UOMO - Anno III - n. 2 - giugno 1945

74 Ma tutto quel che ero, ero però un fatto– rino. Ero in fondo nella situazione di chi si fa la strada dal basso sino alla cima: da fat– torino a sedicesimo vice-presidente. Quello era il massimo. Sedicesimo vice-presidente era il massimo a meno che voi non foste pa– renti di Clarence Mackay. La sua fotografia era sul muro del nostro ufficio. Egli in per– sona però non era mai venuto nel nostro uf– ficio. Non era venuto mai nemmeno nella nostra città, neanche d'estate, nemmeno per vedere tutti quegli armeni. Dozzine cli mi– lionari venivano nella nostra città per ve– dere gli armeni. Ma non il vecchio Clarence Mackay però. La mia città era ed è tuttora il centro della California per il commercio dell'uva, dell'uva passa e della frutta secca. Ogni esta– te centinaia cli piccoli ebrei venivano giù da Chicago, Pittsburg, Filadelfia, New York e Boston e spedivano vagoni completi cli uva a quelle città e arricchivano le ferrovie. Essi mandavano anche una quantità cli telegram– mi, e fu ottima cosa che Katz fosse ebreo perchè una gran parte non ·sapeva scri– vere in Inglese; essi parlavano a stento l'in– glese ed ecco che Katz ed io entravamo in scena. Noi entravamo fieramente in scena proprio in quell'occasione. C'era un albergo nella mia città dove quei commercianti alloggiavano e passavano il tempo. In quell'albergo il vec-

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