tratta di opere che fanno pensare ad una lotta di Titani contro la natura selvaggia; e non è, invece, che il piccolo uomo che con la forza del pensiero e con i muscoli riesce a dominare la montagna rocciosa, a deviare i corsi dei fiumi e dei torrenti ... E parliamone adunque a quelli che non c'erano. f. LA DIGA DI PAVENA VISTA DAL MONTE . . ' . . • • < , Il Quinet afferma che vi sono uomini che passano senza vedere la natura, ma uscendo da Bologna e inoltrandosi sulla via della Porrettana ciò non è possibile: il panorama aspro vi prende e vi costringe ali' ammirazione. Colli scagliosi quasi crucciati per la _ loro sterilità, gole fosche e vallate solcate dai corsi d'acqua. Ogni tanto un treno esce da un monte, lancia il suo sibilo acuto e stridulo per scomparire quasi ingoiato dalle viscere dell'Appennino. E la visione muta ad ogni svolta, ad ogni strozzatura della strada, e i ricordi ripopolano i luoghi dei vecchi Conti dominatori di queste vette che s' ergono fra il Savena e il Reno, e dei loro saccomanni e la necropoli etrusca di Marzabotto ci parla con voce fioca e lontana, della nostra antica grandezza. A Bagni della Porretta ci si incammina verso Mo-- lino del Pallone e ci fermiamo allo sbarramento del
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==