Via Consolare - anno II - n. 3 - marzo 1941

MARZO XIX PREZZO L. 3

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·~OLARE Diretta da PAOLO StLJMDANJ e AIIMANDO HAVACLJOll Direllore respons.: BRUJ\O :vr~sOTTI SOMMARIO ORIZZONTI ~lAS: fo 1>ri111lai11e1< - BRUXO MA- ~OTTl: L, vera demr,cra:.ill - - TELESJO 10NTESELLO: Tempi 1>roici - EZJ.0 COLOMBO: l'amaso - :-;JNO BAfl,\'.'lO: A. Gm11de o della rif/.essiri1ù - .MALTUS: Ricordo cli Ptuiziui ·- GAHIBALOO .\f,\IWSSJ: Il clcf)to- ,,,u,w (racconto) - E:'iRlCO MOHOVICH: Due signore maligne - ECO: Pretesti sull'800. - RRU:\O GL\CCT: .·lppullli su D. C,1mpm1a. Poe~ie di 1GNAzro ScL'R10, V1rJOHIO B·l• :-..ICEU.I, G1111.10 Tru~A~NA, EHr.OLF. SANT:UlEl.l.O, A. DELLA Il1ANC1A, Srno ANGELt. • Clt'I/EMA TEATRO R,IDW GIUSEPPE ANTONELU: Turba111e111u - ALBERTO PERIUNI: I giuv,111i <11t• ,ori e il lllWL'O tealro - TURI VASlLE: Cro11achetta - AGOSTINO B1- (;~ARDI: N11ot·o cinema spngnolo -· W. H.: Atto 1tlti1110 - GASPARE GOZZI: Problemi del /0110/ìlm - G. GIGL!OZZI ~TEFANI: Il Mioco ,/elle voci. • CINE1EATROGUF IlEf'PE COSTA: Ten1ro s1>eri111e111ale - Rubriche • Notizie - ccc. Ditt.:gni di ANGELO S. .n'ELtl e LEONARDO SPREAflCO. OJREZIONE-AMMl~ISTRAZ!Oì\E fl)RLI' • PALAZZO L1rro1110 C/C postale 8/6395 Abbonamento annuo . Sostenitore e per Enti Benemerito L. 20,- L. 30,- L. 100,- RIVISTADEI GRUPPIUNIVERSITARI FASCISTI,EDITA DAL GUF DI FORLI' FondazioneRuffilli- Forlì IN ·PRIMA. LINEA· Con plebiscito unanime gli universitari italiani hanno chiesto l'onore di vestire la gloriosa divisa· grigioverde. Un altro altissimo privilegio essi chiedono: quello di essere in prima linea accanto ai tanti combattenti, che offrono in questo momento prove di fulgido valore. La gioventù migliore d'Italia, quella che dell'elevazione intellettuale ha fatto un mezzo di conquista, quella che sa felicemente alternare la serietà dello studio con una spiccata attitudine pratica, con una multiforme partecipazione att)va alla vita di pensiero e di costruzione della stirpe, non può rimanere spettatrice dietro le quinte della grande scena storica, in cui due popoli protagonisti e dominatori conducono il dramma verso la sua fatale e luminosa conclusione. Lo spirito goliardico ritorna alle sue tradizioni più nobili; trasuda in esso l'àrdore dei giovani universitari di Curtatone e· Montanara, che, nell'epoca del combattimento e nella sublime dedizione del sacrificio, scrissero una delle pagine più belle della nostra storia nazionale. La parte migliore di questa tradizione di eroismo, di generosità, di nobiltà morale viene elevata ad esponente nell'offerta delle giovanissime camicie nere degli Atenei. L'educazione fascista ha creato in essi uno stato psicologico materiato di fede purissima, di ardore ascetico, di forza di apostolato, di esaltazione mistica. La potenza di un'idea ha plasmato gli spiriti nella bellezza di una nitida passione patriottica e nell'aspirazione più intensa dell'ascesa e della conquista. Non è meravigliosa l'attuale adesione totalitaria dei goliardi ad una purissima volontà guerriera? Si riaccende nel gesto la tradizione migliore del volontarismo italiano, manifestatosi in tre periodi di una splendida continuità storica: quello romantico e avventuroso del Meèio Evo; quello politico individualista del Risorgimento; quello politico unitario del Fascismo. La Rivoluzione ha prodotto dunque il miracolo del volontarismo unitario e totalitario. Ha ecceso gli animi nella visione di una idealità più forte di tutti i legami materiali. In sede di bilancio consuntivo si potrà dire che la gioventù studiosa ha avuto nella grande prova il suo posto di avanguardia. Posto di avanguardia a cui vuole dare un significato materiale e non soltanto platonico. Posto di avanguardia che significa essere fra i primi, cgntenti di tutte le assegnazioni, eccetto quelle che. impediscono di collaudare la fede ed il coraggio alla prova del fuoco. MAS Pag. l

UMBERTOTOSI Presente! Il Segr~tario del Guf di Belluno, Umberto Tosi, è caduto sul camp,1 dell'onore. La gioventù studiosa d'Italia, commossa e fiera. ne onora la mer.ioria, ne esalta il sacrificio generoso. Lo spirito di Umberto Tosi si ag • giunge alla schiera eroica di coloro che per la Patria seppero immolare nobilmente la propria esistenza, trasfondendo l'ardore di una fe:!c nell'espressione concreta e purissima del suo sacrificio. M~ per noi universitari I'olocansto del tenente el 7° Alpini ha un valore particolare; è il primo in ordine di tempo, ma non sarà il solo perchè i goliardi italiani .hanno abbandonato il libro per stringere ;1 mosche!to. perchè i goliardi italiani vogliono essere sui campi del combattimento ed offrire il loro contributo di energie e di sangue al grande destino imperiale, che. faticosamente ma sicuramente, si va forgiando pec la Patria nostra. Camerata Umbe:·to Tosi, Tu $ei presente .in noi da questo momento non solo per un commosso richiamo spirituale, ma perchè vogliamo che la tua grande fede sia la nostra fede, ma perchè siamo pronti alla stessa offerta. Tu vivi in noi perchè ci hai rappresenrnto per primo nel sacro martirologio. Oggi le schiere si infittiscono, si lancianò spavalde verso la linea ·del fuoco. con la stessa ardente volontà dei giovani di Curtatone e Montanara. Oggi i goliardi reclamano il jiritto e l'onore di essere all'avanguardia nel combattimento. come lo sono stati ieri nelle opere del pensiero. E tu, giovane ed eroico camerata .. ci guidi idealmente verso la luce più vera. FondazimG-Reuffilli- Forlì vera democrazia La democrazia è nata per dare forza alla legge, espressione sostanziale della volontà del popolo riassunta in una enunciazione plebiscitaria. Il significato primitivo del termine è stato soggetto a deformazioni quando si è voluto tradurre il principio democratico nella realtà politica con l'intenzione di eliminare una volta per sempre il regime patriarcale del dispotismo tirannico, che ha rappresentato il contenuto dei principati medioevali come dei regimi aristocratici. La democrazia ha preso quindi netta posizione contro l'arbitrio, che di per se stesso è negazione della storia, per affermare in pieno il valore della legge fino ali' astrazione massima di tale concetto. Così di fronte all'aristocrazia, volta a confondere in un unico atto la proposta e l'attuazione del diritto, la democrazia ha diviso la funzione legislativa in due ben distinte fasi, in modo da eliminare gli arbitrii e da attuare, per quanto era possibile, un sistema di giustizia e di contemperamento sociale. E la stessa divisione attuata nell'attività legislativa. in quanto l'autorità creativa veniva ad essere nettamente separata dall'autorità esecutiva, si avvertiva poi in tutti i campi dell'attività umana, portando pure una scissione in quell'unità del pensiero e dell'azione, che è stata attraverso i secoli il fulcro di tutte le più grandi affermazioni. Di fronte a tale teoria, che inceppava il naturale corso della storia rallentando