Via Consolare - anno II - n. 4 - aprile 1941

f.''1-,_··. Qualche anno fa capitò ad un critico autorevole di chiedersi pubblicamente: dqve va la prosa? Allora fu come un allarme in un accampamento addormentato; e all'articolo di Pietro Pancrazi tenne dietro una fiorita di risposte, note, postille, per cui - caso raro in un temperamento signorilmente schivo come quello dell'illustre critico toscano - fu necessaria una precisazione per collocare i punti sugli i. Il che sta ad indicare, oltre alla bontà dei problemi toccati dal Pancrazi, quanto la « prosa ,, s'imponga s4gli sviluppi artistici del nostro tempo. E' pur vero che dal momento in cui Dante diede ufficialitàal volgare eloquio, con più o meno lunghi intervalli, i letterati presero diletto a trattare della lingua nostra; ma è innegabile che il problema « prosa " come oggi è inteso ha ben altri significati, per esempio, di quelli del tempo manzoniano. Poichè è chiaro che oggidì si è arrivati quasi ad intendere per « prosa " non già un « mezzo " per i letterati, bensì un genere di letteraiura. Nei tempi passati s'usava differenziazione tra prosa politica, didascalica, storica, familiare e quella in uso per comporre cose d'arte. Oggidì la stessa prosa d'arte si suddivide variamente : e per ,il romanzo-fiume, e per il racconto lirico, e per l'elzeviro ecc. Giovino queste scissioni o rechino danno non si vuol qui, di proposito, discutere. Basterà notare quello che gli scrittori con le loro opere d'arte vanno, quasi inconsciamente, codificando. Certo ogni prosatore ha un suo stile, per cui potrà sempre recalcitrare nel lasciarsi collocare in una determinata categoria; tuttavia guardando dall'alto, a mo' di panorama, la • prosa nostra si vede divisa assai distintamente nelle sue zone. Fondaziornf~ulnfrt.'..of'odi" Agamç1111r>ne" di Eschilo Pc,g. 4 Si può affermare che a rimuovere la prosa dalla palude ove l'aveva precipitata il deteriorarsi del romanzo ottocentesco, abbia soprattutto giovato la prosa poetica ed il frammento. Direi anzi che mai rivoluzione linguistica fu tanto salutare se, oltre a svellere i cascami d'una prosa gallicizzante e obesa, servì a dettare nuove leggi, come quella d'un rigoroso controllo dei vocaboli, d'una meditata architettura di periodo e - legge complessiva - d'uno scaltrito e umbratile senso d'arte. Oggidl, mettere con pazienza a confronto scritture di un Rovetta, di una Serao, di una Neera, di un Barriti, di un Caccianiga, di uno Zuccoli e perfino di un Fogazzaro (e molt'altri nomi si potrebbero aggiungere) con quelle di Cecchi, Baldini, Linati, Cardarelli, Angioletti ecc., abissale apparirebbe il divario; come una brughiera vicino ad un giardino fiorito. Certo non sarebbe novità coraggiosa il cantare i meriti della prosa d'arte e del frammento, chè i vantaggi da essi derivati alla nostra prosa contemporanea sono alla portata di tutti. Vero è però che nel frammento e nella prosa d'arte taluno volle vedere i responsabili d'un intisichimento del nostro genere « romanzesco "· E' perlomeno da vent'anni che si ama dissertare sulla crisi del romanzo italia[Jo. Ogni tanto la polemica cala come in un braciere ormai incenerito; ma d'improvviso la scintilla si riaccende e le fiamme lingueggiano piacevolmente. Poichè negare al temperamento italiano attitudini al romanzo - con dietro il peso di un Manzoni, di ·un Verga, di un Fogazzaro ecc. - parve sempre soluzione semplicistica più che rischiosa, molti rimproveri vennero a cadere sulla sterile prosa d'arte. Una specie di peronospora per la nostra gran vigna romanzesca. Ma pur riconoscendo che la prosa d'arte è nata per un genere diverso dal romanzo, e quindi, applicata all'impianto vasto ed esigente di questo, ella si trova impotente e inadatta, bisogna pur dire che chi con tanto gusto attribuì la C(isi del romanzo alla prosa d'arte e la volle bandita ed osteggiata, il più delle volte trovava disagevole l'uso di una qualsiasi prosa, eccezion fatta per quella brodosa ed approssimativa di chi per ignoranza non sa crearsi uno stile. E qui valgano le parole che Enrico Falqui usava qualche tempo fa dicendo '.l'un libro di Moravia: « Chi ha mai detto che lo stile contrasta alla costruzione, alla oggettività, all'impegno di sentimenti e moralità proprio del romanzo e in genere della narrativa? E' che troppo spesso e con assurdo compiacimento, dietro la scusa di rifuggire dal lirismo e dal decorativismo, in molta narrativa si presume poter fare a meno dello stile "· (in « Oggi " 21 dicembre 1940). Sicchè, per tornare alla prosa d'arte, riconosciuta la sua incapacità a rinsanguare un genere per il quale - d'altro lato - non era nata, non sarà tuttavia lecito inveire contro di essa misconoscendo i meriti e accollandole responsabilità. Oltre all'aver dato vita alle prose di un Cecchi, di un Cardarelli, di un Baldini ecc. che sole basterebbero a testimoniare dell'utilità d'una stagione letteraria, essa ha - come sopra si accennava - sfrondato il frascame, ormai infracidito, dell'ultimo romanzo ottocentesco. E non si vuole sostenere che di punto in bianco - tutta la nostra produzione narrativa ne abbia risentito giovamento.(gente che scrive male o per pigrizia o per commercio o per ambizione dilettantesca o per imbecillità congenita, ce n'è stata sempre e ce n'è quindi tuttora); però va sostenuto che in generale dopo !'esperienze della prosa d'arte s'è scritto meglio - e assai - che nell'ultimo quarto del secolo scorso. Gli stessi che verso tal genere di prosa mostrarono

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