Via Consolare - anno II - n. 1 - gennaio 1941

W I L"DER E IL NUOVO TEATRO La rivista « 11 Dramma n ha rivolto ai suoi lettori la richiesta di inviare una risposta a queste domande : Che cosa resterà del nostro teatro dopo la guerra? Come deve essere il nostro teatro dopo la guerra? Richiesta indubbiamente interessante che ci permette di sentire e conoscere l'amore con cui molti, anzi moltissimi, seguono il teatro i e, in qualche caso, il lodevole intento, sentito, sinceramente da alcuni di dare il loro contributo, per quanto modesto esso possa essere, al miglioramento artistico, o anche solo ad una chiarificazione dei•d.esideri del pubblico. Purtroppo la richiesta ha finito per assumere i caratteri esibizionistici di un referendum, e, per il piacere di vedere il proprio nome, e il proprio scritto stampato in una rivista, molti hanno trascurato di chiedersi se quello che scrivevano avesse veramente qualche elemento di interesse, o almeno di sensatezza. Così che tra tante scipitaggini non pu6 non farci piacere trovare un accento di buon senso, anche se un po' troppo pratico, in un operaio, tagliatore di carta, di Milano, il quale auspica ad una diminuzione dei prezzi di ingresso ai teatri. Questo certamente è un elemento di non predominante importanza per la costituzione delle basi di quello che sarà il teatro di domani ; ma nel suo modesto buon senso soddisfa, specie se vicino ad un giudizio come questo : u Del resto la situazione del Teatro non è, altrove, migliore che da noi. - Lo stesso Thornton Wilder - la cui opera è ricca di t\rismo, ma pecca di eccessiva e puerile ingenuità nel simbolismo, non ci dice nulla di nuovo e sensazionale : i suoi lavori hanno più che altro valore sperimentale». Accettabile, quando non si sia così poco dimostrato il primo giudizio generale, la critica particolare dello Wilder è un capolavoro di conrraddizioni e di presunzione. Ci può spiegare infatti « Uno studente " come mai un 'opera che f1on ci dica nulla di nuovo, possa anche avere un valore sperimentale? Ma questo excursus è solo per arrivare alla conclusione che idee chiare ce ne sono ben poche sul teatro di domani. Si è parlato e si parla, anche da parte di critici di valore, di un teatro di masse da contrapporre al teatro cosìdetto borghese. E' bene anzitutto intenderci su cosa si intende con teatro borghese. Se con questa definizione si vuole condannare il teatro che nella scena presenti situazioni e sentimenti falsi, quali nella vita che quotidianamente siamo chiamati a vivere non ci è dato di trovare mai ; se si allude al ricorrere eccesivo ad una vecchia formula già esaurientemente usata ed abusata, allora pur essendo d'accordo nel desiderio di farla finita con questo teatro, sentiamo il dovere di rompere una lancia contro questo allargamento del nome di borghese a tutto ciò che è brutto e meschino. Questo in difesa di ciò che il teatro borghese ha dato di buono e di sentito. Se poi con lo stesso nome si allude al teatro, che ci presenta il dramma dell'individuo, e si voglia sostituire ad esso un teatro collettivistico, in tal caso ci dichiariamo assolutamente contrari a questa nuova forma. PerVIA CONSOLARE FondazioneRuffilli- Forlì fettamente d'accordo che l'arte, e quindi il Teatro, debba essere attuale al tempo in cui vive. Ed è chiaro che non ci troviamo in un periodo in cui, presso nessun popolo, domini una concezione di vita individualistica. Ma, nella storia del Teatro, dal V secolo ateniese ad oggi non troviamo che una forma di Dramma Collettivo : il Dramma Liturgico. E precisiamo Dramma Liturgico, e non Dramma Sacro, o Sacra Rappresentazione. Quest'ultima nella sua evoluzione è tragedia di individui, colti e studiati poeticamente nella loro umanità più terrena. Ed il valore del Dramma Liturgico fu soprattutto di reazione alle forme decadenti del Teatro Romano, ridottosi ormai al mimo in cui accanto allo spettacolo l'interesse andava solamente ai lazzi triviali, improvvisati dagli attori. Si vada, da chi auspica ad un avvento del teatro di masse, si vada ad esaminare un po' qualcuno dei Drammi Liturgici e lo si confronti poi con una Sacra Rappresentazione. Non credo che dopo questo esperimento si troverebbero tanti fedeli assertori del Teatro