l'evoluzione sociale e politica dei popoli, era ovvio che si cercasse di riparare ricorrendo ad ordini nuovi, capaci di operare la sintesi dei due grandi momenti della vita · umana, a sistemi, che sapessero contemperare ed armonizzare tali funzioni, tenendo conto di tutti i valori umani e morali affermatisi in più secoli di storia. Si sentiva impellente il bisogno di un regime autoritario che annientasse l'arbitrio delle aristocrazie e frenasse gli abusi delle democrazie, per dare al popolo un regime di vita giusto ed incensurabile dal punto di vi;ta del!' equità. Il ritorno all'autorità ed ai cosidetti pieni poteri non costituiva nè un arbitrio nè una violenza nel suo concetto ispiratore. E' il bisogno stesso del popolo di ritornare nei vari corsi della storia a quella concezione unitaria, che da tanti secoli è stata l'aspirazione di ogni popolo, da quelli primitivi che divinizzavano l'autorità regia fino a lutti i regimi autoritari, sorti dopo periodi travagliati e disordinati della storia per fare riprendere ad essa il suo corso normale. E siccome nella vita µmana è immanente il desiderio di ascendere e di trascendere la materia in un travaglio continuo dello spirito e del pensiero, ad ogni periodo di evoluzione e di progresso si ricorre volentieri ali' autorità unitaria per confermare e valorizzare la conquista, e11itando in tale maniera il pericolo dell'involuzione. Proprio contro coloro che affermano essere l'unità autoritaria indice di stasi e di decadenza della vita umana. possiamo ricordare che essa nasce in base a necessità vitali e che, traendo il suo fondamento nella pratica sperimenta/e, è quella che meglio riesce ad interpretare i bisogni dei popoli ed a valutare le necessità della storia. Perchè sono appunto l'azione e lo sperirnentali~rno che soli possono spezzare la rigida meccanica della legge, vivificandola nella lettera e trasformandola nello spirito. In dati periodi la responsabilità della storia e l'anima dei popoli si spostano dai Parlamentari ai governi, considerando che la vera giustizia non risiede molte volte nella rigida professione di norme ideali ma nel- !' azione, nella realtà viva, la quale si adalla trasformandosi nello spazio e nel tempo, cercando di rendersi aderente alla vita degli uomini e tendendo, più che ad un ordine statico e fossilizzato di giustizia meccanica, ad un sistema innovatore di equità e di armonia politica e sociale. C'è un fatto incontrovertibile il quale ci avverte che non è un qualunque diritto ideale che forma la storia, ma' è proprio l'azione quella ehe dirige gli e11enti, non basandosi su scherni tradizionali e fissi, ma su idee liberali, su concezioni più ampie e su ideali che trascendono l'ordine coniingente per offrire allo spirito la pratica possibilità di evolversi e di po- 'tenziarsi. Ora noi possiamo dire che la legge nasce dalla vita, da/I' osservazione quotidiana dei fatti e dei fenomeni umani. Ma si potrebbe ugualmente obbiettare che la legge può scaturire anche dalla tradizione, dalla cultura, dal!' emulazione. e ancora dal ~erJJi-

lismo ai sistemi del passato. Ora non si può affatto affermare che è buono tutto ciò che è antico e prova ne sia il fatto che spesso gli istituti di un ·dato periodo sono stati subito condannati dalla storia. linche la vita ha le sue inderogabili necessità di sviluppo e l'anelito alla spiritualità del!' azione. Tutto ciò porta alla conclusione che appare più logica e più naturale e cioè che l'unità autoritaria sia nella sua funzione creativa come in quella esecutiva risponde alle esigenze della storia, quando si sforza di applicare tali principi, armonizzando la propria autorità col giusto contemperamento sociale, che non sia rigida applicazione di falsi principi di eguaglianza, perchè è troppo giusto che, se non una gerarchia di titoli, è almeno strettamente necessaria una gerarchia di valori umani. La storia ha dimostrato che tutti i sistemi rivo/li ad una irrealizzabile tendenza parifi,catrice sono crollati miseramente. E' la stessa logica della vita,. la stessa coer.enza storica, che ripugna ad un tale ordine equitativo, che vorrebbe statizzare tutta la vita umana. La Rivoluzione fascista ha soddisfatto a tutti questi presupposti ideali. Essa ha iniettato nel complesso nazionale uno spirito creatore rivolto alla realizzazione di quello Stato etico, che rispecchia e contempla tutte le varie funzioni educative, morali e politiche, dando vita ad un nuovo diritto supera/ore del vecchio ius liberistico come del più vecchio ius paternalistico. Lo Stato riconduce la vita sociale entro l'ambito della propria essenza etica e politica. mentre disciplina tulle le forze · sociali degli individui, armonizzando i loro interessi in un principio superiore di giustizia. BRUNO MASOTTI TEMPIEROICI C'è ancora della gente che si lamenta delle difficoltà: c'è ancora delia g~nte sempre pronta,· nei suoi discorsi, ad enumerarle tutte, con un 'aria odiosa di martire incompreso e rassegnato. E questa una bruttissima tendenza di anime fiacche, di mentalità abitudinarie, amanti del quieto vivere, abilissime nel nascondere. sotto un proAuvio di ragioni giustific,llive, la loro mancanza d'iniziativa e lo spirito imbelle. Non amo costoro; anzi sinceramente li detesto; prima di tutto perchè sono noiosissimi; poi perchè mi ripugna b loro ignavia nascosta; in terzo luogo perchè non hanno l'anima del nostro tempo aspro e .:lifficile. Lo dico subito: amo le difficoltà e le accetto cosi come vengono, perchè sono una ·parte essenziale e inalienabile della vita; ma molto più le apprezzo perchè spogliano l'anima da ogni pigrizia, perchè sferzano lo spirito, perchè affinano la volontà. Ma non s'accorgono costoro che è un'utopia credere ~ella vita facile, ed è tempo perso lo sperare e il lavorar~ per attuarla? Da millenni l'umanità cammina tra angustie inenarrabili, sospinta da un sogno di benessere e ,.J: pace. Che altro vogliono, se non questo quei ribelli sociali e politici, che possiamo comprehdere nel termine generico di « anarcoidi »? Ingenui! Non capiscono chè la vitu comoda. l'Eden paradisiaco, l'età dell'oro tanto sos~irata, qualora si attuasFondazioneRurrilli- Forlì se e divenisse il riposo· del corpo affaticato, sarebbe pure la tomba dello spirito? Si pensi sino alle ultime conseguenze questo stato di cose, eh 'è poi l'aspirazione d'innumeri dottrine sociali : t'Utto perfetto, tutto ordinato, più nulla da fare. C'è da morire di noia: Credo che, se questi eterni illusi e la pleiade degli incontentahili fossero portati in un mondo simile, presto se ne stancherebbero e domanderebber0 di fuggirne. Dice un adagio popolare : « Il morido è bello, perchè è vario » ed ha pie-- · namente ragione. Guai a noi se tutto fosse perfetto ! Per nostra fortuna, la natura delle cose è impostata su principi diametralmente opposti; nè gli sforzi di tutti gli uomini riuniti insieme potrebbero cai-nbiarla. La vita è piena di difficoltà ,:ti ogni specie; la vita è