Via Consolare - anno II - n. 4 - aprile 1941

tentoso e sproporzionato dell'infanzia; quando presso il fuoco che mi scottava la faccia, mi rosolava gli stinchi, mio nonno il u patriarca u, lavorava assiduamente il cep~ po più n<>dosodella legnaia incantando di scintille i miei giovani occhi, mentre la grande cucina manteneva un filone di freddo nella mia schiena curva sul camino. Però mi piace più pensarlo non in questa monotona magnificenza di riviera,, ma ere~ scere nella mia Parma piana dove in questi giorni si ritrovano tutti i sapori gli odori e le freschezze della primavera. Vedrei i suoi campj di giochi sotto i platani ducali, e le fiere battaglie di sassi combattute, come ho fati-O io, sugli argini fioriti che trattengono il torrente arso. O incurante del solleone manovrare i piccoli amici dentro i vicoli silenziosi, mentre i radi passanti si riparano nella striscia d'ombra che scende diritta nei vecchi muri, come dalla pioggia. Le prime scorrerie lontane da casa so che avverrebbero piri avanti negli anni, lungo gli interminabili filari di viti sorretti dagli olmi, e dentro le immense distese di grano che toccano la cittadina fin presso le barriere, di ritorno dalla sudata caccia alle allodole, senza bottino. Vedrebbe dopo il verde dell'estate, la campagna ingiallire e profumarsi di mosto. E al tempo delle scuole, in piazza Grande, dovrebbe aprirsi il varco dentro una ressa d'uomini di buon'aria, che comprano e vendono il maiale per le prossime nebbie di nov~mbre. Lo vedrei scalpitare alla prima neve che arriva puntuale qualche giorno prima di Natale, e rimane fino all'acqua di marzo che scioglierà poi l'inverno in canto dalle grondaie. Allora sotto un sole terso e innocente correrebbe ,er viole lungo i verdi prati in un risveglio della natura che qui non si può sentire. Odo un lieve rumore nella camera vicina. Mia moglie si alza dal letto, e ormai la luce tntra sicura. Già la sua voce mi richiama perfetta e fedele come ieri. RENATO VERNIZZI st!J domze j2(#te (RACCONTO) Il cortile era mezzo in ombra e le donne stavano cianciando sotto al fico, indo· lenti le, mani sopra le c.slze da <1gucchiare, quando arrivarono i prigionieri. Il cicale,c. cio tacque repente e i piccoli corsero verso le madri. Il gruppo attraversò il cortile seguito dagli occhi delle donne, curiosi e compassionevoli, imboccò il portone, scomparve per !e scale. J, militi che li accom• pagnavano portav<1nola bandoliera e la pi• stola a tracol!a. Camminavano dritti e baldanzosi,come chi abbia un compito enorme. Quel giorno le donne parlarono dei prigionieri e fecero lunghe supposizioni. Pensarono anche ai mariti, ai fratelli, ai figli lontani. Ma erano tutte molto fiacche quella estate così calda e i loro discorsi non furono mol:o vivaci. Le parole si staccav.ano a fati~• dalle bocche e le frasi erano irreali, quasi nate nel sonno o nel dormiveglia. Parlando si pettinavano i capelli e. fermando una forcina nell'angolo della bocca, chiamavano svogliatamente i figli, allcnt.anatisi dal cortile, dietro i cuccioli, in ve,na come essi di risse e di corse. L'indomani i prigionieri furono i.nstallati di fianco al cortile, nella stalla dei muli, sudici e trascurali perchè nessuno della postazione si intendeva di governo. I legionari erano per la maggior parte cittadini e non sopportav,mo odore di paglia e di ste,rco. Così l'arrivo di quegli uominj era stato accolto con sollievo. Erano tutti anzi-ani, dallo sguardo opaco, senzs riOessi, taluno dai capelli brizzolati, cialle divise senza mostrine, lacere e sporche, quantunque indossate d.a poco. Parlavano sottovoce una lingua dalle inflessioni dolci e arrotondate Non si guardavano mai in giro : era come se il mondo circostante non esistesse per essi. Soltanto nel lavoro si animavan.o. come se avesse il potere di farli sfuggire G una voce che parlava loro c!all'interno e la sera si distendevano sull~ paglia, per restare immobili fino all '<1I• ba, quando risonava crudo il fischio delia svegiia. Nel cortile, non prestavano attenzione a Fondazione Ruffilli - Forlì nessuno. Lo attraversavano dritti, impettiti. quasi in !retta, vergognosi degli sguardi delle donne e dei bambini. Pure i legionari li trattavano umanamente, come si fa co11 chi abbi:t da sopportare una lunga serie di sventure. Ma forse appunto per questo i prigionieri si ;sentivano maggiormente umiliati. Comunque diventarono camerati : senza parole. Ed era strano il vedere quella gente intendersi a soli sguardi, per intelligenza. Pareva quasi di essere capitati in un ospizio di muti, i quali, per lunga consuetudine, non abbi.ano più bisogno neppure di ce.r.ni. Le donne, jnvece, 1i guardavano con occhi sempre più pietos' e quando erano sorprese in quella attitudine giravano presto lo sgoordo indirizzandolo ad altre cose, con quella finezza che costituisce spesso