UOMO - Anno III - n. 1 - febbraio 1945
32 scadenza ventura che sempre avevamo rimesso a un illusione di scampo; attendendo che d'un tratto, con somma pietà, nascesse un gesto o un messaggio che sanasse la piaga di tanta giovi– nezza da portare attraverso i giorni. Sui volti scoperti, con maggior frequenza andò affiorando qualcosa che forse era una pena docile, un'esau– sta disperazione d'essere noi. Anche il clima s'era fatto accidioso e oscuro; una mattina (mi pare fosse la vigilia della partenza) piovendo come costumava ormai da più giorni, scesi tardi nel sa– lone dell'albergo aperto da un terrazza sul mare; non c'era quasi nessuno, vi riconobbi soltanto la sorella dell'Adriana che stava seduta su un tavo– lino di vimini presso la finestra. Aveva indosso una camicetta bianca e un paio di pantaloni lunghi di tela blu, da spiaggia. «Ciao» mi disse, mo– strandomi un mazzo di carte che teneva in pugno « vuoi che ti faccia la fortuna? Tanto, adesso piove... ». Saltò giù dal tavolino con molta alacri– tà, cominciò a disporre le carte secondo le regole; stavamo spalla a spalla chini su quelle ingenue figure, erano fanti con spada, ori, terribili re bar– buti, astratte dame, visi di giullari : la voce della Luisa diceva le parole; viaggio, buona notizia, una donna bionda che ti ama, malattia, c'è un nemico che non conosci eccetera. Una spera di esi– le sole, rompendo dai vetri, toccava le carte, san– civa con maestà le;_predizioni: stavamo prenden– do gusto al gioco. Quei rozzi disegni mi appari– vano familiari, gentilizi : mi tornò alla memoria d'un tratto un caso della mia infanzia, evocato da tali imagini. Allora avevo dodici o tredici anni al massimo ma già fin da quel tempo la mia in– dole era chiusa e timida, un poco schiva e fanta– stica. Abitavo la casa dei nonni, posta fuori dalla città, entro un giardino in leggero pendio, con alberi diritti e morbidi, d'un colore perso. Qui i miei diletti erano piuttosto solitari : tra i compa– gni m'era tuttavia particolarmente cara una ragaz-
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