lotta, tensione, superamento. Essa chiede perciò d'essere affrontata con indomita volont~, con tenacia, con pazienza e spesso con eroismo. Chi non possiede almeno un briciolo di eroismo è un nulla ed è destinato a sparire. Ed i: giusto che sia cosi. Non illudetevi, dunque; le parole, le scuse. le ragioni non valgono e non convincono nessuno: vale soltanto I 'intraprendenza eroica, l'audacia o, per lù meno, la calma e la rassegnazione vigilante, umile, silenziosa di chi è sicuro dei· suoi nervi e delle sue azioni. Andiamo adagio! Riprendiamo a considerare la questione con pacata profondità. Partiamo da un principio : « è con - 1:aturato alle cose di questo mondo un certo grado di imperfezione». Quest:1 grande e semplice verità è di dominio comune. E' altrettanto vero però che : ,, il bisogno di perfezione è uno dei piil potenti desideri dell'uomo ». Ci troviamo di fronte ad un 'antitesi da con-- ciliare. Dato questo stato di cose, non sarebbe male, in sè, desiderare di rendere sempre più perfetta, più comoda, più facile la vita. Il male vero consiste nell'odiare la difficoltà, nel! 'imprecare contro di essa, solo perchè si oppone ai nostri ideali, e, peggio nello schivarla, evitando di rimuoverla. E' iogico che il nostro desiderio di perfezione s'incontri ed entri in conflitto con l'imperfezione <lei mondo. Non si deve pretendere una logica nelle difficoltà. Gl'incontentabili, i pessimisti mostranf) la più grande stizza e dispiegano la più amara eloquenza proprio per mettere in evidenza tutto l'assurdo insito nelle difficoltà. Ma, benedetta gente, la difficolti1, nell'ordine razionale, non può presentarsi se non come « qualcosa » eh 'è fuori posto; necessariamente essa sarà sempre assurda, illogica e caotica; essa si presenterà sempre come chiedente a noi la sua composizione in un ordine qualsiasi, purchè sia or<line. E' inutile, dunque, lamentarsi di ciò che è inevitabile legge naturale. Bisogna sforzarsi per conciliare I 'antitesi; bisogP.a amare le difficoltà; bisogna abbracciare con ardore il «caos» che ci sta intorno per consumarlo e trasfigurarlo in (( cosmo » con la potenza ordinatrice della nostra mente. Che sta a fare l'uomo sùlla terra, se non questo? L'antitesi rivela un conAitto. E non si disse forse, fin dai tempi piit antichi, che la vita è lotta, anzi, milizia? Anche qui si rivela una legge naturale. Per ogni essere che vive, la vita è un 'aspra fatica. Non è in potere degli uomini il cambiare le leggi divine. O si ama o, almeno, si accetta la difficoltà, oppure la si suhisce per forza. ci si ribella, ci si infrange contro e si soccombe. V.i è un caso specifico nella vita delle api. Nessuna operaia aiuta la compagna nascitura, che a forza di stenti e di mandibole, deve disopercolare la cella per uscire alla vita dell'alveare. Ogni ape, che nasce, è abbandonata ai suoi sforzi. Se non riesce, è lasciata morire di fame e di stenti. Quando è morta, è liberata e portata fuori. L'aPa.g, .1

pe che non ha forze sufficienti per nascere. non ne avrà certo per i faticosi lavori necessari alla colonia. Se muorn è uno sgravio per tutta la collettività. la quale non cura e non assiste che gl 'individui validi. ,Vige, in natura, un sistema selettivo rigidissimo. Nella nostra vita di uomini, tolto l'antico esempio di Sparta, siamo molto, ma molto indulgenti; forse troppo .. Perciò, chi si lamenta è veramente un vile. ❖ Poi. da un punto di vista spirituale, le difficolti'l irmbustiscono il corpo e temprano la volontà. Chi intende questa grande verità, sente pure che, se non ci fossero I•! difficoltà, bisognerebbe inventarle. Non alt!"imenti fanno i monaci, del resto. nei loro com•enti troppo bene organizzati, dove la vita corre facil::, pacifica, sempre ,,guale, cioè con là monotonia propria delle società perfette. Il monaco fervente ed ansioso della perfezione dell'anima sua, sente che, se vuol vivere spiritualmente, « deve » inventare preghiere, pratiche. cilici, lavori, penitenze atte a tener desto il suo spirito. Chi vive nella vita del mondo non ha bisogno di « inventare ,, difficoltà; pensa la vita stessa a procurargliele. Petchè rifiutare l'esercizio, che farà robusto il nostro spirito, quando ci viene offerto spontaneamente? Per la vita dello spirito, dunque, dobbiamo amare e volere le difficoltà. FondazioneRuffilli- Forlì Pctg. 4 Eroismo, audacia! La vita è bella appunto perchè ardua e difficile da dominare. Volgiamo i! nostro spirito v.:rso l'accettazione volonterosa della vita è finiamola di lamentarci ; finiamola coi lamentatori. ❖ Si fa presto a dire : « amare e volere le difficoltà "· Come si fa? Già, per la maggioranza è chieder troppo anche solo il sopportare e il ,~- cere; immag1niamcci poi se si chiedesse un bricciolo di eroismo, un po· di sacrifìc,o di sè. Non tutti i giorr.i del resto si presenta l'occasione di essere un eroe in grande stile. Si chiede molto meno per essere all'altezza dei tempi. Bisogna imparare, prima di tutto, a non lamentarsi di nulla e di nessuno. Non ti vergogni?, Tutti sanno che attraverso ogni tua lagnanza manifesti soltanto la tua impotenza e la tua bile di deluso. Meglio tacere. Devi capire ormai che aver la forza di tacere e non dir male. di accettare le difficoltà e superarle come meglio si pub è già un segno di una certa energia di carattere, che può onorarn anche i più timidi: è un'intrepidezza che avvia verso attitudini verament<! eroiche. Se non puoi vincere le tue difficoltà, se i tuoi doveri ti sembrano ~uperiori alle tue fo~ze, se chi ti sta sopra 1i sembra ingiusto, subisci senza lamentarti; taci, poichè è inutile annoiare il prossimo, sfogando il tuo livore; ti fai ripugnante per viltà impotente. "Il rancio", acquaforte di Brindisi Chi tace ed opera in silenzio possiede già 10· spirito eroico : I'eroism;i di chi sopporta con pazienza, l'eroismo sublime della rassegnazione, l'eroismo di chi sa soccombere senza una parola, ignoto, nell'ombra ... Vi è forza ed eroicità, anche nel sopportare, con intrepida rassegnazio-- ne, le difficoltà. Se non sai far di più, questo è già molto. Lascia alle donne le maldicenze ed i pia1,>11isteiS. ii uomo, sii, forte. sii eroico! Lavora il più perfettamente possibile, ~on onest~, in 5ilenzio, second,) i tuoi doveri. Soffri, sopporta e taci. Pensa che il dolore e le difficoltà ti sono necessarie allo spirito, come il pane al corpo; accettale di buona voglia e impara a sorridere lo stesso. Ama eh~ i tempi sieno difficili; detesta la vita facile e troverai che l'Italia fascista, tutta nervi e volontà, è il paese ove spiritualmente si vive. Solo allora la sentirai pii, intimamente tua patria e non commetterai l'errore, sia pure mentale, di scRmbiarla con il paese più ricco e felice del mondo. TELESIO MONTESELILO La partenza volontaria per le armi di molti collaboratori non deve interrompere l'assiduo ritmo di vita di VIA CONSOLARE. Affidata ad una nuova redazione, la rivista continua il suo lavoro con la stessa passione e con aumentata fede.