la loro nobiltà. Fra i prigionieri ed esse era nata così un.a muta intesa, una reciproca simpatia che pareva ognuno volesse - come per timidità innata - occultare. Così talora si potevél vedere la mano incerta di un prigioniero tendersi verso la testa ricciuta di un bambino, l'occhio di un uomo scrutare l'interno di uns cud.na dove una donna gonfiava le gote sopra le braci di un /ornello o con abituale e tranquillo gesto passava il ferro da stiro sopra una camicina o una combinazione trinata. Intanto nel cortile la vita aveva il ritmo usato : si spalancavano le porte alle prime luci, passava la venditrice ciel latte col ce,. s1one sulle spalle, giungeva il pescivendolo con la voce rauca e cantilenante, passava di fretta il postino, chiamava un nome e si affacciavano i volti di tutti. Era, gi·unta un'ospite nuo,;a, dal!'ospedale; aveva portanto una seggiola a sdraio, proprio sotto il fico e lì attendeva che il sole di luglio le carezzasse le cosce, che aveva grosse e bianche, come le radici di una pianta portate improvvisamente, alla luce. I prigicr.ieri le buttavano occhiate timide, di traverso, poi fuggivano nella stalla cupa e bassa, dove i muli proseguivanc nella lenta fatica del masticare Non avevano pace neppure :a notte e rodevano in· s1<1ncabilmente, parevano l'emblema del tempo con quella loro mobilità perpetua. I prigionieri imparavano a conoscerli : l'un d'essi, anzi, forse esperto, li curava1 con maggior~ attenzione e la mattina presto alzava loro le zampe per vedere se erano ,pu• lite le code talora, e si preoccull"va perchè la brusca e la striglia non fossero trascurate. Per essere sicuro di ciò passava un éito, fermo e duro sul mantello, e se vedeva sorgere una striscia untuosa di polvere, era allora un iracondo balbettio di Il"· role incomprensibili. Le donne sulle porte delle case stavano ad osservare e nasceva dentro di esse una simpatia che non sapevano frenare e che: si manifestava in fuggitive occhiate, in commenti dolci, mentre i pettini correvano fra le capigliature. Nè v'era alcun fondo amoroso in questo interessamento. Gli occhi loro non avevano infatti nulla di quel languore che è il preludio di un sentimento più intimo e profondo, c'era in essi, bensì qualche cosa di carezzevole che esprimev,1 solo bontà e simpatia. Nè d 'altror.de esse curavano più del normale il loro corpo e il loro vestire. Erano anzi piuttosto trasandate, le vesti discinte, i capelli sparsi, il pettine in mano che pareva fossero sempre sul punto di far teletta. Era pigrizia soltanto. I fidanzati e i mariti erano lontani a fare la guerra, la estate era calda e, afosa, seccava muoversi dai propri posti, le donne tendevano alla pinguedine, Una pin• guedine dolce, che rendeva :rasparenti le carni e. lucide le fronti alle tempie, mentre le guance erano rotondette e rosse come melegranate. Per chi addobbarsi, per chi rendersi d· vettuole e attraenti, quando gli uomini non c'erano? Nè uomini potevano considerarsi i legionari della postazione antiaerea, tut•i anziani, gente che fra una bottiglia e, una donna non avrebbe esitato a lungo nella scelta. E neppure i prigionieri, strani animali di una razza diversa. Guardati con sospetto talora, quando giungevano lettere dalla fronte e vi si parlava della crudeltà del nemico. Occhiate sospettose presto cancellate, frasi dimenticate in un baleno, perchè le donne sono proclivi a intenerirsi della sventura altrui e quegli uomini sel- ,•atici e isolati non potevano produrre in esse che se,ntimenti di commiserazione, non di odio. Adesso quando passavano i prigionieri incontravano qualche timido sorriso, presto celato, quasi timoroso e girato inespertamente in' direzione dei fanciulli che ruzza• vano nel cortile, sbracati, le braccine grasse tese verso i polli o i cani. A questi sorrisi i prigionieri rispondevano con altri sorrisi, timidi anche quelli, timorosi, pareva, di avere frainteso quelle manifestazioni di simpatia. Fc:-se nel loro animo non erano ancora persuasi che delle donne nemiche li potessero guatdar., con ~chi che non manifestassero odio o rancore. I due sorris:, delle donne e dei prigionieri, cadevano così a mezz'aria, senza incontrarsi. Erano fiori che non avevano stelo, nè radici. Furono i bambini <1daccostarli. Due prigionieri stavano spazzando il cortile con una lunga ramazza di fuscelli uniti alla meglio in fascio. Le donne erano sotto il fico ad agucchiare ; una tirava acqoo dalla pompa e la rovesciava in una secchia, un 'altra teneva, la testa del figlioletto sulle ginocchia, in atto di spulciarlo. Il piccolo di tanto in tanto si divincolava e tentava la fuga, al!ora le grosse gambe si stringevano a morsa e mantenevano la presa. Al· tri bimbi giocavruio per terra con delle arance. Ne, sfuggì una e rotolò in direzione Pag. ll

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