Via Consolare - anno II - n. 3 - marzo 1941

Ricordo Parlar di Panzini romanziere è più difficiledi quanto non si creda. Anzi a qualcuno fra i più zelanti studiosi dell'opera sua parve addirittura impossibile tentarne anche le mosse. Giuseppe Mormino è di questo parere e Antonio Baldini disse : « Panzini è innanzi tutto un diarista moralista ». Il che - a veder bene - significa esser stato l'autore di « Santippe », per tendenza intima, proprio l'opposto del narratore-romanziere. Eppure, or che purtroppo egli non è più_tra ~oi, la questione di Panzini romanziere mi par ritorni scottante e non sarà certo questa mia nota a dipanar la matassa. Basterebbe servisse a dar l'avvio ... Egli - e ci rifacciamo ai suoi primi anni di battaglia - ebbe a scrivere in un momento letterario ondoso e accavallato quanto mai. S'intende, sopratutto, per la prosa, che era appunto la sirena per cui il Nostro spasimava. Essa nell'ultimo ventennio dell'ottocento - salvo due eccezioni che ora dirò - si era andata disfacendo in due meandri patinosi. V'era chi scriveva alla carlona con una lingua-rubinetto, e chi con la penna d'oca e la mano incartapecorita. Di fenomeni se ne contarono due, e fu prima Carducci e poco appresso D'Annunzio. Panzini sfuggì l'uno e l'altro. E si pensi che di Carducci fu discepolo dilettissimo e di D'Annunzio coetaneo (nati entrambi nel '63). . Certo fra la grancassa carducciana, tutta rotolamenti, Ref.fi: "U11 g11erriPro" per l'" Agame1111011e"di Eschilo FondazioneRuffilli- Forlì tuoni e sconquassate, e i fuochi di bengala dell'Immaginifico, irridescenti e sfarzosi, la prosa del primo Panzini dovette sembrare la verginella vestita di pochi e radi panni capitata in un salone tutto specchi e donne di gran mondo. Eppure oggidì, se si riguardano bene le nostre carte, la prosa di Carducci par non sia mai esistita e di quella dannunziana ci si rammenta appena. Panzini col suo amore di sintassi e grammatica, con la sua punteggiatura che sminuzza il periodo in un fraseggiar minuto e leggero, col suo freno antiretorico sempre pronto a tappar la bocca quando proprio vien l'uzzolo di spalancarla e fare il gran cantante, è veramente il padre di certa nostra prosa odierna tutta essenzialità cura e trasparenza: e più d'uno oggidì vorrebbe infiorare, a Panzini, le tempia come s'usava in antico agli Dei apportatori di frutti carnosi. E' logico ora chiederci se un simile vivificatore della nostra prosa sia da espellere dallo schedario dei romanzieri. A guardar la bibliografia di Panzini, ai sei romanzi raccolti in un libro da Mondadori se n'aggiungono molti altri. Sicchè a qualcuno è venuto il sospetto che Panzini al romanzo sia giunto più per accondiscendere alla voga del tempo suo, che per un intimo bisogno d'arte. Ad appianare questo dubbio, si renderebbe chiara gran parte della sua figura artistica. Ma - ho già detto - non è poi tanto semplice. Intanto due libri del primo Panzini, tra i suoi più belli e significativi, a catalogarli sotto la scritta di romanzo, ci vuol molta tolleranza. « La lanterna di Diogene » e « Viaggio di un povero letterato », in verità, hanno tutte le qualità fuorchè il respiro largo che occorre al romanzo. E le parole di Baldini qui calzano come fatte su misura : diarista e moralista; ecco il Panzini che sermoneggia in bicicletta o addirittura sui velluti della prima classe per le varie contrade d'Italia. Le divagazioni non si contano e i richiami di cultura son cosi fitti che inciprigniscono ogni bell'aire di fantasia. Ora non si· vuole su queste due opere di Panzini gettar ombra di· discredito, anzi diciamo chiaro che sono due gioielli della nostra letleratura. Solo col romanzo non hanno nulla a che vedere... Avrebbero, fin qui, ragione quei tali di cui si diceva in apertura. Ma vi sono due opere: « La pulcella senza pulcellaggio » e « Il padrone sono me » (per non dire di « Madonna di Mamà », « Bacio di Lesbia » e altri). Va bene che in ordine di tempo vengono assai dopo e c'entrerebbero quindi la suggestione e l'accondiscendenza alla moda e al gusto dei lettori ; però a rileggere ora quelle opere, il giudizio dei più si può anche i:ammodernare. E non si creda d'esser qui di fronte ad un Panzini ribelle che le doti sue l'ha tutte ridipinte con sbaffi rossi, neri, gialli... I colori sono ancora quelli : moderati, diluiti, quasi con pudore provinciale. Ci si imbatte ancora nella divagazione, nel richiamo di cultura, nella nota autobiografica; ina - ad esempio - in « Pulcella senza pulcellaggio » tutto è cosi ben dosato, le figure son cosi scarnite c niellate che il libr~ prende consistenza e da ultimo par d'aver letto uno dei più bei romanzi dell'età nostra. La figura di Berenice, se in Italia ci si deci?~s~ ~ lodare gli Italiani, potrebbe senza troppe um1haz1001 entrar nel recesso privilegiato ove si lrovano sui gran velluti della gloria Anna Karenine, Nanà, Madame Bovary· ecc. E per quell'altro bel libro: « Il padrone sono me"• il discorso è press'a poco lo stesso. La visione del Pllg. 9

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