Scrittori che per la prima volta s'impegnano in prove narrative, di tentennamenti ne hanno sempre. E a discernere lo· spirito motore dal frascame dell'inesperienza talvolta è difficile assai. Chè di cento artisti che tentan la scalata dell'arte, in vetta, pur anfanati e sudaticci, pervengono in tre o quattro, e non di più. Si sa - perchè la storia letteraria a qualche cosa pur serve - che ogni scrittore, anche il più originale e ghiribizzoso, alle prime armi unisce alle cose sue quelle altrui che più gli hanno leso la fantasia. Inutile citar dei nomi, chè influenze ne hanno avute tutti, a cominciar dal padre Dante. Tutto sta a vedere se lo scrittore, che coll'opera altrui s'è fatto trampolino, sa poi spiccare il salto con energie e muscolature proprie. Questo p_erdire che la prima opera d'uno scrittore consiglia sempre al critico passi di piombo. Chè casi di fate morgane ve n'è stato più d'uno e - anche a far nessun conto della critica deteriore e dilettantesca che trova il capolavoro nel libro d'ogni amico - s'è visto qualche letterato di nome e di gusto, impegnatosi a fondo all'apparir d'un giovane, dare poi di freno con mosse precipitate. Per questo a dir d'un giovane, per quanta impressione abbia suscitato con le prime prose [« Storia di Antonia», racconti Edizioni Primi Piani, Milano], si userà qualche ritegno. Che il Mesirca sia uno scrittore nuovo è fuori di dubbio, anche se alcune derivazioni da Comisso sono palesi e se il taglio, l'inquadratura dei racconti richiamano quelli d'altri giovani già affermatisi (cito senza impegno d'entrare in particolari: Emanuelli, Delfini, Quarantotti Gambini, Benedetti ecc). Non direi che « Storia di Antonia » per quanto dia il nome al volume sia il racconto che ·nella mente del lettore trovi spicco. L'ampiezza non giova a questo racconto, anzi ne sfoglia il grumo· vitale in filamenti, che talvolta sono davvero periferici alla storia intillUIdella protagonista e ne slavano i contorni e le fattezze d'eroina. Pure il racconto ha un suo « pathos » e una sua atmosfera, che da grigia agli inizi, si illividisce via vi-a tendendo sempre più al desolato. Il cuore nostro, man mano che le pagine scorrono, s'inciprignisce di pena e quasi un dolore fisico ci fa partecipi dei casi di Antonia. Questo - a tradurlo in moneta critica - vale a confermare nel Mesirca una potenza narrativa latente talvolta, ma alla fine sanguigna e suasiva. Se si volesse correre il rischio d'una definizione, al Mesirca s'adatterebbe questa: realista lirico. M'è venuto a mente, leggendo di lui, il regista Duvivier. E non è poi tanto errato sentir la posizione del regista molto vicina artisticamente a quella d'un narratore; e i raccordi che si possono ,fare tra un Duvivier e i romanzieri contemporanei sono significativi. Il senso lutto lirico della realtà che si manifesta spesso in scorci violenti di verismo e che sotto svela un gusto letterario e intellettuale, l'ho riscontrato in più pagine del Mesirca. Nel racconto « Una pensione in città », per esempio, qualcuno alla crudezza con cui è ritratto il cocchiere animalesco, la zia carnosa, la moglie grinzuta, l'impiegata allampanata, la figlia color camomilla, potrebbe FondazioneRuffilli- Forlì Retti· "I! Messagi,;ero". bozzello per l'" Agamennone" di Eschilo pensare a certi libri di Zola o anche di Maupassant. Invece mi par di capire che tutta quell'aderenza alla realtà sia tutt'altro che « f,otografica » come ai tempi di « Teresa Raquin » o di « Bel-Ami ». Presa così a sbalzi, scorciata i.n particolari brevi e caricati, ha - la realtà del Mesirca - tutto un valore soggettivo e in parte simbolico. Ne deriva alle sue pagine un sapore di poesia, amaro e uliginoso, che sempre trova conferma nella chiusa, mai accomodante o sentimentale. Questo mi pare il sustrato della narrativa di Giuseppe Mesirca. Certo ogni racconto poi manifesta e insiste su particolari diversi. Così ne « Il fiume » (la pagina di Comisso sullo stesso argòmento è richiamata ad ogni istante) il lirismo vaga in. ogni rigo. Non essendovi tentativo di trama, è chiaro che il senso poetico abbia il sopravvento nel ritrarre le cose e la natura, e generi alla fine l'impressione d'essere di fronte ad un poemetto lirico-silvestre piuttosto che ad un saggio di prosa narrativa. In « Ritratto di poetessa » invece tutto il tono è marcatamente caricaturale, ma non rattenuto nei limiti e risolto vivacemente come « Colonia Marina ». E' quest'ultimo~ a pensar bene - il più gustoso e drogato esperimento della non copiosa raccolta del Mesirca. L'argomento è originale. La trovata di un cinquantenne panciuto cavaliere di istituire una colonia per bimbi bisognosi in un isolotto solitario, segrega dal mondo parecchie donne e un giovane dottore. Hanno addosso il gravame d'esser rigide e morali - dato il posto e l'incarico - e invece nell'isolamento s'i,ntrecciano fili calamitosi tra i sessi diversi. E non giova la rugosità della carne vecchia; chè anche quella sfrigola come sui tizzi accesi. Sicchè alla fine ne riesce un formicolio di contatti dove l'onesto cav~liere tiene il luogo del mattadore. La vicenda dal Mesirca è condotta éon tanta sorgiva

~ou con una ah-ke ?u;;./4 dùnen/ièala Quanto tempo fio perduto nelle pi,·colc cose? I E tn e tu dolce not,i ri11tast<t fuori dallct 111elodi<"ci trama ti dilegui a l'urto delle nuove ·voci? Non accolta dal Genio che /,11-ttoassorbe per di/Jundere con ala più grande, vaghi a nel,biose rive 1wr scioglierti .,ile11;ziosame11te,sfinita. Do/re nota, ritroverai una stra.da tua verso l'r,rm.onÌ<t che sognasti, non perderti su rive nebbiose che inrogliano all'acre pi1111todelfo solitudine. Il cuore del Genio ti sentirà 11n giorno ,, stupef<tt/.o scolJ,irà per te altra trama; oscuro tonuento nr,scerà per fW<'rti proscrill<t dalla creazione· e tt1ntn virile sarà il pentimento che balzerai immens<t nel suo ·11w11docli calde imagini, vergine nuova nel sole. Ecco, mi, ascoltasti, dolce notn, e ieri ser<t t'ebbi grondante tlal mare di nuove armonie. La t1w origine a 11111eira ignota; io, unico, sapevo della /u<t ,tlterna vi-cenda. Q11-andomi avvolgesti fremirla crollarono a noi d'intorno gli altri suoni; restammo soli nella grmufo folla a/toni la e l'amore ebbe echi in sfere su.perne. IGNAZIO .SCORTO franchezza, che il racconto che ne risulta va catalogato fra i migliori letti in quest'ultimo scorcio di tempo. A concludere quindi, i risultati a cui il