UOMO - Anno II - n. 4 - ottobre 1944

28 dia, trascinando i passi e i pensieri per fresche ombre di noci, tra il concerto frenetico che gli in– setti alzano da tutte le zolle. E sento che attorno a noi vibra come un'aria tesa, per cui le cose dobbia– mo porcele innanzi senza troppi raggiri 1 per non viziarci; perchè oggi dobbiamo forzare ogni in– canto e ogni mito in pagine, in opere e in parole definitive. Un problema, questo del romanzo che solo fino a un certo punto è di letteratura : così come lo sento esso ci investe come scrittori e come uomini; e non credo che possa risolversi in una nuova maniera di stile o di linguaggio perchè so che aspira a rompere e ad iniziare anche un modo di vita, so che pretende essenzialmente ad instaurare una civiltà letteraria, anzi a costruirne una suite rovine di quella che vediamo crollare. Qui voglio dunque cominciare col chiedermi se il romanzo non debba presupporre una co11di::io11c e devo rispondermi che anzi è necessaria: il ro– manzo non è l'opera di uno scrittore ma è assieme dell'autore e del suo tempo, il romanzo è sempre «corale» e credo che ogni generazione dovrebbe avere il suo romanzo. E va collocato - per inten– derci subito - su di un piano opposto a quello della poesia che è invece opera esclusiva di un individuo, germinata al di fuori di ogni impegno con il tempo e con gli uomini, perchè la poesia non vive gli anni ma può solo precederli. Ma noi ora sentiamo appunto l'angoscia e la nostalgia per un libro in cui si possa parlare insieme di noi stessi, sentiamo vivo il bisogno di rompere lo schema delle leggende per inserirvi la nostra vi– cenda, vogliamo leggere, per stupircene, il nostro racconto, inserirci tra le righe come personaggi, come interpreti della nostra pena.

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