Via Consolare - anno II - n. 3 - marzo 1941

Scrittori che per la prima volta s'impegnano in prove narrative, di tentennamenti ne hanno sempre. E a discernere lo· spirito motore dal frascame dell'inesperienza talvolta è difficile assai. Chè di cento artisti che tentan la scalata dell'arte, in vetta, pur anfanati e sudaticci, pervengono in tre o quattro, e non di più. Si sa - perchè la storia letteraria a qualche cosa pur serve - che ogni scrittore, anche il più originale e ghiribizzoso, alle prime armi unisce alle cose sue quelle altrui che più gli hanno leso la fantasia. Inutile citar dei nomi, chè influenze ne hanno avute tutti, a cominciar dal padre Dante. Tutto sta a vedere se lo scrittore, che coll'opera altrui s'è fatto trampolino, sa poi spiccare il salto con energie e muscolature proprie. Questo p_erdire che la prima opera d'uno scrittore consiglia sempre al critico passi di piombo. Chè casi di fate morgane ve n'è stato più d'uno e - anche a far nessun conto della critica deteriore e dilettantesca che trova il capolavoro nel libro d'ogni amico - s'è visto qualche letterato di nome e di gusto, impegnatosi a fondo all'apparir d'un giovane, dare poi di freno con mosse precipitate. Per questo a dir d'un giovane, per quanta impressione abbia suscitato con le prime prose [« Storia di Antonia», racconti Edizioni Primi Piani, Milano], si userà qualche ritegno. Che il Mesirca sia uno scrittore nuovo è fuori di dubbio, anche se alcune derivazioni da Comisso sono palesi e se il taglio, l'inquadratura dei racconti richiamano quelli d'altri giovani già affermatisi (cito senza impegno d'entrare in particolari: Emanuelli, Delfini, Quarantotti Gambini, Benedetti ecc). Non direi che « Storia di Antonia » per quanto dia il nome al volume sia il racconto che ·nella mente del lettore trovi spicco. L'ampiezza non giova a questo racconto, anzi ne sfoglia il grumo· vitale in filamenti, che talvolta sono davvero periferici alla storia intillUIdella protagonista e ne slavano i contorni e le fattezze d'eroina. Pure il racconto ha un suo « pathos » e una sua atmosfera, che da grigia agli inizi, si illividisce via vi-a tendendo sempre più al desolato. Il cuore nostro, man mano che le pagine scorrono, s'inciprignisce di pena e quasi un dolore fisico ci fa partecipi dei casi di Antonia. Questo - a tradurlo in moneta critica - vale a confermare nel Mesirca una potenza narrativa latente talvolta, ma alla fine sanguigna e suasiva. Se si volesse correre il rischio d'una definizione, al Mesirca s'adatterebbe questa: realista lirico. M'è venuto a mente, leggendo di lui, il regista Duvivier. E non è poi tanto errato sentir la posizione del regista molto vicina artisticamente a quella d'un narratore; e i raccordi che si possono ,fare tra un Duvivier e i romanzieri contemporanei sono significativi. Il senso lutto lirico della realtà che si manifesta spesso in scorci violenti di verismo e che sotto svela un gusto letterario e intellettuale, l'ho riscontrato in più pagine del Mesirca. Nel racconto « Una pensione in città », per esempio, qualcuno alla crudezza con cui è ritratto il cocchiere animalesco, la zia carnosa, la moglie grinzuta, l'impiegata allampanata, la figlia color camomilla, potrebbe FondazioneRuffilli- Forlì Retti· "I! Messagi,;ero". bozzello per l'" Agamennone" di Eschilo pensare a certi libri di Zola o anche di Maupassant. Invece mi par di capire che tutta quell'aderenza alla realtà sia tutt'altro che « f,otografica » come ai tempi di « Teresa Raquin » o di « Bel-Ami ». Presa così a sbalzi, scorciata i.n particolari brevi e caricati, ha - la realtà del Mesirca - tutto un valore soggettivo e in parte simbolico. Ne deriva alle sue pagine un sapore di poesia, amaro e uliginoso, che sempre trova conferma nella chiusa, mai accomodante o sentimentale. Questo mi pare il sustrato della narrativa di Giuseppe Mesirca. Certo ogni racconto poi manifesta e insiste su particolari diversi. Così ne « Il fiume » (la pagina di Comisso sullo stesso argòmento è richiamata ad ogni istante) il lirismo vaga in. ogni rigo. Non essendovi tentativo di trama, è chiaro che il senso poetico abbia il sopravvento nel ritrarre le cose e la natura, e generi alla fine l'impressione d'essere di fronte ad un poemetto lirico-silvestre piuttosto che ad un saggio di prosa narrativa. In « Ritratto di poetessa » invece tutto il tono è marcatamente caricaturale, ma non rattenuto nei limiti e risolto vivacemente come « Colonia Marina ». E' quest'ultimo~ a pensar bene - il più gustoso e drogato esperimento della non copiosa raccolta del Mesirca. L'argomento è originale. La trovata di un cinquantenne panciuto cavaliere di istituire una colonia per bimbi bisognosi in un isolotto solitario, segrega dal mondo parecchie donne e un giovane dottore. Hanno addosso il gravame d'esser rigide e morali - dato il posto e l'incarico - e invece nell'isolamento s'i,ntrecciano fili calamitosi tra i sessi diversi. E non giova la rugosità della carne vecchia; chè anche quella sfrigola come sui tizzi accesi. Sicchè alla fine ne riesce un formicolio di contatti dove l'onesto cav~liere tiene il luogo del mattadore. La vicenda dal Mesirca è condotta éon tanta sorgiva

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