Mesirca giunge in~questa prima opera sono assai buoni, se si tien conto che nei successivi esperimenti [racconti e prose apparsi su « Rivoluzione, « Meridiano di Roma» ed alt,i giornali e riviste] egli è andato mondando sempre più la propria prosa ed incidendo i caratteri dei propri personaggi. Viva era l'attesa per un suo nuovo volume di prose cbe il periodico fiorentino « Rivoluzione » avrebbe dovuto in questi giorni porre in vetrina. Senonchè l'uomo propone e Dio dispone; e « Un uomo solitario » è rivolato, per il momento, sui cirri dei sogni. · Ad ogni modo una prosa .del Mesirca apparsa qualche tempo fa su « Meridiano di Roma » esprime bene il suo maturarsi di narratore. « Il giorno dei morti » indurrebbe chiunque nella tentazione di gridare al capolavoro. E in verità una prosa tanto liscia e semplice da sembrar perfino trasparente, dà al motivo del componimento quasi una aerea compostezza. Non un rigo da togliere nè da aggiungere: tutto è misurato; meglio: tutto è perfetto. Eppure il soggetto è un tema di quinta elementare: una visita al camposanto il due di novembre. Non toni macabri, non suggestioni di poesia sepolcrale, e neppure compiacenze lagrimose. Vien voglia di volgerci a- quei critici che, dolenti della letteratura nostra narrativa, insistono conFond aziOP,,fru. ffilli - Forlì Il vrnto cade/e, se11za più -~u.-1w1z1,, e lrt t.empesltt fn ri11ghio1titn dal cielo /osco, cieco, ""'' scunfinctla snbbi11 srigia. lì mare ferito 111.oslrrtvn sudicie cicatrici di spu11ut, su/Jre11do il suo stesso furore. Poi nuovnn1ente si ricompose lit linea dcll' orizzonte. Una. chiaril<Ì pallida c111er.'ic, mostrÌ> l'orizzonte -'JJogliu: come se lii.Ile le vele chioggiutte si fossero spe11te ad ww ad ww, sulla /iiwn del 1:ielo, - piccole fìcunme di 111or1i [,' 011da recavn soltanto, lr<t sp11111ae gorgo, rumore di lontfl11a tempestn. A un. tra.ILO l'aria .,,;'accese; il _sole fu un g<'tto di luce inat11<so. Allora m'entrarono negli occhi i colori del mare, fra11gendosi i11 una salsa iride... • L'aria che respiravo era un incontenibile ·vento, 11.n argenteo tessut.o per reggere le, mia sete di spazio. La prima tartnna levò la veia e si mosse ad uscire. L'acqua ferma del porto s'apriva a !11cidi riflessi veloci, e le vele tingevano l'acqua, , i destate dal sule. VITTORIO BONJCELLI sigliando originalità nei soggetti. Giacchè in argomento si sono diffuse molte e simpatiche opinioni, non guasterà certo questa mia allusione, implume ancorchè maligna : che tutti i soggetti son buoni, purchè si sappia scriverli. Ma - per tornare al Mesirca - mi vengono a mente le parole che, due anni fa, io spesi in fondo ad un articoletto per l'uscita di « Storia di Antonia»: " certo sarebbe desiderabile un controllo e una raffinatezza maggiori nella prosa e una incisività più metallica dei caratteri. Ma - si sa - queste son doti che si possono via via acquistare nel cammino dell'arte». Seguendo l'evoluzione del· Mesircà nelle sue successive prove fino ad oggi, sarebbe rischioso dire ch'egli ormai ha raggiunto il suo massimo. Più che un'esaltazione, varrebbe. a limitargli le possibilità. Pure, tenendo sott'occhio " Il giorno dei morti», si deve constatare ch'egli ha raggiunto quello che qualche tempo fa era soltanto un·« suo ideale »: " dare alla prosa il meno possibile di letterario » (da una lettera). Se a questo raggiungimento s'uniscono le doti che nel Mesirca sono naturali (senso vivo di poesia, intuizione e traduzione chiara della realtà in arte, fantasia fosforescente) parrà giusto affermare ch'egli nella nostra letteratura s'iscrive come una scrittore nuovo, fresco di forze e di indirizzi. EZIO COLOMBO.

A.Grande o della riflessività Unn pri111,1 ,,ensibil~ singolarilà, for;-;t~ già fegno d'un'imtuietudinc nativa, seinbrerebhe scoprir:-.i ncll'andt11Hen10 della bibliografia di Adrianù Grande. Perchè da un inizio in cui p,ueva ogni sua promessa co1nenlrarsi alla poesia, tanto <·he Gargll1lo dopo « La tombi.l verde>) e << Nuvole :-:.ul greto)) poteva sc·rivere: << Si vide suLito •·hc nel primo volumetto << Avventure 1> l1927} importavano ass.ii meno le prose ,l, si è giunti, dopo Jieci anni, quasi nel un rovei-darnento Ji preotn1pazioni; e bai,la pensare nel un confronto dcllt:: << Poc~ie in Africa 1) (1938) con <l La legione Parini >l (]937) e col cc tlitrnllo di Genova,> (19-10). ~on già perd1è &i voglia respingere quel' 1a1110 cli lirismo c:he lievitu tuttora le; sue pagine di prosa migliori. ma piut1.osto per <JuP.ll'apcrtu maggior di:Sinvohura ,·he .-.ru s.ulla tJros.1 tonvergc come ullora sulle liri1'hc i-i disponeva. · Tra i primi c·he parvero acc·orgcrsi di que~lo !òJ\•olgin,ento, seppure nella nuniera possibile ()rima che l'Omparissero gli ultimi lermini più chiari al rilievo, fu Iletocchi, il quulc in un'ndclolorala notn (Front~.spizio, gcnn. '37) a proposito di (( Alla pioggia e al sole ,) (1935) sentiva « a mondo poelit·o di Adrh1110 Grande, come un Jimbo, come un limbo ~cnza attesa>) anzi con il dubbio t·hc fosse persino « senza linguaggio ~> o almeno l'On un linguaggio non l~ addol<-itorc lii metri; ma invece affaticai ore del pen~iero ·». Un punto era tocc.ito inlanto, che proprio in quegli aoni avrebbe potuto essere risolutamcnlc delineato dalJa 1esti111onianza di un'opera strana, che tulluvia, acloprl1la in qucsla spiegazione, lrova il suo pm-to: clidamc, il (( passatempo tealralc >> << Faust 11011 è morto» ciel 1934,. A riprendere. in ordine d'anni, i sette libri ciel Grantle (che non sono tutto il suo meritorio lavoro; sappi,uno infotti come il suo titolo ancora più forte sia sempre in quelle annate dei <(Circoli >) che ora si prolung:mo nei primi dig1·iitosi fascicoli cli <1 1\1:.iestrale ,,) ri~uha certa, per un lato una .illitudinc di fo111asia, leggera ed ariosa, t'ui vanno riconoseiuri i risuhati migliori 110n :;oltanto dcll.:i << Tomba vercle >> e di 11 Nuvole sul i:;reto n, ma già degli stessi ,·api1olelli tli <tAvventure)) (e non fnrcia1110 tenno dei « Versi ,) d1e come è noto 1u11i rientrano nella raccolta della « Tom• l,a nl; per l'altro una volizione cli discor- !--O, ili meditazione, per net'essità indecisa• menle pessimislii·a, che tanto sembra inrap::1re di sfug~ire i propri mo(1clli, come cli rr.ggiungere, in t·ondusione, cla essi una intonazione veramente personale. li disagio critiro accennalo da Betocchi i: pertanto risolvibile non !