l' econoemlaiauuerra Che l'economia di guerra debba bru,arsi ormai esclusivamente sul concetto di autarchia, è pacifico, specie per il nostro Paese, che, per primo, ha affermato nel mondo la necessità del!' autosufficienza, di fronte allo stato di guerra che regna permanente tra i popoli; ali' automatismo autarchico 'degli imperi, fin dall' inizio della guerra attuale, abbiamo contrapposto urua generale trasformazione economica che ha investito lavoro e capitale, che ha fissato i doveri e le responsabilità dei singoli di fronte alla Nazione. La trasformazione ha dimostrato che, oltre al sussidio della solidarietà, è necessario llD1 i-nterven to fortissimo di capitali, di tecnica, di tempo. Il risparmio soprattutto, frutto di lavoro e sana fucillla di capita,ll è essenziale per l'attrezzatura de!ll' economia autarchica in pace ed in guerra; la guerra è la negazione forzata del risparmio, ciò che accr,esce la preziosa utilità di questo. La guerra produce inoltre automat..'camente un ampliamento di tutti gli impianti in.dustr1a.Ji ed una in tensiflcazione dell' andamento della produzione; non ci si deve tuttavia preoccupare del- !' eventualità che nascano problemi di sopraprod.uzione, quando si attrezza la Nazione ajla guerra. Il decongestioniamento avverrà gradatamente a guerra finita; altri problemi sorgeranno allora, cui si porrà riparo. La guerra moderna, meccanizzata e razionalizzaitia, esige iniatti un moltiplicato impiego di energia umana. Quarantasei uomini ococrrono per la fabbricazione. fil servizio, la manutenzione di un carro armato, sessanta uomini per un aeropliano. Si calcola che per ogni soldato combattente occorra nelle retrovie il lavoro di almeno dodici uomini; nella guerra 1914-1918 la percentuale, per gli Stati Uniti, era di diciassette lavoratori per ogni combattente. Le cifre generali <dei fabblsog,ni salgono di conseguenza ad a,ltezze vertiginose; c' è chi ha fatto numeri astronomici. Traducendo tali cifre in minardi di lire, si giunge a conclusioni economicamente inverosimili; gli inglesi afferm01no che la guerra attuale costa loro sei mlVIA CONSOLARE FondazioneRuffilli- Forlì di G I A N N I G U IZ ZAR DI huni di sterline al giorno, qualcos:i come duecento miliardi di li;c all'anno; e gli effetti d1 tale g;ierra non corrispondono davvero alle enormi spese affrontate. Le conseguenze di tali affermazioni sono logiche; la guerra può durare in ragione diretta della forza economica, delle possibilità di rifornimenti, detla potenm produttiva di un popolo; la guerra di logorio può essere terribile per quella Nazione che debba importare gran parte del suo fabbslogno dali' estero. Ne deriva la Imprescindibile necessità di creare giochi di alleanze o di affari con il maggior numero di Stati ,neutrali, in grado di funzionare da ponti di passaggio o da intermediari d'acquisto; si comprendono perciò le ragioni della pressione esercitata sui neutri dai belligeranti e gli avvenimenti della guerra dei Nord. Ogni Nazione belligerante cerna di accaparrarsi e di crearsi le maggiori scorte di materie prime accumulate, salgono vertiginosamente i prezzi, a profilare lo spettro del!' !!llflazlone, più o· meno regolata. Se si pensi inoltre al caso di dover importare parte del fabbisogno dall'estero, alle esigenze del trasporto ed in particolar modo del credito o dell'equivalente pagamento in oro o in divise, si comprenderà appieno la necessità vitale della «Blitzkrieg» per quel belligeranti che non sono in grado di pagare che attraverso « clea•rlngs > e non possiedono la llbertà di tutti i mari. Si chiede giustamente Battista Pellegrini (Problemi de,ll' economia di guerra., in • Rassegna economica> del gennaio 1940-XVIII) di fronte a tali questioni: « Fl!llo a che punto giovane gli incrementi delle esportazioni e relativi aumenti della disponibilità di valute estere ? Fino a che punto le riserve auree, 1 crediti e gli Investimenti ali' estero?>. La Francia, dice il Pellegrini, aveva, nel settembre 1939, negli Stati Uniti, fra oro, giacene bancarie, titoli negoziabili ed inv.estimenti diretti, qualcosa come tre miliardi e 610 milioni di dollari, mentre la Gran Bretagna ne aveva quattro miliardi. e 570 milioni di dollari. Ora Francia ed Inghilterra possono sacrificare anche parte del loro commercio d'esportazione, ma fino a che punto? Quan.to più dura la guerra, tanto più diminuisce, di fronte ai continuo, progressivo aumento dei prezzi lniternazionali, il valore delle disponibilità; la produzione interna, inoltre, del paesi belligeranti diminuisce, anzichè aumentare per l'aumentato fabbisog,no. Il frumento, per esempio, da una media prebellica europea nel 1913 di 513 milioni di quantali scese ad un minimo di 298 milioni di quintali nel 1920; la produzione del ferro, indice a 100 nel 1913, scese a 37 nel 1919, con una diminuzione annuale· progressivia ®orme. Ha detto von Biilow: « i magazzini sono 11 cuore della guerra •; il Baumker sostenne che lo scopo della guerra non è la distruzione, ma •l'esaurimento» dell'avversario. L'economia non è davvero estranea a. tali recentissime affermazioni, solo se si pensi che la Germania nel 1932 importava dal!' estero, quasi esclusivameillte via mare, 11 57% del suo fabbisogno generale. Ma di fronte alla brutaUtà delle cifre, acquista un valore sempre più decisivo il fattore uoom; l' economia di guerra deve elevare sempre di più la funzione del singolo; ognuno deve contribuire a rafforzare quello stato d'animo che si chiama fiducia, chè di fiducia inalterata ha bisogno l'economia di guerra, di fiducia che si estrinsechi In un rapporto fattivo di redditi e di risparmi alla Nazione. La sintesi di tutti i problemi economici nel nostro paese è nella parola •fiducia>. n risparmio italiano ha ro,ggiunto la cifra altissima di 88 miliardi di lire, con un aumento di 5 miliardi e mezzo del!' anno scorso: è un indice notevolissimo che appare sufficiente ad assicurare il finanziamento autarchico. Fiducia ci vuole. Il re<ddito annuale itallano - di 110 miliardi di lire - è solido e realistico, come ha rl:Levato persino l'americana e liberistica rivista • The Annalist >; non c' è da aver timore di sorprese. La mobilitazione civile ed industr!Jale, controllate direttamente dallo Stato, evita le speculazioni gravissime della guerra passata, cosi come i rigorosi controlli sui prezzi tendono ad evitare il pericolo di una inflazione troppo accentuata e pericolosa. L' organizzazione corporativia della Nazione vigila l' economia di guerra e 1a guida per le strade volute dallo Stato; autarchia esige aumento della produzione generale, attraverso l'aumento della capa,- 23
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