Via Consolare - anno II - n. 6 - giugno 1941

Ognuno ha la sua primavera. Per il contadino essa significa un silenzio ed una solitudine ancora invernali in mezzo alla sua terra, ma una solitudine spiata ora dai mille occhi delle primule sparse sui declivi erbosi, ed un tiilenzio che pare tremare di una nota grave sospesa • forse il ronzìo timido d' infiniti insetti, forse qualcos'altro. • Per noi cittadini invece la primavera è diversa da quella dei poeti e delle letlure scolastiche : per noi è una coraggiosa margherita che si affaccia da una inferriata, il viso ridente dei passanti, un ramo di pesco in un vaso, dei candidi lenzuoli al sole. E sopratutto il ritrovamento di odori e colori che avevamo dimenticato, e che l'anno scorso come tutti gli altri anni in questa stagione, abbiamo riscoperto collo stesso senso di sorpresa. Anch' io ho la mia primavera. La sento arrivare di là dai colli, quando qui ancora tutto è nebbia, e i fossi lontano lasciano andar l' acqua e ogni notte cova, nel suo palpitante segreto, un giorno più chiaro, più azzurro. La primavera è per me' torpore nelle membra, desiderio di perdermi, esausta nel!' aria sonnolenta . forse perchè la natura spreme anche dal mio corpo un po' dell'energia che le è necessaria per compire il miracolo. - Infine per me la primavera è il giardino su cui sporge il balcone di casa nostra. Su quel balcone trascorrevo le ore più beate quando ancora le sottani ne al ginocchio e le calze corte permettevano alla mia pelle di abbronzarsi ai primi raggi. Ora non cerco nemmeno la più falsa pretesa della cura di sole per potermi isolare nella visione verde dell'antico giardino. Esso mi vede immutata, semplice e buona come allora. Non è troppo vasto nè troppo curato ; e mai anima viva vi passeggia. Per questo mi piace. Dei muri di muschio lo racchiudono gelosamente. Ignoro a quale inquilino appartenga, ma certo nessuno lo gode come me da quassù: io me lo bevo a piccoli sorsi come qualcosa di raro e di meraviglioso. Raro e meraviFondazioneRuffilli- Forlì di 11w,,eJ1a 13~ glioso è infatti questo smeraldo incastonato in mezzo all'ammasso dei caseggiati. Com'è facile nascere: tutto è un tranquillo e sicuro nascere nel "mio,, giardino. Nascono le foglie dei piop• pi, a coppie, a mazzi, acerbe farfalle. Col sole matureranno e si sparpaglieranno nel cielo agitando le alette verniciate. Care, care, i tronchi grinzosi vanno fieri di questa loro nuova giovinezza, e "si lasciano picchierellare dalle minuscole ombre stellanti. I vecchi tigli troppo alti sono invece più lenti e tardivi: un tremito di rinascita, appena appena. Neri, i loro rami paiono impressi a lapis nel- !' aureola delle tenere foglioline. Queste cominciano a bucare l' uovo delle gemme più gonfie. Cerco il passerotto che li nascosto pigola piano piano. Non importa se non lo trovo : oramai quella è la voce stessa dell'albero. E, più su, non è un'allodola, ma una fetta di cielo che canta. Ai pini vestiti a lutto dà uu po' fastidio tanto sfoggio di gioia, essi amano i colori smorzati, freddi : nel freddo infatti trionfavano, quando tutti gli scheletri di carbone sostenevano i propri rami intirizziti. Ora i pini sopportano tutti quegli schiaffi verdi perchè sanno che il loro Natale tornerà. E lo aspettano pazienti. Intorno a loro cinque noccioli nani si allungano la mano, fe. stosi e petulanti. Sotto, più infantili ancora, innumerevoli margherite li guardano sognanti, incantate: alla sera le vedo stringere le piccole dita dalla punta arrossata intorno al grosso cuore d'oro, profumato di fieno. Forse però non le distinguo affatto, sono io che m'illudo perchè a quel- !' ora ritorno bambina. A qucll' ora vorrei abbandonarmi sul prato, vicino ai cinque noccioli amici, attendere la notte, e con la _notte un grande sfogo di stelle. Ecco, adesso passa un gra~de soffio di vento e tutti gli alberi battono le mani, felici. Solo i cipressi allineati sul viottolo di ghiaia, là in fondo, dicono di no, di no, che non vale la pena di rallegrarsi, la méta di ogni cosa è la morte, anche la prossima estate morirà. Ma lo sussurrano tanto debolmente, certo essi della morte lion conoscono che la dolcezza, essi non sono cipressi di cimitero ... Sul!' angolo, la magnolia grassa ,; fronzuta pare un monumento. Raccoglie la luce nei cucchiai delle foglie dal1' interno arruginito, e ne gronda come una cascata. Ai bordi del palazzo corr-e una striscia bianca e azzurra, l' unica aiuola del giardino. Sono miosotis, quei fiori tanto piccini che temono sempre di essere dimenticati, e mughetti, c!ifesi dalla faretra delle fo. glie lanceolate. Chissà quale nettare divino berranno i calabroni in quei . calici penduli! Ecco, sono ricaduta nelle riflessioni puerili : sempre così i miei pensieri in primavera. Sopra il mio capo un piano attac- !!a una sommessa ninna nanna : spesso, in questi pomeriggi d'aprile. Una volta la suonavo anch'io, ora non saprei più. Preferisco ascoltarla scendere, più esanque ancora, da quella finestra spalancata come una carezza. Tra una nota e l'altra circola l'aria. Mio Dio, queste note chopiuiane ! Gocciolano giù lente, rotonde come petali d'un ciliegio fiorito. Questa musica è il ciliegio fiorito che nel mio giardino manca. Sopra un comignolo sboccia la prima stella, tremula come una lacrima. Una lacrima d'angelo rimasta .lassù chissà come. E' l' ora rosata delle nostalgie e dei rimpianti senza ragione. Il giardino conosce queste mie cose. Sa della primavera che ci vuota e ci confessa ; e sa di me che scendo, scendo insieme con la canzone che non suono più. Tra breve il giardino si spegnerà : al mio balcone tornerò domani, dopodomani, tutti i giorni di tutti i venturi mesi di primavera, e vi lascerò alcune cose mie, l' anima bianca di un tempo e l' occhio candido che intende i rami e le stelle. Vorrei ripetere ali' infinito, rami e stelle. 111lRELLABERTARELLI È uscito: "LE MEMORIE DEL PRESBITERIO,, DI EMILIO PRAGA CON UN SAGGIO INTRODUTTIVO DI EZIO COLOMBO Prezz:o L. 15 EDITORE GARZANTI · MILANO 15

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==