-.C:lrtanclo questa 11 c111ell:1prova, ma unÌt.'amente riconoscen• tlo in t.1uest'mnbiguità di ,·ondizione, in tjuest'inrérna divergen7.a cli ragioni il c·arnltcre dclri~pirazione dello scrittore. consegue c1ucgli sbandamenti che l'ivclano l'as::-:cnza cli neressità. forse egli stesso uveV~t co::-:t::ienzadi quesla sua posizione quan• do, pur con un accenno sminuito dal guslo <·apriccioso dell'eva11cstcnza, si definiva come « colui 4•bè ~ernpre guarda jntorno, al. la natura, Yivendo suo pensier fuor di se :,h!SSO" (.Avvenlure, ]52). Gargiulo a suo tempo avèva accettato un altro termine, o un'altra giustificazione: dcli\< esilio)); cm ancor;.1 dello stesso Gran• de; e ~ebbene l'inlcnzione fosse di rivolgerne il signific:Ho alla vit.i, e quindi per IJl"0tcggcrnc e as~icurarne: una diffusa (<lri- !-.lezza ,> che :111pariva come cl.ima (t< Mi ~enlii c.5iliato sullf1 terra dal giorno della Ha~cita, incapace a vivere, inutile, vuolo ... », Avvcut., 99), tuttavia si può cvnsegnarc. in estensione, anche alta poesia. « Peso dei ~ccoli, pcrcbè così :;pcs:;o mi pieghi? Perchè sempre m'allo11ta11i dal mio u~gi, 111ivic1i <li godere il mio mattino?)> (Avv .• 127). Citiamo con doppio risultalo probativo: del s\!nso deUa confc:,sione, e dcll'efTcllO dell'espressione. (A lratti non m,uwava allora qmdche momentanea inclul• genza agli aforismi di gusto tagoriano: (1 Il cuore dell'uomo è un m·cello boccheggiante ~ur un cumulo rli foglie ~ceche ai JJicdi dell'albero natale !>, Avv., 135). D"altra parie la stessa inconsistenza clel sennò• neggiamento logico, costringeva a cerc;ire delle ragioni più significative che non po• levDno essere che anlececlenti e più genuine: e la prima indicazione nell'indagine ~ra fornita dal risultato evocativo, dall'effetto poclico propo;lo, nei mo1uenti più liberi, clalle parole. Il limite era dunque quello posto dolln memoria; nella sfumata concretezza del rit·ordo di qualche paesaggio, o cli qualche ora, era raggiunta quella coloritura di frase ,·hc:: giit sembrava il miglior dono anche dei versi. « A ripensarla la fanciullezza si riaffa,·• eia in me con una fronda in mano verde chiaro~ in quella strada provinciale mi vedo correre sotto il sole cnn1a11do, o nella notte frcmcmlo di timore dinanzi all'ingresso d'una cascina, mentre i grilli face• ,-an d'intorno più mislerioso il silenzio ». (Avv., 135). Le rifles!-ioni si intersecano, si sovrap• pongono: ccrli tr::illi richiamano Can1pana (« Solo una nuvola, ferma, sovrasta Je piante. fliflcssa nell'acqua la Ella immagint" si dHTorma e r~1!-somiglia un diffuso e tremolante moslro che d::il fondo riassommi lentamente. l\'fa su, contro H lumi110s0 e assorto azzurro di un delo di tristallo, essa bpÌl'Ca l'andicfomcnte, ri(·olmando gli occhi con la sua morbida e sfumante fresd1czza ,,, AV\ ., 137), altri più concessi agli i:foghi (li lirismo che dispone in accentuala vcrsilìi.:azionc il periodo fanno pensare alJ' importanza della lettura di Ceccardo (C\ ••• :s'avvolse cli gramaglie il suo tempo frnpreciso e il pensiero, laguna fredda, ri• flettè un cielo !-e11za più sorriso >J. \Avv., 157) e all'a(.'condiscendenza del gusto dei poemetti in prosa. Se t·erd,imno in l< Avventure)) i primi c·apitoli: l• Propilei» e l< Ritr:111i >> (l,e1whè :-.ia forse indi<·ata per essi la data lorllana del 1916) o anche quakuno dei sutcessivi, per esempio <, Orizzonti° d'un tnffè )l o <• Si·andagli )>, li vediamo sollo il segno dd la ri,·erca rillessiva. impuntai i ad un valore di profondità di pensamcnlo che, l>TO• prio per l:1 sua im·ertezzo.t di composizione, ·'Capriccio" olio di Angelo Savelli (proprietà Galleria d'Arte Moderna di Roma) Fondazione Ruffilli - Forlì Pag. 7

(( Ì..a lomba verde)) e « ~ uvole sul gre• lo» sono i due frulli più fortunati cli quc• Ma st.1.i.gionrdi prevalente abbandono ;1i richiami fantastici. Non pcrchè vi sia smarrita o dimcntkatn la tendenza meditativa, ma per il maggior consenso serbalo all'invito melodico rispondente a una piì1 ser\!- na contemplazione. Per queste ragioni diremmo che uno dei gruppi cli lirich~ mi• gliori è << Stagioni >) nella C< Tomba verde »: si veda il <<Notturno>): << Un'eco, infatti, di rare • leggende J)are che viva • nello squillanle riso • delle chiarovc&tite - donne the $C ne vanno • lungo la trasognata - riva ... >>; l'(< Elegia di seuember », il << Lau• ro » o il pascoli.i.no « Canto d'inverno >>. F'ermeranno certi• tratti eostruili suf semplice intreccio d'immagini leggere: (( Al dondolar delle barche - l' .mima s'addormenta; • mano che scava diamanti - il remo all'acqua s'avventa )J (77); (( Soltanlo questa pianta • di lauro, sullo soglia - d'ogni giardino, è quella - che l'Autumw non spoglia n (88) certi sfoghi di canlo deli- •·ato~ « Un'ugualt! dolcezza in me di!-:cende • a quella che t'avvolge, o età dell'anno - che s(·endi a morte con mesla allegrezza,, (91). J temi, a rac<'oglierli, sarebbero esigui: sopratutto forse malfermi nella loro slessa enunciazione; ma ove è più rallenuto l'assillo dell'approfondimento concelluale, so• no riscattati dalla genuina voce che allora si spieg:1 r~1ccoha sulla visione delle CO!<e. In C( Nu"o1e sul grclo '> è il 1mnto di congiunzione pili felice clelle due coJHlizioni: l'a!-cohazione dei suggerimenti inlerni, l'affidamento al ricordo, il sollievo dato dall'evocazione di momenti vissuti, pure ndl'accoglimentc, di cercare intensità cli riHessione, si risolvono in canto perrhè un gimno equilibrio è conservato alla composizione. Si vecla il « Golfo d' adolescenza)>: (< Golfo d'argento, ancora riscinl illi. perduta gioia ... O flauti d'oro della speranza, qunli dolci e profondi suoni credetti sulla soglia di giovinezza ascoltare! Chi mi dirà per cosa t'ho perduta, gioia che mi parevi eterna come il respiro del mondo. ,, Dicevamo che H << Faust non è morto )> segna più sensibilmente H momento transitivo dalla fantasia alla riflessione, dall'accettazione puramente emoliva e senti• mentale, al movimenlo concettuale e moralistico. Non soltanto l'ultima scena, che nelle parole di Amleto si prefigge di sveJare, forse pleonasticamente, l'inten.r.ione programmatica del lavoro: « ... la vicenda •.