Via Consolare - anno II - n. 7-8 - luglio-agosto 1941

1a sua fibra. Solo l' immensa energia morale, gli faceva balenare ancora nella mente iJ so. gno e il desiderio di raggiungere 11Italia e •morire cosi sul suolo paterno accanto ai suoi cari. l uvece dovette essere ricoverato allo stremo delle forze all'Ospedale francese di Suez. Gli nhinti momenti della sua vita furono sublimi; la sua fede rafforzata ·nel dolore, la passione arroventata nell' orgoglio l'ardore sublimato daJla santità del sacrificio, iniettavano su) suo volto ancora bagliori di fiamma. In sintesi appassionata sembrava rinfrangersi nella sua anima la gloria passata. E se il corpo era dominato dalla natura inesorabile, lo spirito purissimo del pioniere e dell'eroe si eleva nel cielo dei figli migliori della Patria. BUUNO MASOTTI INIZIOD' Li NA HO Q IA Prima di suonare, .Marcello guardò l'orologio, un piccolo orologio da polso che gli aveva regalato suo padre pochi giorni avanti. Guardò l'orologio e respirò, sollevato. Per fortuna, quella sera non era in ritardo, e nessuno gli avrebbe potuto ripetere - come quasi ogni volta che rincasava - la solita cantilena del troppo tempo passato in giro, bighelJonando. Quella cantilena, quel rimprovero che lo indispettiva umiliandolo, non gli era mai stato detto apertamente, dal padre o da]]a madre, con la voce grossa e, magari le mani alzate. Così, forse, l'avrebbe accettato più volentieri. Il padre, invece, pareva non s' occupas~e per niente della sua vita; ma il ragazzo sentiva lo stesso la sua autorità cl!e si manifestava nelle forme più strane, come, ad esempio, nel paragone tra la comoda e facile esìstenza di Marcello e le mille pene di suo padre bambino. - Caro mio : ho piacere che sia così. Spero che ti duri per sempre. Ma io, alla tua età, dovevo già preoccuparmi di portar (Jualcosa per cena, la sera. E una volta che persi un centesimo, dico un centesimo, mia madre, tua nonna, mi rimandò indietro a cercarlo, e lo ritrovai soli' orlo del marciapiede, dinanzi alla Prefettura. Capito? Capiva, capiva, Mttrcello. Molte altre cose, però, quei rucconti gli facevan provare. Cose che non riusciva a tradurre in parole, e che gli mettevano addosso la voglia di piangere; e uon per gli stenti di suo padre ragazzo alla ricerca di centesimi per le vie di Firenze. La madre? Una gran brava donna, di cuore a suo modo largo e di mente precisa. Per sè, per le sue idee, forse non .~vr~bbe trovato gran che da ridire se il figliolo se ne stava fuori un pomeriggio intero, senza lasciar capire dove andas&e. Ma quel marito che l'aveva condotta a respirar l'aria d'una casa circondata dall' ammirazione della gente per ciò che lui, iJ padron~, scriveva ogni giorno, quel marito che, pur senza volerlo, bastava la guardasse per turbarla come una collegiale davanti a) rettore, le aveva attaccato un desiderio, una voglia, che in lei diventava una u1alcompresa, e malpraticata, mania. La voglia, la maoìa, che quel ragazzo, Marcello, crescesse come il padre, buono d'una bontà logica e serena, e, sopratutto, intelligente, superiore per spirito e per sensibilità a chiunque altro. Per questo non doveva star fuori Fondazioi.18 Ruffilli - Forlì troppo tempo da solo.• Per il padre no, ma per la madre i " cattivi compagni " non erano un Juogo eomune: erano una realtà, un pericolo vero. "Ma lo sai l'he ragazzi di dieci anni escono sempre accompagnati!?'". MarceJlo sapeva che non era così, e non diceva nulla. Se ci si fosse provato, suo padre non avrebbe certo picchiato i pugni sul tavolino, ma con due o tre parole mescolate a un sorriso d' occhi sarebbe stato capace di farlo piangere. - Non devi tornare più tardi delle sei. Anche per non farci stare in pensiero. Non devi. Suo padre e sua madre erano al mondo da prima di lui. L'avevan fatto loro. Dunque, potevan farsi ubbidire. Non devi . . . . Nulla di male. Nulla di esagerato. l\fa il ragazzo s'incattiviva. ... Quella sera Marcello fu puntuale. Come al solito, aveva lasciato i compagni al giardino, come al solito era ricorso a una scusa per allontanarsi. Ogni sera era costretto a trovarsi una scusa nuova, per non far capire che in casa sua gli contavan le ore al Secondo; e il rancore che provava