UOMO - Anno II - n. 4 - ottobre 1944

30 narrò, confessò cioè sulla pagina il peso di una personale conquista, violò, contaminandolo sulla pagina, un sogno d'arte maturato sino a tramu– tarsi in una verità. E fece dei suoi sentimenti volti, voci, personaggi; versò un clima di vivente poesia in ambienti, in « fatti», proiettò in misurate corrispondenze una vita audacemente giudicata, riversandola nel «romanzo». Doveva ben essere assai simile alla nostra quella sua sete del « fatto», del fatto romanzesco che non è sempre l'occasionale pretesto alla narrazione, ma assai più una necessità di vincolarci attraverso lo schema ad un mondo vivo, dove le conseguenze fisiche e morali abbiano un proprio respiro, una loro cadenza nello stesso tempo fantastica e immu– tabile: perchè i personaggi messi in quell'aria, se pure liberamente scelta dalla fantasia, seguono poi una loro ellisse che pare stare fuori dalla volontà dello scrittore in una quadratura che non è più pos– sibile forzare. Forse a noi mancherà proprio questa capacità di immaginare, ancor prima delle voci e dei gesti, il «fatto» entro cui saranno legati; forse nell'or– rore dei fatti che c'incombono, non troviamo il coraggio di evocarne uno, per raggrumarvi dentro questa sete. E pure, in questo libro che aspettiamo vorremmo uomini con le nostre voci e con i nostri gesti, uomini che vivono e che muoiono: dei personaggi. So che Saint-Beuve ripeteva che in un romanzo tre cose vanno soprattutto considerate : i caratteri, l'azione e lo stile. , Io vorrei osare di dire altrimenti: ci interessano i personaggi, le circostanze e i sentimenti. Non per teorizzare - (so quanto sia inutile) - ma perchè quella enumerazione mi sembra per lo meno

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