• non fu un dramma ... No.i, che ·-1i abbiamo :,reso parte, 1a consideriamo un poco come un vaudeville morale: e vogliamo concluder1a nei modi dclln commedia dell'arte: togliendoci la maschera e .dic·hiarando ·i nostri significati più (lhmsibili. Chi.:,si1 che and1c questo non ~erva a jnsegnare qualrosa agli specinlisti del lea• tro! » (141). << Insegnare qualcosa >) dunque: insegnare << ad us(·ire una buona volta da!le ritrilc vicende quotidi:.rne e borghesi, per 1·rcarc di nuovo dei "c.'aratteri'' a grandi linee come fumn10 noi » { 112). Già la scelta d'Amleto a rappresentante del proprio pensiero era abhaslanza esplicativa: ogni 1>au• ~J ùella virenda raccoglieva 1a critica dei fan i e dei ragionamenti: Amleto vi era dunque diverfo o più <li ciì, eh~ l'Autore ,·red~ cl'averlo fatto: (( È chiaro che resto perchè sono Amle10, il dubbio, ma reslo nnrhe perchè sono a segretario dell'autore l) ( 1133; è la << riHessione n personifif On d aZÌOne Ruffilli - Forlì Pag. t1 cata, In presenza aslr:ittiva, Ìa persis1e11zn critica che segue e arrcsra ogni sviluppo d'azione, ogui moto di fanlasia. Non ha che un gesto solo: quello finale che rivela Funsi, creatore della ricoslruzione fantastica, Ja rovina del suo sogno opcrnla da Pangloss; nrn i suoi monologhi sono, ben pili della resi5tenza dello scienziato, i veri ristruuori della fantasia faustiana. Grande vi 1;onsmna t.lialctticamente rutta fo sua posizione: « Accade verso questi uomini più energetici di quanto sopporti la natura o la socicrà, che noi esseri conlemplalivi, li ammiriamo pcrchè ci sembrano molto più di noi vicini alla 11ecebsi1à delle cose e percht! ci paion dotati proprio delle qualità di cui ci sentiamo privi... ma dopo un r.·erlo tempo, magari dopo secoli, ad aver ragione siumo noi •.. » (153). Ma questo pessimismo di Amlclo ,·he ~embra es:1ltarc la fantasia sull'azione, è a sua volta ~uperato dallo conclusione finale; non quella dichiarata che vorrebbe segnare le sopravviveuze dei « carnlleri » (Wagner, l'invidia; Leporello, la furbizia, Sando Pancia, l'uomo comune) ma que11a reale che vede il crollo t.?ella chimerica coflruzione poe1ic.:1 cli Faust. La fantasia è, dunque vinla dal « dubbio )>: <l senza di me n~ssuna fede è sincera, nessuna grandezza è vera, nessuna bellezza è perfetta, nessun'artc è compiuta)); cioè as~is1i:uno esattan1en1e alla ripartizione teorica cli un proceisso realmente ~volgentesi in lui. -E la prova si polrcbbe for5e avere nella frequenza delle inlrornisfioni dello scrittore nello svolgimento clclJa sua azione: segno di una assillua lenclenza a dichiararsi a scoprirsi cri1icnn1ente, con strenuo lavorio riflessivo. E le incarnazioni ~ono ripelutt e anche troppo scoperte: fino a legare i diversi pcrsouaggi che pure vorrebbero rappresentare cli&tinti (( car~1tteri » di reciproca somiglianza, ap• punto per quel molto di se sle&so che l'aulore lrasferi&re in ogni sua figura: e si \-eda come vidna ~ia la malinconi:.1 di Don Chisciolle monologante la strana preghiera prima del suo discorso, a quella cli Don Giovanni innnmorato. Più che prupo.ilo, si direbbe consentitor uno slato di prolralla adolescenza, che nella sincerità del trasmesso lsnguon! trova la sua interrrn e significaliva esJH'cssione: <l È come un continuo sapore di i,iuulo, cli un pianto doldssimo a piangersi. Ecco: una voglia di crear mondi di un fiato, di esprimere sensi ~lraoràinari. .. Fu sempre in me una smania d'uscire dal chiuso dell'anima, cH perdermi i;;enza fapcr dove ... » (63). " La guerra fu il risol\'i.mento di quesle incertezze, fu l'(( uvvenlura >> g,oduta fìnal. mente come una vacanz..i, come un fdite ritorno alle scmpliri e virali esperienze di umanità. Forse il vantaggio rotale di qm•- slo 1em1Jor.1.111eroi1rova111ento non è ancora consumato: ma i primi frutti sono gii1 nel Diario, mollo pili che nelle « Poei,1c in Africa >}. Dalla ricchezza e varie1à clelle \'isioni e ddle occasioni, non v'era scmupo se non nell"a<"ceuazione vh10.1ce dell'immaginazione: e le pagine rilrova110 spesso la frt!sca prontezza ch'era disc.esn misurai~, nelle liquide forme ,lella ,•ersifìcazionc nella r( 'f'omba » e 11elle « ruvolc ». Qui •·ontano cli nuovo i << rilrntti ,>: ma coniano perchè ~on sono pili quelli astratti, silloggizzati cli «Avventure)) o del ((F«uSII) ma disegnati clal vero, con rapida bravur:a e con hchiella vena coloristica. Nell'osservazione libera cl'ansie e di scrutamenìi interni, Grande costruisce pagiue fresche e vivaci «·ui lu naturale attenzione stilistica ('Oni:-ente felici risultati di espressione. Dicevamo che le (( Poe:;ie in Africa ,) meno godono di questa condizione: segni d'una clisconlinuilà minacciano acÌ ogn: lt:~ ma una minorazione. Ogni volla all'a11i1110 Jihralo d'urn:1 felice conlemplazionc è aggunciato il peso d'una didascalia o soprames1m la 1nor1i6cazione (Pun commento meditalivo. Si vecla in C( Croce clel sud >) come ad un composlo inizio: <' Alta :iull"orizzonte, • ,·hiarn costellazione, - in queste noui che .la luna hnbiauca - boscaglia e dune • noi ci sentiamo come navigunli - a fior cli sc·hiume )> (133) ~cgua pesante il commenlo: (< ci p.irlnvano <li te gli avvcnlurosi • libri per don: fuggono i ragazzi )), Per un'estrema riconferma dei due clislinti momenti dell'ispirazione di Grarulc si polrebbcro accostare il (< Compalimcnto di nemico caduto>) e << Presso l'Errer )): una pura riflei;sività e una quasi nuda Llef<;cri- ;dune. Ma nell'impassibilità di sottrarre a quedla seconda maniera un tono compositivo quasi cliclattfoo, sempre pili si <"Onferma necessaria al raggiungimcn10 dei risultati più sinceri la convivenza equilibrata dei due caraueri. Forse è il r:1so degli uhimi esempi an• cora sparsi dove è subentrala una Iran• quillità di emozione, cui risponde una larghezza d'immagine e una distensione cli frase forse nuove al poeta: (( Sali e risali, e mai non varchi il ::uolo, ansia c:ontinua continua marea: riscendi sempre in rassegnalo duolo)>. {RiRusso, Front., '40) V'è (]uniche novità forse persino di vo1·abolnrio, oebbene ,·ontinui una prc,]ilczionc cJ'immagini e di termini (« vanno i pensieri sulle srhiumc - dei giorni inquil.!li come :1lghe divelte)>) ligure e marinaresca. Del re~to gran parte della !>Uavena utilizza l'ambiente nativo: il << Ritrnuo di Genova >) è pili che un onrnggio alla propria ll'rra: vorrebbe essere un canto spiegalo: <t &e avessi voce quant'è il mio sentimen• IO» (pag. 5). Da ogni capitolo traspira la felicità dell'argomento: ogni angolo raccontato, ogni momcnlo o stagione evocata, fodlnienle muovo il lrallenuto liri51110 del discorso: e, Oi nolte, il tempo, in queste strade e piazze è <lei lullo aboli10. Semibuie e deserte, il passanlc che le percorre si smernora dell'ogf!i; fatali i suoi passi: e pare che lo conducano irresislibilmeute a un convegno definitivo l'On la sua anima ,). Sensihili, forse per la prima volta decib.1.lmenlc, cerli insegnamc111i cecchiani nella viega del perio<lo, nel 1·itrovmrnmto preciso e convèniente del particolare oggettivo e neH'impiego sa1>icnle dell'aggettivuzioJ1e (« Certe giornale d'inverno c'è in aria un'insolita nebbia cbe la pioggia altraversa. 