, - 34tanto il primo articolo della nostra ·legge della cittadinanza del 13 giugno 1912, che ha ·sostituito i precedenti articoli dal 4 al 15 del codice civile. , (Si ponga) Art. 1.) - E' cittadino..... In questo primo articolo si vedono. tracciate già le linee generali del sistema adotta- · to dal legislatore italiano, che tiene a base la discendenza, e tien conto della nascita in Italia solo quando la discendenza sia ignota. Se tutti gli Stati andassero d.'accordo in questa concezione.,non vi sarebbero coflitti. Ma vi sono degli Sta-ti che partono d~ un concetto ben diverso, e' alludo specialmente ad alcuni Stati dell'America Meridionale, per i quali il fatto della nascita è determinatore di cittadinanza. Mi basta qui ricordare una legge della Repubblica Argentina, che dichiara argentini tutti i nati ne11arepubblica, qualunque sia la cittadinanza dei . genitori, ad ecce- .zione dei diplomatici ester~. Da ciò un conflitto, che può s9rgere sia in forma positiva, quando due leggi re_clamano come proprio lo stesso individuo, sia an• che in forma negativa. Potrebbe darsi, cioè, 1 che _un individ.uo non avesse patria, perchè esso potrebbe aver compiuto ciò che era necessario per perdere la cittadinanza, secondo la sua legge d'origine, (e quindi quel deter- . minato Stato non çuò più. considerarlo come suo cittadino) e non aver compiuto tutti gli atti necessari per l'acquisto di una cittadinanza nuova. Avremo cosi l'apolide, ossia un individuo privo di citt~dinanza. Può anche avvenire che, mutando cittadi:- nanza un· capo di famiglia, alcune leggi diano effetti collettivi di famiglia alla sua naturalizzazione, alcune altre no ; allora la famiglia di questo individuo, almeno la moglie e i figli minorenni, potranno essere senza cittadinanza, quando per la pr~ma legge la famiglia segue la sorte del capo, e quindi perde la cittadinanza originaria, mentre per la seconda la naturalizzazione del capo non ha effetto sulla famiglia. . Perciò si ha un bel dire che l'uomo deve avere una cittadinanza e non deve averne più d'una : vi ho delineata brevemente, ma spero abbastanza chiaramente, una situazione che smentisce nel fatto questa esigenza razionale. Ogni Stato è autonomo in questa materia, tanto è vero che tutti gli Stati, n~i loro codici, la regolano ognuno per conto proprio. Come si potrebbe allora eliminare il dissidio? Altro che con una convenzione internazionale, nella quale gli Stati, transigen~o • BibliotecaGino Bianco sui loro rispettivi principi, si mettessero d'accordo su alcuni punti fondamentali ; l' ideale anzi sarebbe che ci fosse una legge di cittadinanza unica, per tutti gli stati, che desse criteri determinatori comuni. Allora solo non si avrebbero più dubbi sulla cittadinanza de- .gli individui. . Qualche· accordo è stato parzialmente tentato, ma finora non è mai riuscito, e non si può neanche sperare che riesca, perchè c'è una divergenza di interessi troppo grave.. E' indubitato difatti che degli Stati, come il nostro, che hanno sovrabbondanza di popolazione, e quindi hanno una forte emigrazione anche permanente, hanno tutto l'interesse di tener fermo il principio di discendenza, ossia di conservare quanto più è possibile ·i loro cittadini. Essi non potra-nno mai ammettere che prevalga in questa materia il principio territoriale. Viceversa quegli Stati di immigrazione, che hanno scarsita di popolazione, hanno interesse ad assimilare q~anto più sia possibile un maggior numero di stranieri, e di renderli propri cittadini, per molte ragioni che non oc- . corre illustrare. Ci basti un esempio. La Francia, ha molti italiani nel suo territorio, alcuni dei quali vi prendono stabile dimora e vi acquistano terreni. Essa non impone la cittadinanza francese jure soli immediatamente, e nemmeno alla generazione successiva (onde l'emigrato italiano resta italiano e vi resta pure il figlio di lui) ma considera francese il nato in francia da genitori stranieri .dei quali uno soltanto sia nato in Francia. Così il nipote di un nostro emigrato sarà .con ogni probabilità francese. · Questo regime, posto da una legge del 22 luglio 1893, la Francia l'ha poi esteso non solo alle sue colonie, ma anche ai paesi di protettorato e, cosa gravissima per noi, alla • Reggenza di Tunisi con decreto 8 novembre 1921. Noi abbiamo in Tunisia oltre 80.000 italiani èhe sono colpiti da questo decreto. Esiste però un trattato (che noi avevamo concluso colla Francia nel 1896) nel quale, dopo lunghe opposizioni per ragioni di politica generale, avevamo finito col riconoscere il protettorato tunisino. In compenso facevamo salvi i diritti di cittadinanza dei nostri compatrioti. Senonchè, più tardi, e precisamente nel 1918, quel trattato è stato denunciato dalla Francia, e non valsero le nostre proteste ; il governo francese dichiarò che l'avrebbe prorogato solo provvisoriamente, di tre in tre
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