per il padre e la madre tanto era grand~ irresistibile che, spesso, se provava ad esaminarlo a mente calma, ne restava scosso, impaurito. Quella volta aveva detto che andava dal gelataio sulla piazza e che sarebbe tornato. Domani, poi, avrebbe inventato qualcosa d'altro per giustificare il suo mancato ritorno. Con il timore che, prima o poi, qualc'uno intravedesse la verità e gli buttasse in faccia il sospeuo, davanti a tutti. Dal giardino a casa fece tutta una corsa. Sulla porta guardò l'orologio (" .... ecco, cosi non potrai far tardi! tt• L'avrebbe gettato tanto volentieri nel muro quell' orologio che lo privava dell' ultima possibilità di mettere in mezzo sua madre!}. Le sei in punto. Suonò il campanello e si preparò alla solita cena di contentezza forzata e di profonda malinconìa. Fra due ore, due ore e mezzo, suo padre avrebbe suonato in quel caratteristico modo che lo faceva riconoscere tra mille, sua madre l'avrebbe invitato con gli occhi a seiuire :Maria, la donna di servizio, e lui si sarebbe mos~o dallo Sludio per andare alla porta a salutare il babbo. Poi il padre sarebbe entrato andando a sedersi in salotto, davanti alla tavola, con un giornale aperto davanti e la testa appoggiata al pugno chiuso della mano destra. Veniva la madre, e si cominciava a mangiare, dapprima in silenzio perchè babbo aveva quasi sempre mal di capo, poi con qualche parola che volava qua e là. E la madre alzava gli occhi dal piatto per posarli su Marcello. Gli diceva, senza parlare : lo vedi, tuo padre? Impara e pre• parati, invece di far queJlo che fai. Ma che cosa faceva, MarceJlo? Studiava (poco, va bene, pochissimo, ma studiava) o andava a giocare al giardino. Che avrebbe dovuto fare di più, per ora? Scrivere, come suo padre? Non se la sentiva, naturalmente; e sentiva anche che quando avesse cominciato non avrebbe mai trovato il CO• raggio di far leggere a un padre già così bravo queJlo che lui, cosi poco bravo, poteva mettere insieme. Ma il babbo l'avrebbe capito. Certo. Solo che Marcello faceva il viso rosso al solo pensiero di rivolgersi a lui per fargli esaminare una cosa sua. Piuttosto diecimila professori severi, accaniti, magari stupidi, che non avessero voluto capir nulla, ma non suo padre. Per• chè ? Con esatezza, non lo sapeva, Marcello, i I perchè, ma sentiva, vagamente eppure con la più sicura convinzione per il domani, che non sarebbe mai riuscito a vin• cersi. Soggezione? Timore? Rispetto? Poteva darsi. Marcello era persuaso d'una cosa sola : che suo padre, con quell'aria di superiorità giusta e reale, ammazzava la sua in• telligenza ; e se da una parte avrebbe voluto che tutti capissero questo suo stato d' animo, daU' altra se ne spauriva e trovava perciò la forza di non farlo vedere. Spesso, :Marcello s'era domandato come ancora nessuno si fosse accorto di nulla. Quando suo pad_re non c'era, e il ragazzo era con la madre dai parenti, .Marcello non stava zitto un momento solo. Aveva dieci anni, e per quel che diceva, per come lo diceva, ne mostrava molti di più. Appariva suo padre, e sarebbe voluto correr via, il più lontano possibile, per paura che gli altri notassero quel suo cambiamento radicale e improvviso. La faccia rossa, gli occbi continuamente in ansia, le parole appiccicose. C.he tragedia~ per Marcello che ave• va sul sedo tanto più di dieci anni! .. . - Buonasera, mamma. La madre lo guardò appena passandogli accosto nel corridoio mentre lui entrava, e scendendo in cucina. Quasi non lo salutò e Marcello ne rimase scosso. Gli era parso che sua madre avesse pianto. Per un attimo fu tentato di andarle dietro, di chiederle che cosa fosse mai ac• caduto. Ma Ja vetrata del corridoio aperta sulla terrazza gli fece allontanare l' idea. C'era ancora tanta luce, di fuori! lJ ragaz• zo prese una poltrona e andò a sedersi sulla soglia. I compagni certo eran sempre al giardino e aspettavano lui. Quel giorno, poi, eran successe cose impensate nella compagnia. Uno di loro era stato invitato a giocare con le femmine, e, da buon amico, aveva saputo fare in modo da trascinare anche gJi altri sulla stessa strada. Così, avevan giocato tutti insieme, maschi e femmi-

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