11 :;elcialo nero dellu Stazione l\1arittima è lustro e riAeue il fumo llclle locomolive, formo a mczz'aril'.1... n (63). Ma personale è il ritorno improvviso alla proJJria sensibilità e alle piì1 ca1·e lendenze: ci par notevole, <·ome confessione, l'uh ima proposizione di <1uesto ~,qua(lèrno 1> di ttf• fetti familiari: è l'immagine della ca~a della propria vecchiaia: « Jn una di quesre, ~c·akinata, coi fregi sbocconcellati, gli s,·a• lini in,·urvi: i pavimenti di matloni rolli, io morirò tinlancfo tabacco e mag:i~1.Terrò :!Ila finc~lra !'erbi! care alle massaie genovesi; la rula e il basilico. Tuili i piro'lrnfi rhe p;.1r1ir.111noli vedrò uscire dall'aninrn mia)) (61). Ogni evento del suo mondo, mondo no• olalgico e lievi cli conchiusi orizzonti, esre veramente dalla sua anima: oc,·asionc di pensamenlo e cli meditazione, cli delicato dolore e di canro. E la misura d'ogni prova per Crnnde, resta Cor:;e a quesht feclehà. NINO BADANO

Ricordo Parlar di Panzini romanziere è più difficiledi quanto non si creda. Anzi a qualcuno fra i più zelanti studiosi dell'opera sua parve addirittura impossibile tentarne anche le mosse. Giuseppe Mormino è di questo parere e Antonio Baldini disse : « Panzini è innanzi tutto un diarista moralista ». Il che - a veder bene - significa esser stato l'autore di « Santippe », per tendenza intima, proprio l'opposto del narratore-romanziere. Eppure, or che purtroppo egli non è più_tra ~oi, la questione di Panzini romanziere mi par ritorni scottante e non sarà certo questa mia nota a dipanar la matassa. Basterebbe servisse a dar l'avvio ... Egli - e ci rifacciamo ai suoi primi anni di battaglia - ebbe a scrivere in un momento letterario ondoso e accavallato quanto mai. S'intende, sopratutto, per la prosa, che era appunto la sirena per cui il Nostro spasimava. Essa nell'ultimo ventennio dell'ottocento - salvo due eccezioni che ora dirò - si era andata disfacendo in due meandri patinosi. V'era chi scriveva alla carlona con una lingua-rubinetto, e chi con la penna d'oca e la mano incartapecorita. Di fenomeni se ne contarono due, e fu prima Carducci e poco appresso D'Annunzio. Panzini sfuggì l'uno e l'altro. E si pensi che di Carducci fu discepolo dilettissimo e di D'Annunzio coetaneo (nati entrambi nel '63). . Certo fra la grancassa carducciana, tutta rotolamenti, Ref.fi: "U11 g11erriPro" per l'" Agame1111011e"di Eschilo FondazioneRuffilli- Forlì tuoni e sconquassate, e i fuochi di bengala dell'Immaginifico, irridescenti e sfarzosi, la prosa del primo Panzini dovette sembrare la verginella vestita di pochi e radi panni capitata in un salone tutto specchi e donne di gran mondo. Eppure oggidì, se si riguardano bene le nostre carte, la prosa di Carducci par non sia mai esistita e di quella dannunziana ci si rammenta appena. Panzini col suo amore di sintassi e grammatica, con la sua punteggiatura che sminuzza il periodo in un fraseggiar minuto e leggero, col suo freno antiretorico sempre pronto a tappar la bocca quando proprio vien l'uzzolo di spalancarla e fare il gran cantante, è veramente il padre di certa nostra prosa odierna tutta essenzialità cura e trasparenza: e più d'uno oggidì vorrebbe infiorare, a Panzini, le tempia come s'usava in antico agli Dei apportatori di frutti carnosi. E' logico ora chiederci se un simile vivificatore della nostra prosa sia da espellere dallo schedario dei romanzieri. A guardar la bibliografia di Panzini, ai sei romanzi raccolti in un libro da Mondadori se n'aggiungono molti altri. Sicchè a qualcuno è venuto il sospetto che Panzini al romanzo sia giunto più per accondiscendere alla voga del tempo suo, che per un intimo bisogno d'arte. Ad appianare questo dubbio, si renderebbe chiara gran parte della sua figura artistica. Ma - ho già detto - non è poi tanto semplice. Intanto due libri del primo Panzini, tra i suoi più belli e significativi, a catalogarli sotto la scritta di romanzo, ci vuol molta tolleranza. « La lanterna di Diogene » e « Viaggio di un povero letterato », in verità, hanno tutte le qualità fuorchè il respiro largo che occorre al romanzo. E le parole di Baldini qui calzano come fatte su misura : diarista e moralista; ecco il Panzini che sermoneggia in bicicletta o addirittura sui velluti della prima classe per le varie contrade d'Italia. Le divagazioni non si contano e i richiami di cultura son cosi fitti che inciprigniscono ogni bell'aire di fantasia. Ora non si· vuole su queste due opere di Panzini gettar ombra di· discredito, anzi diciamo chiaro che sono due gioielli della nostra letleratura. Solo col romanzo non hanno nulla a che vedere... Avrebbero, fin qui, ragione quei tali di cui si diceva in apertura. Ma vi sono due opere: « La pulcella senza pulcellaggio » e « Il padrone sono me » (per non dire di « Madonna di Mamà », « Bacio di Lesbia » e altri). Va bene che in ordine di tempo vengono assai dopo e c'entrerebbero quindi la suggestione e l'accondiscendenza alla moda e al gusto dei lettori ; però a rileggere ora quelle opere, il giudizio dei più si può anche i:ammodernare. E non si creda d'esser qui di fronte ad un Panzini ribelle che le doti sue l'ha tutte ridipinte con sbaffi rossi, neri, gialli... I colori sono ancora quelli : moderati, diluiti, quasi con pudore provinciale. Ci si imbatte ancora nella divagazione, nel richiamo di cultura, nella nota autobiografica; ina - ad esempio - in « Pulcella senza pulcellaggio » tutto è cosi ben dosato, le figure son cosi scarnite c niellate che il libr~ prende consistenza e da ultimo par d'aver letto uno dei più bei romanzi dell'età nostra. La figura di Berenice, se in Italia ci si deci?~s~ ~ lodare gli Italiani, potrebbe senza troppe um1haz1001 entrar nel recesso privilegiato ove si lrovano sui gran velluti della gloria Anna Karenine, Nanà, Madame Bovary· ecc. E per quell'altro bel libro: « Il padrone sono me"• il discorso è press'a poco lo stesso. La visione del Pllg. 9

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