... • contro la na1ione, gicchè noi abbiamo identificato la nazione collo stato, e quindi lo stato colla stessa comunita. Ora il delinquente agisce, sì, particolarmente, ma nello. stesso tempo agisce universalmente, perchè in quanto egli opera, non opera soltanto per sè stesso, ma anche per gli aUri, e se egli per un momento riuscisse - il che non è possibile -· a far valere universalmente la sua azione, la moralità sarebbe certamente rappresentata da lui. Questo per dirvi che è impossibile che l'uomo possa agire unicamente per sè stesso, perchè è impossibile che l'uomo si possa rinchiudere come in un guscio dentro il suo io, e dentro la sua personalità. Qualsiasi azione ha quindi un fremito universale. Ma se cosi è, se l'universalità è rappre- .sentata dalla nazione, noi tutti, in quanto agiamo, agiamo dentro il circolo della nazione. Da quello che si è detto dovrebbe apparire chiaro, che ia nazione è veramente tale in quanto attua la ·volontà comune, perchè questa non è altro che ciò che noi chiamiamo universalità ; ma se la volontà comune si attua nella nazione, e costituisce la nostra vera personalita, si spiega benissimo come noi, in quanto individui, dobbiamo sacrificarci ad essa. In una concezione prettamente individualistica il sacrificio, il martirio, non hanno significato, e la concezione prettamente individualistica noi già la conosciamo ; essa pone non già una comune volontà, come qualche cosa di sostanziale, di originario, di reale, di positivo-, ma pone una volontà comune come un aggregato di individui e di particolari .. Ora, l'aggregato, da qualunque punto di vista si voglia considerare, è sempre una somma, e la somma non ci può dare quello che si chiama unità, universalità, patria, nazione, stato. .. . . La concezione individualistica, noi abbiam detto, è propria della concezione democratica, dove invano voi ricercate degli eroi e dei martiri. La storia recentissima ci ammonisce. chiaramente che i democratici che si posano · in una concezione esclusivamente individualistica, che è positivisticà o materialistica, non . sono capaci che di gridare, di vociferare, di conclamare che sono pronti a morire per l'ideale, ma in realtà sono la personificazione della viltà. Alla concezione positivistica della nazione noi opponiamo recisamente la nostra, che · considera la nazione, non come u·n ideale rea- .·Iizzato, ma co·me un ideale che sia continuaI ·blioteca ino Bianc mente da realizzare, cioè dire che la nazione per noi è ~i, ma deve anche sempre essere, cioè sintesi dell' essere e del dover essere. Ecco cosi scaturire il vero concetto della nazione ed è precisamente su questo concetto che ~oi stasera dobbiamo fermare la nostra attenzione. . .. . . , L'essere,, come essere, in realta, non c1 da che il fatto la. cosa ; ma il fatto e -la cosa, · per sè ste~sa considerata, è qualche cosa di inesplicabile, di inintelligibile: Perchè i~ fatto abbia coscienza di sè stesso, e necessario che non solo sia tale, cioè qualche cosa di fermo, ma che in esso ci sia un lievito potente, e questo lievito è dato precisamente dal dover essere. · Tutti quanti noi sentiamo la verità di questo concetto: noi non ci accontentia_mo mai di quello che abbiamo fatto. C'è in noi, come dice un nostro grande filosofo, il Gen- , tile, un io soddisfatto, ma nello stesso tempo un io insoddisfatto. Noi siamo, cioè, sempre soddisfatti di quello che facciamo, ma insoddisfatti di quello che abbiam fatto. Se è vero questo, bisogna concludere che il nostro spi-: rito non è più qualche cosa di finito, di limitato, ma ha un anelito potente, energico, che è l'anelito dell'infinito. Ci si può meravigliare di questo nostro concetto prettamente idealistico, ma in realtà noi avvertiamo in tutti i momenti la verità di esso. Se lo spirito nostro fosse veramente limitato, allora noi non differiremmo dai bruti, anzi, dirò meglio, non differiremmo dalle cose. J bruti, soddisfatti che hanno i loro bisogni, non avvertono altro, ma l'uomo,· soddisfatto che abbia un bisogno, sente il pungolo di soddisfarne un altro, e questa è la prova più luminosa dell' infinità del nostro spirito, vale a dire, che se è vero che in nessun momento noi troviamo la quiete assoluta, se è vero che, raggiunta una meta, noi cerchiamo di raggiungerne un'altra, allora la famosa limitatezza del nostro spirito non ha più ragion d'essere. Noi siamo, si, ma nello stesso tempo senti~mo di dover essere : guai se noi ci fermassimo ali' essere, se noi non sentissimo !11ai il pungo~o di migliorarci ! Il migliorarci, 1n sostanza, 1n che cosa consiste? Nel dover essere. Ma se questo è il ritmo della vita spirituale, cioè se la vita spirituale consiste nella sintesi dell'essere e del dover essere noi. c~·sì realizziamo la moralità, che è la pe: cul1ar1tàvera del nostro spirito. 4 Su questo dovremmo essere tùtti d'accordo. J..,amoralità, precisamente è ne·I realizzare il futuro, cioè nel realizzar; 11nideale. Sic-
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