Vita Nova - anno I - n. 6 - 15 giugno 1925

• • I • - 45 - - • pei quali si è esattamente potuto dire che "pour /es travai/leurs il n'y a plus d' Alpes,,. Ma spetta all'Organizzazione internazion·aledel lavoro u'n'opera coordinatrice di b,n più vasta estensione e· lo ha già dimostrato coi di-. segni adottati nella ·Conferenza di Washington (29 ott. - 29 nov. '919). Quivi infatti furono elaborate varie convenzioni, la prima delle quali (resa esecutiva in Italia con decreto 29 marzo . 1923) è di significato più generale perchè stabilisce per regola il limite massimo delle 8. ore giornaliere di lavoro. E'- questo per vero quello che trova le maggiori difficoltà, almeno nella sua . _applicazione generale a diversità di climi, di abit.udini, di condizioni economiche e delle stesse _speciali esigenze delle · varie industrie ; talchè alcuni Stati importanti, come l'Inghilterra e il Giappone, dovettero esprimere le loro riserve e l'Italia ne aveva sospesa la ratifica sopratutto-in considerazione degli studi legislativi che si stavano maturando. Questi studi condussero a un regime (confr. il decreto legge 15 marzo 1923) che non solo mette il nostro diritto in armonia con i deliberati di Washington, ma, in qualche punto, li sopravvanza. Ciò è tanto più notevole in quanto il nostro paese si trova ora con una economia che impone di ridurre al minimo tutti i costi di produzione. Perciò la limitazione degli orari dovéva ~ssere diretta bensl ad impedire éhe il peso della l.Tisi e della necessaria ricostruzione gravasse tutto sui lavoratori, ma nello stesso tempo non poteva spingersi fino a recare un danno troppo sensibile alla produzione e agli stessi operai. Onde il temperamento di poter superare le otto ore giornaliere o le 48 settimanali in quei lavori per i quali ricorrano necessità imposte da esigenze tecniche o stagionali. Si aggiunga che il decreto italiano estende il provvedimento anche ai lavoratori agri-. coli, almeno quanto agli avventizi, e questo va anche al di là della convenzione di Washington la quale si contentava di dis~iplinare il· lavoro . negli stabilimenti industriali com'erano designati nel suo articolo 1. Sembra pertanto che il rapporto in cui si trova il nostro diritto con la convenzione di Washington dimostri due cose, entrambe apprezzabili: l'una l'elasticità della convenzion·e che, pure ponendo alcuni principi fissi, ne permette l'adat-_ tabilità a paesi differenti, l'altra la grande buona volonta e buona fede dell'Italia, la qualecompie premurosamente tutti quei sacrificiche sonocomportabili con le condiziont; sotto tanti aspettisfavorevoli, della produzione nazionale. ibti t a Gin Bianc • - Un'altra convenzione di Washington tocca l'età minima per l'ammissione dei fanciulli nelle fabbriche e la innalza.dai 12-ai 14 anni. Quando si trattò dell'adesione italiana, s'era osservato che da noi l'obbligo scolastico non va oltre ai 12 anni e si poteva temere • che i fanciulli non ammessi nelle fabbriche prima dei 14, restassero oziosi sulla strada. Questo aspetto della questione era del resto gia stato lumeggiato nella stessa conferenza di Washington come ne fa fede· la mozione proposta dalla delegazione italiana sulla ''concordanza tra le leggi relative alla limit~zione del lavoro dei fanciulli e quelle concernenti l'istruzione obbligatoria,,. · · Alcuni ritocchi del nostro diritto interno, hanno permessa la ratifica anche di questa convenzione. Una terza riguarda il riposo delle don~ prima e dopo il parto, stabilendosi -il diritto di richiedere l'esenzione sei settimane- prima e l'inibizione sei . settimane dopo, assegnandosi entro questi termini alla lavoratrice un'indennita che in ogni Stato sarà prelevata dai . fondi pubblici oppure costituita mediante un sistema d'assicurazione. Il Parlamento italiano fece buona- acco-- glienza a questa convenzione che però non venne ancora ratificata perchè va troppo oltre i limiti segnati dalla nostra legge sulla Cassa Nazionale di maternità, tanto più che ~ sono allo studio provvedimenti per l'assicura - zione di malattia tra i quali troverà posto la tutela delle lavoratrici nel periodo precedente ·e susseguente al parto. La convenzione di Washington che tocca il divieto del lavoro notturno per le donne, riproduce in molta parte le disposizioni già adottate nella convenzione di Berna del 1906, solo portando una n1aggior precisione negli obblighi di ogni Stato contraente. Mentre invero la convenzione di Berna non definiva che cosa si dovesse intendere per lavoro industriale e stabilimento industriale e quindi lasciava aperta la discussione - che i vari Stati risolveranno in modo diverso - di sa- . pere per_quali lavori e in quali stabilimenti fossero obbligatorie le sue prescrizioni, quella di Washington invece enumera tassativamente quali lavori debbano considerarsi come industriali. Stabilisce inoltre che per "notte,, deve intendersi· un periodo di almeno undici ore consecutive nelle quali deve essere sempre compreso l'intervallo tra le dieci della sera e le cinque del mattino. Il riposo notturno obbligatorio veniva esteso a Washington a tutte le persone di età .. • , - , , . •

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