Vita fraterna - anno I - n. 12 - 15 dicembre 1917

I VITA FRATERNA 383 l'espressione semplice e pronta del nostro sentimento. Sempre, il soldato che viene in citta dalla trincea, il ferito che esce ancora a passo incerto dall'ospedale, o la sua donna che va triste sotto il carico delle crescjute difficoltà della vita, devono trovare in noi pronta testimonianza, e fattiva, dell'animo nostro. - Non vi è altro modo che possa dare a loro cosi viva impressione di interessamento, di simpatia, di devozione, come quello che vedono e toccano con mano nella nostra vicinanza. E appunto, non basta amarli: bisogna che essi si sentano amati. Si, essi devono sentirsi amati: così da sentire, delle due anime del paese, più quella che veramente vive con loro, e che con loro vincerà, che non quella che si sta condannando a morte da sè tenendosi in disparte nell'ora della prova. Deve, l'amor nostro, trionfare con la sua forza della superiorità numerica degl' indifferenti ; vincere, superare la lontananza materiale e spirituale; penetrare la realtà qual' è e farcela comprendere; creare finalmente e saldare l'alleanza senza di cui non si può sperare salvezza nè vittoria, ma che raggiunta deve darcela: l'alleanza fra i combattenti e il paese. A. A. DOLOREE VITI\ Per quanto si voglia procedere oltre, per quanto si vqglia evitarlo quando è evitabile, se non si è imboscati della esistenza il dolore ad ogni passo sorge fuori, si para innanzi, con le sue mani che tentano di attanagliare alla gola, con le ginocchia che cercano di premerci il petto a terra; non c'è scampo, ad ogni svolta del sentiero o nel bel mezzo del_lastrada maestra, il dolore è lì. E la questione non è di sopprimerlo. Quand'anche da te, per te, fossi riuscito a sopprimerlo, ti sentiresti ancora fratello del tuo fratello che soffre e che, per quanto t.u faccia, non puoi far che del tutto non soffra? La questione non è neppure di trasformarlo, abbiettamente ed egoisticamente, in piacere, sorbendolo in lunghi sorsi amari, assaporandolo ·fino in fondo in una voluttà perversa e meschina che si compiace della propria miseria. Ma la questione è di dominarlo, senza un'ostentata baldanza che può infrangersi, ma con cuore e con forza. Riprova d'averlo o no_ dominato è il fatto che esso accresca in noi la vita, o la scemi. Poichè la volontà di vivere ha da essere in noi la signora ; e se la vita si accresce è segno che la volontà di vivere ha preso il sopravvento sopra il dolore e se ne è fatta una energia di più, se la vita scema è segno che il dolore l'ha prostrata e che essso ci domina, e non noi lo dominiamo. Importa che così non sia, importa che ogni fatto dello spirito nostro, sia gioia sia dolore, accresca la nostra vita. Perchè, alla fine, non importa godere o soffrire: importa di vivere. M. C. A. Biblioteca Gino Bianco

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