Xz,Mà òu~=~1 ~~~~- E' curioso come nessuno abbia mai pensato di inquadrare, in qualche modo, la produzione narrativa di Arrigo Boito nella storia della nostra prosa. Anzi i più si sono sempre dimenticati (o forse non lo sapevano nemmeno?) che il Boito avesse scritto alcuni racconti. E' vero che questi per lungo tempo rimasero perduti sulle riviste in cui erano apparsi tra il 1867-73, ma già dal 1919 Gioachino Brognolino li ha raccolti in volume. Certo nessuno si figuri di riscoprire un capolavoro legi;endo le poche pagine narrative del Boito (due racconti e un romanzo rimasto allo stato di frammento). Giova subito prendere in esame « Il trapezio ». Al dire di Salvatore Farina doveva risultare « un gustoso romanzetto », se non fosse inopinatamente rimasto allo stato di frammento. Tuttavia dal taglio della narrazione, dalla sottigliezza intellettuale del ritmo descrittivo si può (figurandocelo compiuto) paragonarlo a quella specie di romanzi, tipici del tempo nostro, che vanno di poco oltre le cento pagine. Guai, se qualcuno pensasse di raffrontare questo tipo di narrazione con qualche altro esemplare della moda corrente dell'ottocento! E la differenza sostanziale non deve tanto essere cercata nella forma esteriore. Il Boito per tutt'e tre le narrazioni sceglie soggetti con esterni e coreografìe fantastiche ed esotiche (in « lberia » ci presenta un castello montagnoso dell'Estremadura in una terribilità di tenebre e bagliori del tutto fiabesca; in « Il trapezio » protagonista è un geometra cinese, il quale raccontando la avventurosa sua vita ci pone sott'occhio la Cina, navi di schiavisti gialli, Lima nel Perù con baracconi e circhi; e dentro una marea di gente d'ogni razza e d'ogni costume; in « Alfier nero n tutto un dramma di sangue si svolge attraverso una partita di scacchi protrattasi tutta la notte fra un negro e un americano). Questa cornice doveva ai tempi suoi scombussolare il gusto dei critici, i quali di nuovo nel Boito non vedevano che il luccichìo esterno. E ne rimanevano scandalizzati (il pur temperato Molmenti in quei racconti si sentiva urtato dalle « follie della immaginazione n). Ora è vero che il Boito - e in genere tutti gli scapigliati - aveva tra i presupposti dell'arte sua la fissazione dell'originalità ad ogni costo, un'originalità che sbalordisse la gente comune, che - per usare un termine sportivo - la mettesse fuori combattimento alla prima ripresa (Al qual proposito significativo è questo brano di lettera del Boito ali'Arrighi: « .. .l'eroe della ballatetta è un gobbetto rossiccio... noi scapigliati romantici, in ira alle regolari leggi del Bello, prediligiamo i Quasimodi delle nostre fantasticherie... »); tuttavia l'arte del Boito fu intellettualmente di gran lunga superiore a quella dei suoi compagni; e perciò molto meno esteriore, raffinala e profonda invece. Sicchè la novità della narrativa del Boito non sta tanto nei contorni fantastici (originalità che negli scapigliati divenne maniera), bensì nella impostazione del racconto. Entrano a fare da perno alla narrazione i simboli, non facilmentee ingenuamente indentificabilicome in certo romanticismo deteriore; adombrati invece con chiaroscuri addirittura intellettualistici, in una atmosfera ricercata e prodotta da un gusto quasi estetizzante. In « Alfier nero » - per esempio - in sè la trama 14 FondazioneRuffilli- Forlì sarebbe assurda e puerile, se i due giocatori di scacchi (un negro e un americano) non simboleggiasserocon la loro partita la differenza tra il sangue delle proprie razze. E il Boito, partito tranquillamente da una pedana normale, man mano stringe le maglie della narrazione, le imprime un ritmo serrato e convulso; l'attosca perfino con scorci di vero surrealismo, per poi al colmo dell'ebollizione sanguigna far stramazzare improvvisamente a terra il corpo del suo racconto, disciolto in una conclusione inaspettata e tragica, ma per nulla illogica. Tutto l'interesse è concentrato su un alfiere nero che, rottosi all'inizio della partita, ebbe il capo inceralaccato sul collo. Ma su quella macchia rossa che stria il nero della pedina, il Boito fa fissare e quindi vorticare le menti dei due giocatori. Ne risulta qualche cosa di spasmodico e di scatenato, che alla narrazione dà un fremito, inusitato davvero in quei lontani anni dell'800. Certo alla fine, dopo la catastrofe, il Boito non ha saputo non essere scapigliato fino all'osso e aggiunge i particolari della vita dell'americano assassino, che sono elementi completamenteestranei alla vita del racconto e che oggidì invece di fremiti suscil!rno sorrisi. Ma - s'è detto già più sopra - i racconti del Boito non sono affatto capolavori perfetti, hanno però in sè elementi nuovi che nella storia della nostra narrativa acquistano luce d'interesse. Giova da ultimo toccare della prosa di questi racconti. E' nota la cura e la ricercatezza dei suoi versi. Si arrovellò come un incontentabile artefice, sui metri sulle rime sulle combinazioni vocaliche sulla musicalità ritmica per poter trovare corrispondenza tra il mondo suo interiore e l'espressione poetica. ln prosa l'estenuante ricerca d'una originalità assoluta (come sarà poi del Dossi) non l'abbiamo; pure il suo periodare è molto più scorrevole di tutti gli altri tipi di prosa scapigliata. Si direbbe - egli' il più classico della brigata - che nrn tanto alla chiassosità delle parole e agli accorgimenti sintattici tenesse, quanto alla limatura del periodare tradizionale, per portarlo su un piano di musicalità e di finitezza moderne. Tentativo che ora, a riguardare la via percorsa dalla nostra prosa nei tempi successivi, pare davvero ben più profondo di quanto non apparisse ai coetanei suoi. Ecco un esempio, chiaro anche se pieno di troppe ricorrenze classiche : « veduto da lungi, il cavallo disegna nel vuoto colla curva delle zampe balzanti un arco d'aereo ponte che si ripete sterminatamente per la campagna. Lo scalpito metallico dei ferri scande nel terreno un ritmo siringato e preciso come i trochei di Pindaro. Quel cavallo ha il volo e il metro dell'ode. I pioppi sfilano in processione sotto gli occhi del cavaliere e le loro fronde, smosse dalla brezza del vespro, rendono suono d'applausi lontani » (da « lberia »). Ed ecco come una scena di circo vien tradotta dalla fantasia del Boito : « ... allora anche il fondo immaginario del quadro si trasformava, e vedevo una plenitudine di paesaggi aerei disciolti in un'iride immensa. Il rapido gruppo spiccava ora in nero sulla zona d'oro, or sulla verde, or sulla rosea dell'iride come un'ombra cinese del cielo, sfilante di plaga in plaga. E l'iride apriva lentamente il suo arco, ~imile ad un colossale ventaglio... " (da « Il trapezio ")- Continuar nelle citazioni, sarebbe solo imbarazzo di scelta. Tant'è; per dimostrare che Arrigo Boito ha di~ ritto d'entrar nella storia della nostra prosa, mi pare sia stato detto già a sufficienza. ECO. VIA CONSOLARE
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