Vita fraterna - anno I - n. 4 - 10 aprile 1917

108 VITA FRATERNA indisciplina e la dissolutezza dei subalterni, anzi di tutti. Una potenza vicina, rafforzatasi negli ultimi anni, e che aveva seguito prima con inquietudine e poi con gioia le vicende del nuovo esercito, piombò improvvisa sulla nazione rivale - e in breve le infligge sanguinose disfatte che si scontano con la perdita della provincia più florida e un tremendo salasso pecuniario. Narada non aveva quarant'anni e l'aspetto suo ne dimostrava sessanta. Un giorno che, secondo il solito, se ne stava chiuso nella stanza, forse immerso in cupe riflessioni, gli fu annunciato l'arrivo di due stranieri che chiedevano di parlargli. Affabile com'era, non ebbe difficoltà di ammetterli alla sua presenza. Vennero. Lo sguardo tristemente scrutatore di lui si scontrò nel loro, dolce, profondo, quasi solenne. Maturo l'uno, l'altro qµasi vecchio, avevano entrambi la veste dimessa, grave il portamento, emaciato l'aspetto, come consunto nel fuoco di una passione sublime. Invitati con gesto regalmente cortese (gli occhi s'incrociavano come spade), apersero la bocca e dissero, or l'uno or l'altro: " Sire, noi sappiamo l'acerbo tuo dolore, e ti rechiamo una buona novella, quale tu non udisti mai, nè potresti immaginare ». Il re si scosse e porse vivamente l'orecchio. « Il buon volere dell'avo e del padre tuo, quello ancor più gran– de che ti consuma, trova finalmente grazia presso il Padre che è nei cieli 11. L'altro si agitò quasi trasognato. « Si, voi cercaste il bene, ma fuori della sua via. Laonde racco– glieste disinganno e dolore. L'avo tuo cercò il presidio, l'ausilio della Religione, ma quasi di un istrumento di regno. Avvilì quella e non raf– forzò certo il regno. Ma è contro l'ordine, contro la giustizia, che l'eterno serva il temporaneo, il divino l'umano. L'uomo, al nome di Dio, leva gli occhi in alto, e poi li profonda nella sua coscienza, e poi ancora li volge, fatti puri e amorosi, ai fratelli di dolore e di speranza, - ma non li getta, in quel nome, più infidi o esperti, ai cibi, alle vesti, agli onori che passano. - « Tuo padre sollecitò un rimedio, ali' avvilimento generale, dalla forza magica della libertà. Ma non vide, l'incauto, che la libertà pro– tegge gli sforzi ·umani, ma non li difende contro le offese, e .tanto meno li crea. La libertà lascia al gioco delle impari forze il male e il bene, dopo avere agguagliato il terreno e fornito armi eguali. Ma il male, qui in terra, si chiama legione, e i semplici, i deboli, digiuni di cinismo, chi li difenderà? - « Buona cosa è il lavoro, ma se non tende, consapevole, a dirozzar ·la materia, a penetrarla di spirito, per le mète luminose ma lontane, sarà un affaticamento vano, tedioso, logorante e disperante. « Ottima cosa è la educazione, ma se plasmi le coscienze, se tempri i caratteri. Quando si riduca a formule astratte costruirà na– vigli di sugaro che la marea, non che la procella, rovescerà. Quando si limiti a creare abitudini razionali uniformi non renderà gli uomini più perfetti delle api e delle formiche. Nè pure ass'otve i suoi fini se mira solo a creclre il maggior 114111ero d'indiyidui contenti <ii sè e titili BibliotecaGino Bianco

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