zione della nostra ultima Pendsola non fosse normanna o normaniz:rata è detto e presupposto più volte. Goffredo, contemporaneo di Roberto Guiscardo, nena sua Historia Sicula discorrendo d'una carestia che vagolò nell'Itaaia meridionale circa nel 1058 dice che a maggior danno delle popo !azioni, la car-est'.a s' .accompagnò alle spade dei Norman111i: evidentemente l'eguaglianza: popolo• uguale n"ormarnno era sconosciuta. Pietro Cassinese, Gu©lielmo di Puglia, Ottone di Frismga, cronisti dell'epoca normanna o poco posteriori, colgono con minuziosità analitica, le distinzioni etniche che rimasero nel sangue e sulla carta. Se si riuscirà ad imparare una buona volta a saper distin,guere l'azione politica e mdlitare dalla etnografia solo allora si saprà ravvisare nella nostra storia quella continuità ideale e spirituale che non può trovare ila sua ragion d'essere se non nella indefettibi!Ltà della nostra fisionomia etnica. Solo entro questo spirLto è possiblle pensare con serie,tà a una nostra storia; poichè se in un secolo ci trasfol'IJilarnmo corporailmente, In quello morimmo. La toponomastica, l'arte, la lingua costituiranno nel prossimo articolo !a seconda parte di questo nostro studio. PieterPoaolo di LUCIANO DEROSA Gli ultvi amano terra tn decltvio e odore di marine. Del resto, Pietro non voleva credere che alberi eletti non possedessero ocohi e braccia e bocche come tutte le creature fatte ad immagine di un Dio. Di notte alta sgusciava a tradime11to nella piantata, e rizzava le orecchie a percepire brevi passaggi .di vento chiairi e meravigliati traverso il fogliame carbonizzato e qualche crepitio annunciante il volo di uccelli piccoli e invisibili. Sulla terra, soffice e bruciante polenta, i vermi sPostavano con lentezza una foglia secca. « Ah> egli soffiava con sotJere11za, e procedeva toccando i tronchi distanti l'uno, dal!' altro, ~i che lo strano passo gonfiava la giacca a un pazzo o a uno spirito senza requie. Giungeva al confine segnato da biaal La nostra venuta ci si presenta sempre come una novità. SOLI Una novità libera e improvvisa come un dono. E come un comando. E diventa, nella mano, la spada lucente dell'ordine. Una spada ,e:enerosissima e in1pietosa. Tutta la Gla dei secoli ci appare un groviglio di errori. Con cui soltanto nasce l'epoca felice, pel nostro gagliardo intervento. Questa creduta certezza, che si ripete io tutti i giovani, c1 fa ribelli e violenti. Si adoperano parole du.re, scambiandole per atti di forza, e s, mortificano le opere di chi ci ha preceduto nella fatica. Senza sapere, di solito, che la nostra novità è inavvertita assimilazione del valore dei maestri. E che soltanto l'esperienza, nella marcia, ci addolcisce e ci inquadra al posto limitato e illimitato del nostro potere. ~est' ascesa che godiamo è fatica di mille generazioni: noi possiamo, ma dopo l'esperienza, portare il contributo, anche grande, anche decisivo, impossibile all'improvvisazione. La posizione dei giovani offre questo generoso contrasto della spavalderia d'indipendenza in clima di grande dipendenza. E' diflicile che un giovane sappia lavorare da solo. Ed è difficile che sia solo. C'è sempre chi dà alla sua opera l'alimento della comunione e del planso. E' una necessità dalla quale soltanto i migliori sanno svincolarsi. Sono quelli che ne avvertono il pericolo sottile. La conlidenza giova se è attiva, c,oe se è ascoltazione e dono di sè. T raclisce se è passiva, nella dispersione delle parole e del valore. Chi incontra comprensione larga e ha nuvoli d' estimatori non è sulla buona via: rimane su un piano comune, forse mediocre. Più si sale, più si rarefà il sostegno delra comunione d'idee. Finchè ci sono i quasi soli. Poi i soli. La grandezza dei migliori, ignorati o contrastati, o anche amati, è in questa solitudine, che ba l'inestimabile privilegio di poter donare senza Forfa'~~leh'lir~lff1E-'f95tlì ATHos CARRARA u11 tosso lunare, e sostava. Avvertiva i soliti pensieri viaggiargli nell'animo. E le labbra si muovevano a interminabili di$corsi senza voce. Davanti a sè uli ulivi di Paolo scendevano giù per il fianco più aperto e sereno del colle, in corsa verso il mare. Il mare, 1011tano una notte di buoi, st adagiava per miracolo ai piedi di quegli alberi privilegiati, con le luci ferme dei pescherecci al largo per le reti notturne. Paolo era un uomo fortunato perché la loro madre aveva detto una volta che s'erano accapigliati: « Paol-0 è sangue reale>. Erano natt nella stessa casa, sullo stesso letto e dallo stesso uomo. E il sangue reale glielo aveva i11fuso il prete o il diavolo. Ma, con questa storia, la piantata più nobile gli era andata in sorte. Passava la gente e si incantava ai fila'ri: « Non temi il malocchto, Pietro? >. RiSpondeva acido: « Non è roba mia. Sono di mio fratello•· E avrebbe voluto aggiungere: « I miei so110 dall'altra parte, sono belli lo stesso>, ma si dileguava ratto verso la casa. Sulle pareti bianche di calce, cicale cii carta venivano a sbattere impazzite. Ma il respiro di pianto che· gli urgeva, si soffocava all'aleggiare alto dell'ora meridiana. Paolo non amava terra e ulivi, e spesso Pietro aveva sorpreso nel lago chiaro delle sue pupille l'affiorare rapid'o di isole lontane e il cavalcare dei sogni. Specie nelle 110tti d'estate, quando nel cieio venivano a naufr(IJgare grandi orse colme di desideri SQvrumani. « Non rtmarrò qui con voi>, diceva. E occupava silenziosamente la vigilia con l' amore di una ragazzetta di pecorai, a cui s' era fitto in me:rite di togliere via il profumo aspro di greggia con certe sue acque preziose di città. Perché eali capitava con frequenza in città a causa di alcuni uomini ohe non erano di campagna VIA CONSOLARE
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