Vita fraterna - anno I - n. 5 - 10 maggio 1917

VITA FRATERNA imboscati si salvano! Mentre noi qui soffriamo e moriamo, nelle re– trovie dove appena s' ode il colpo dei cannoni, nelle città dove la guerr~ non sarebbe nemmeno avvertita se non esistessero i giornali, migliaia e migliaia d'uomini come noi e più giovani di nor sonnec– chiano al caldo degli uffici, discutono nelle cantine delle caserme, fanno i critici militari ai tavolini dei caffè e i bei giovani nelle platee dei teatri. « - « Saranno inabili alle fatiche di guerra! » aveva ancora osato di interrompere lui. « Inabili?! Hanno paura. È la paura la loro inabilità. » « Già, come se bastasse ... » egli aveva commentato. « No, non basta, lo so anch'io. Ma quando il padre è deputato, o sindaco, o grande elettore, quando si è figli di papà, capisci, allora anche la paura è una buona ragione. E noi siamo qui a farci ammazzare, noi imbecilli! Già mio padre è maestro delle scuole elementari... E io _al mio paese sono in odio al sindaco, al parroco e al deputato ... Perchè io dico la verità senza guardare in faccia a nessuno. E tu, e tu chi sei?» gli eveva chiesto. a bruciapelo, quasi l'avesse d'improvviso assalito l'ansia di scoprire un fratello in umiltà. « Io?! » aveva balbettato lui: « io sono Leone Bonafede ». « Oh lo so, lo so I » E gli aveva sfrenato in facc,ia una risata ironica. « Bonafede ... Bonafede ... È detto tutto. Oh sì, t'hanno appiccicato un nome conveniente. L'etichetta della qualità. Sai che cosa vuol dire bonafede al mio paese? Lo sai? ... Vuol dire minchioneria. Nè più, nè meno. Ricordalo. Te l'ho detto io. Abelardo Fracassi. » Quel sarcasmo distillato dal suo nome eh' era anche il nome de' suoi figlioli l'aveva offeso. Livido s'era avventato sul collega affer– randolo per un braccio con tanta rabbia che quello aveva mandato un gemito di dolore. In quell'attimo il tenente l'aveva chiamato ... Rammentava, rammentava nitidamente ogni parola come se il pensiero percorresse un solco che il discorso di Abelardo Fracassi aveva segnato nel suo cerv.ello. Da quel giorno aveva evitato il tribuno emiliano proponendosi di non credere alla· sua concione, nè a quella d'altri che gli avessero fatto eco. Il figlio del sindaco del suo paese era in trincea. L'aveva in– contrato durante una marcia in un paese devastato. Lo stesso depu– tato del suo collegio, poco più che trentenne, comandava una batte– ria di campagna nel settore. L'ordine del giorno dell'armata l'aveva • BibliotecaGino Bianco

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