Via Consolare - anno I - n. 1 - dicembre 1939

platee, vide vuoti i loggioni che da secoli piangevano, fremevano, ridevano in assoluta purità di spirito, col cuore aperto a ogni voce di poesia, senza esercizio di falso spirito critico, con verginità e spontaneità di riflessi. Era l'epoca in cui la vita politica e spirituale della nazione non aveva ancora trovato l'assetto sicuro e .definitivo, l'epoca in cui imperava più che mai il senso della moda, l'epoca in cui ogni parola di oltre alpe era dogma, l'epoca in cui Eschilo e Shakespeare erano ignoti, Hennequin e i suoi compari erano gli idoli e a Pirandello si tiravano manciate di soldini in palcoscenico, deridendolo e urlando e sibilando. Il teatro di prosa perdette allora il pubblico e non lo riconquistò più perchè le masse, relativamente esigue, che negli ultimi anni si sono riaccostate ai palcoscenici, sono ritornate al teatro con l'abitudine di dieci anni di cinematografo, viziate quindi nei gusti e nelle pretese, incapaci sopratutto di prescindere da questo termine generico e pur preciso: spettacolo. t pacifico che il teatro non debba essere avvicinato con questo spirito. Non bisogna sopratutto dimenticare quella che è l'essenza dell'arte scenica, essenza artistica, poetica, letteraria che si concreta attraverso la parola, e in cui l'elemento visivo e spettacolare, che è il fondamento del cinematografo, è solamente un mezzo di maggiore comprensibilità, un espediente di divulgazione che, allargando il campo sensoriale per VIA CONSOLARE FondazioneRuffilli- Forlì così dire «ricevente», favorisce l'accettazione della parte completamente artistica da parte della massa. Ma il pubblico è il padrone. E queste sue facili esigenze hanno imposto agli autori di manica larga e agli. attori, che dei suoi favori hanno bisogno, quel repertorio di scarsissimo valore artistico ma, sembra, di alto valore commerciale che forma la delizia delle platee e fa disertare quei pochi che, innamorati morti del teatro, fermamente credono alla sua resurrezione. Perchè il teatro risorga c'è bisogno, quindi, d'un radicale rinnovamento. Non bisogna aver paura: il rinnovamento potrà durare cinque anni o venti, ma deve esserci e ci sarà. Avremo fra cinque anni o fra venti la nostra nuova grande arte teatrale, arte fascista nel vero e preciso ·senso della parola, arte costruttiva cioè, basata sui secolari valori dello spirito. Il teatro tornerà ai grandi temi della storia e della razza, alle visioni della umanità e dei suoi problemi, a quella poesia cui si allacciano le sue tradizioni fin dai tempi dei tragedi greci e delle mediovali sacre rappresentazioni. Questa è l'interpretazione che noi crediamo ·sia giusto dare ali' ancora incompresa formula « teatro fascista » o, m genere, « arte fascista » • Solo in un punto tutti sono stati concordi: arte fascista non significa arte in camicia nera. (Su questo tema sono stati versati litri d'inchiostro, insudiciate centinaia di pagine, spuntate decine di penne). Ma questo concetto appare chiaro anche a un bimbo decenne. Giacchè ogni rinnovamento spirituale da che mondo è mondo, ha investito la sostanza e non già la forma esteriore. E allora, dalli alla caccia e alla pesca di questo «quid » su cui deve imperniarsi l'arte fascista. Finchè, dato per certo che l'epoca in cui viviamo, con le sue grandi opere di risanamento materiale e morale della nazione, con i concetti fascisti dello Stato, e della funzione dei singoli nello Stato, è un'epoca in cui le mutate condizioni di vita hanno dato alla massa un notevole benessere, si è giunti ad affermare: l'arte fascista è arte ottimista. E sta bene. Il male si è che non tutti hanno capito il significato di questo ottimismo e specialmente coloro che hanno sempre basato la loro arte sugli orpelli dell'esteriorità, con una cieca indifferenza: per la sostanza interiore. Giungiamo cosi in buona fede, a una situazione di fatto, determinata dalla corrente opininione dei più, che mette in guardia, pur sotto l'aspetto della quiescenza, gli artisti più coscienti, particolarmente i più giovani non ancora usi a facili accomodamenti di coscienza. Appaiono sopratutto evidenti due grossi e stupidi equivoci in cui i nostri autori sono bovinamente caduti. Il primo, il più stupido, che consente al personaggio di nome straniero idee e azioni che al personaggio nostr;mo sono negate, come se le idee dei personaggi non portassero sempre, in ogni caso, la firma italiana e la responsabilità di un autore 21

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