Vita fraterna - anno I - n. 4 - 10 aprile 1917
\ YITA FRATERNA E più oltre: « M'ha addolorato la morte di Vajna. Ma, se può essere vero che egli abbia forzato il suo destino, pure io trovo che egli ha fatto bene, perche ha dato alla sua vita e alla sua morte un valore ideale · ben più grande. Certo, tutti quelli che, non chiamati dalla legge alla guerra attiva vi prendono parte, forzano il destino, ma con questo principio si condannerebbero tutti ~ migliori slanci dell'anima . ... In fondo, alla guerra ci si dovrebbe andare come ad un rito in cui tutti possono essere chiamati al supremo sacrificio, ci si do– vrebbe andare coli' anima pura· e libera da ogni men che nobile pen– siero. Ora questo non si riscontra sempre, ed io comprendo che uo– mini come Vajna abbiano potuto sentirsi soli spiritualmente. Anch'io nel mio modesto idealismo e sentimentalismo mi sento talora un po' isolato. E così sogno tutto solo guardando le stelle cadenti la sera e ripetendomi qualche bella cosa che io abbia letta e che abbia trovato rispondenza nell'anima mia. Con questo non mi credo niente più degli altri, e sono convinto che mi ci vorrà molto sforzo per conser– vare in mezzo ai futuri eventuali pericoli la calma e la serenità dello spirito. » • Ho ~itato quasi per intero questa lettera, perchè mi pare che, dalla sua semplicità famigliare, la personalità di Ernesto Begey emerga piena luce. La forza serena e tranquilla con cui guarda il pericolo, cercando di diminuirlo, di nasconderlo agli occhi dei suoi cari; la gaiezza piena di umorismo con cui sopporta la terribile aspra vita dell'alta montagna (tutti sanno che cosa voglia dire ciò ch'glie chiama la promiscuità con svariate bestioline e la cura del ferro!) la semplice, inconscia umiltà con cui egli considera se stesso e il proprio sacri– ficio. E di questo sacrificio egli aveva la piena consapevolezza: « In realtà se non si avesse- una fede profonda », scrive nello stesso mese alla moglie, " o quanto meno una profonda speranza nell'immortalità dello spirito e nell'esistenza di qualche cosa di più alto e più grande della vita umana, questi giorni sarebbero infinitamente più angosciosi di quanto non sieno ». Il 26 settembre, di ritorno dagli avamposti, scrive fra l'altro al Padre: · « Qualche volta, pensando alla lunghezza della guerra e alla pos• sibilità, per non dire certezza, di rimanere ancora lontani dai nostri per mesi e mesi, siamo presi da un po' di ·melanconia. Ma risorge presto il senso di assoluta necessità di compiere questo sacrificio e Biblioteca Gino Bianco
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