Vita Nova - anno I - n. 3 - 15 aprile 1925

Quel caffè di Rovigo non era grande; ma il tavolino scelto da noi ufficiali (eravamo una dozzina : convalescenti chi di ferite chi di malattia) l' avevamo . . collocato in tal modo che si scoprivano di lì tutti gli altri tavolini intorno. Il cameriere ci conosceva ormai per nome, tutti ; e quando, rumorosamente invadevamo il locale, senza chiedere ordini, ci serviva ad uno ad uno, sicuro, sicuro di indovin~re i nostri gusti e desideri. Quali fossero i nostri discorsi, in quelle sere d' intimità deliziosa, lontani dalle trincee e dal pericolo, non è difficile capirlo. Si trattava talvolta anche di donne, ma più spesso dei nostri episodi di guerra, delle nostre notti insonni, di qualche impresa coraggiosa. I più ciarlieri ne avevano ogni sera qualcuna nuova da raccontare ; ma di solito, i più ciarlieri erano anche i più bugiardi ; e quando l' impresa o l' avventura la sentivamo inventata o esagerata, il locale rintronava di urla. Da due o tre sere veniva al caffè un « convalescente » fresco ~ un grosso ragazzo biondo, impacciato, con gli occhi pesti e ·a~ondati: sottotenente come noi, ma tanto solitario e riservato che cercava sempre a bella posta nel locale il tavolo più in ombra. Ci salutava, ma con un saluto sbrigativo ; e, bevuto il suo caffè, cominciava a leggere. · Una .di queste sere si parlava della paura ; in quali ore di trincea la si sopporta meglio, di giorno o di notte ; e in quali fasi del combattimento~ lo non interloquivo che di rado, quella sera, e distrattamente: Guardavo il giovane biondo : il quale• pur tenendo abbassato lo sguardo sul libro che leggeva, lo vedevo attentissimo ai racconti dei miei colleghi.A un momento, uno del gruppo - non ricordo ·bliote a G·~noBianco più nè il suo nome nè la sua fisonomia - dichiarò forte : - lo non sono statò mai tanto debole come qua·ndo dovevamo assalire alla baionetta. Quel ferro che luccicava nelle mie mani ; quegli austriaci che di là dal parapetto della trincea ei aspettavano a piede, fermo con i due pollici sullo scatto della mitragliatrice ... insomma io vi giuro che tremavo. Non sono pauroso, e queste mie due medaglie lo dimostrano ; ma, quando dovevo assalire con quel ferro freddo, tutta la mia forza d' animo si riduceva in me meno che mediocre: e perfino le gambe stentavano a reggermi. Il giovane biondo, a queste ultime parole, si voltò. Indi, fissato un momento colui che parlava, fece per alzarsi ; ma poi ~bbe come un moto di contrarietà, e, . ritirato lo sguardo, riprese a leggere. Capii ·subito che colui_ aveva qualcosa da dire : che avrebbe voluto raccontare un episodio della sua guerra che lo lasciava ancora inquieto e d~sturbato; e mi proposi, quando i colleghi avessero abbandonato . , il locale, di avvicinarlo e di interrogarlo da solo. Ma non fu facile. A un primo momento infatti, egli si scher,mì: si scostò ; cercando di rispondere al mio saluto, frettolosamente e rudemente. Ma io insistetti:· dicendogli che nel suo sguardo avevo scorto, mentre il nostro collega parlava, un lampo di orgoglio cosciente; nel quale non era difficile leggere.... « Forse tu sei un eroe » gli dissi con un tono di lieve adu- . lazione « che non ha avuto il premio meritato ». Sorrise liberamente : come per cacciare da sè quella parola un po' grossa che forse sentiva di non meritare. Ma non parlava. Allora io rinforzai : « Cotesto tuo silenzio accresce la mia curiosità ; quantunque - e te lo assicuro da galantuomo - essa non sia maligna ». 23 r-

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