di massa. Il Teatro ci deve ora. come sempre, rappresentare il dramma di individui. Sarà compito degli autori drammatici di oggi far vivere nella loro opera gli uomini nella loro· realtà odierna, agitati dai sentimenti, dai problemi che in questo clima sono vivi in noi tutti. Non vogliamo la rappresentazione di un 'umanità falsa di giovani i quali oggi non costituiscono che una minoranza, seppure non infima, certo perfettamente trascurabile. E se ora, come sempre, è il dramma dell'uomo, visto nella sua individualità, che ci interessa, tengano presente gli autori che oggi l'uno ha la missione di essere parte costitutiva del tutto. Che se la società, il popolo, la massa è la somma di tante piccole unità, ed è il tormento, la tragedia di queste che ci puo appassionare, è ormai pure radicata in ogni uomo la coscienza della necessità di essere una parte del tutto. E' viva ormai in tutti. profondamente sentita, la convinzione di dovere uniformare, adattare direi, la propria personalità ad entrare nella massa. E' come in un coro, che ciascuna voce ha un compito modesto e limitato fin che si voglia, ma non per questo meno necessario, anzi assolutamente indispensabile e insostituibile. Rendiamoci conto una volta per sempre che è finito il tempo dei superuomini, ed è finito da molto. che il popolo chiede uomini come quelli che vede vivere nel suo seno; che non sono giganti ma uomini, piccoli Uomini, modesti, umili operai di quel grande edificio che si chiama civiltà. In questo senso « Piccola Città » è opera di assoluta avanguardia, è opera di genio e di innovatore. E' in quel rappresentare la vita di ogni giorno di una città in cui nessuno si è mai segnalato come uomo d'eccezione, in cui la vita si svolge con l'eguale monotonia con cui trascorre ovun• que, in cui gli uomini, come tutti gli abitanti di questo mondo, nascono, vivono, con tutti i casi comuni ed i dolori comuni a tutti, soffrono e muoiono come tutti muoiono, in tutto questo la parola nuova di Thornton Wilder. Nell'averci mostrato quanto lirismo, quanta poesia sia nella vita che ogni giorno viviamo : e quanto alta sia la bellezza di questa vita. Ecco l'insegnamento di Piccola Città che i nostri autori dovrebbero sentire, ed è da questo insegnamento che può sorgere il Teatro di domani. MARIO fANOLt Un radio regista GUGLIELMO MORANDI è nato a Roma il 30 Luglio 1913 e si è laureato in Filosofia presso la R. Università di Roma. Dal 1936 fa parte - per essere riuscito vincitore in un concorso nazionale - della Sezione Prosa dell'E.l.A.R. in qualità di regista. Si è sempre dedicato alla regia di /avori prettamente radiofonici, per i quali ha tentato nuove forme di realizzazione. Nel 1939-40 ha fatto i primi esperimenti di teatro applicato alla Televisione con notevole successo. Ha partecipato ai Littoriali della Cultura e dell'arte per I' A. XVII e XVIII classificandosi rispettivamente IV per una composizione radiofonica e Il per il Convegno di Radio. Si è pure interessato di regìa teatrale : è di questi ultimi tempi la sua regia de "I pazzi sulla Montagna » di A. De Stefani per il primo spettacolo A. XIX del Teatro Guf dell'Urbe, e di « Ettore u novità di G. Valentini per il Teatro delle Arti. Guglielmo Morandi è già simpaticamente noto al grande pubblico della Radio. li suo linguaggio di regia e di interpretazione consiste nel massimo potenziamento del testo letterario attraverso la parola parlata e una essenzialità di rumori. Ci pare d'altro canto che questa causticità venga ad immiserire in possibilità minime di espressione la sostanza di part-ico• lari episodi, e causi una certa analitica frammentarietà nel tono della regia. Unica osservazione è che in alcune parti il Morandi sembra perdere la sensibilità registica e l'intuizione, in favore di un potenziamento episodico, per cui si ge• nera un continuo staccato di toni e di ac• centi nel grande ritmo dell'opera radiofonica. Una impressione pressochè simile ci hanno prodotto le sue due ultime regie teatrali, molto consapevoli, se pure poco convinte ed ispirate. Ma certo che il giovane regista raggiungerà con una graduale attività in sviluppo le mete più alte nel campo dello spettacolo. 23

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