Vita Nova - anno I - n. 5 - 1 giugno 1925

e• è in genere il « pathos » derivante da queste due opposte passioni : da una parte la pietà per la miseria e l'abbandono incombente da secoli sulla razza, dal1' altra una specie di orgoglio per queste ombre viventi di una età tramontata altrove e desti-. nata e perire anche in Sardegna. Man mano che si procede, il suo mondo poetico si riempie di voci e di canti. I personaggi animavano la scena come per l' entrata del coro nella tragedia . . . ' greca ; e 001 ass1st1amo, cosi, ali' impeto delle passioni più elementari e travolgenti: l' amore e l'odio, quali il poeta li vide infuriare, avvampanti e demolitori,. nella sua fanciullezza. Ma prima di tuffarci nella bufera spumeggiante di sangue, offre alla nostra attenzione un' altro verso della psicologia del pastore : la saggezza che si effonde nell'eloquio « grave e solenne come nei vangeli ». Il pastore sardo, a causa, forse, della sua vita contemplativa, è molto riflessivo e dimostra una spiccata attitudine a dominare con la dialettica il tumulto del cuore. Se egli parla di pace, tutti l'ascoltano « devoti c~me figli ·». Chiuso con tanta delicatezza di tono, un ciclo di canti (i sonetti della primavera), eccoci trasportati nel mondo della leggenda, più tristo che lieto, - che i vecchi raccontano ancora raçcolgono nel cavo tronco di un elce. Dormono, ora, « dolcemente avvinti, i fanciulli, ma ecco passare i tre re d' Arabia colmi di dovizie, i quali sostando davanti a loro depongono, fra gli a Itri doni, un agnello ». Nei « Colloqui coi morti », la nota oggetti va si interrompe al giusto punto per dar sfogo ali' intimo .dolore del poeta per la figlia morta. « Secondo una leggenda sarda, nella seconda notte di novembre i morti di Barbagia tornano ai loro focolai, mangia -- no le torte di uva passa e le mele e le pere vernine, e parlano dei loro amori e dei loro odi ». La morta Biblina, non vuole la sua cena : vuole riudire, al di là della siepe, un fremebondo accordo di chitarra sotto la luna che le ricordi il tempo della dolce vita ; lo sposo che il fiume ha travolto e dorme ora « in una casa di cristallo, giù nel mar di Baronia )), non pensa neanche lui al cibo: pensa alla · sposa di cui anticipa, col desiderio, l' incontro. Ma il pastore ucciso a. tradimento, ulula nella notte come un cane, e nulla potrà placarlo, se non il tributo di altro sangue. ai fanciulli, ma nel quale non è difficile sentire la presenza di quel lievito che fa gradito il pane. Una è specialmente ca- UN PAESANO DI DESULO Qui, la tristezza che governa i canti precedenti si fa tragedia. Il poeta coglie a volo coraggiosamente il fantasma della tradizionale vendetta sarda e, dal contrasto col dolce aspro dei sentimenti analizzati precedentemente, crea l'opera ratteristica e s• intitola. « I tre re ». Narra di tre fanciulli servi che la miseria • e I maltrattamenti spingono ad imitare le azioni dei grandi : in una p~rola, ad organizzare una rapina nell' ovile di un vecchio centenario. Così partono, come nelle famose « bardane » in mezzo alla bufera ·di vento e neve, se non che la stanchezza li vince, a un certo punto, e si ' d' arte. E il preludio, si può dire, a quell' altro ciclo di liriche che s' intitola « Le selvagge ». « Sono il cuore nero del libro (scrive l' autore) ; ricordano gli ultimi anni di sconforto e di tenebre, quando gli ovili erano deserti e tremende e tragiche suonavano le monodie delle prèfiche, e l'uomo era percosso da sciagure e da odi nefandi ». Parlano, - 31 - iblioteca .ino Bia co

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