UOMO - Anno II - n. 4 - ottobre 1944
18 che solo con una paziente conoscenza di se stessi si potrebbero raddrizzare. Resta, però, che si può concludere che, secondo il Rosmini, il bene non è affatto riducibile alla conoscenza, se per conoscenza s'intende la pura e semplice intuizione dell'essere o degli esseri; men– tre, se per conoscenza intendiamo il giudizio, dob– biamo riconoscere che conoscenza e moralità si interferiscono profondamente. Così che si può ben comprendere come siano nate anche molte confu– sioni tra conoscenza e moralità, quando non si sia tenuta ben distinta la conoscenza intuitiva dalla conoscenza giudicativa. Nel criticismo rosminiano, il bene e la verità si distinguono senza ignorarsi, e si richiamano senza con fondersi. Senza lume di verità non si può volere il bene (« per fare il be– ne, bisogna conoscerlo», diceva, alla buona, Ales– sandro :Manzoni); ma, nel medesimo tempo, ci vuole una purezza iniziale di intenzione, ci vuole, insomma, una volontà già fondamentalmente buo– na, per poter giudicare rettamente, e cioè secondo verità. Solo vedendo Dio, e cioè guardando a quanto c'è di divino negli uomini e nelle cose, pos– siamo serbare la purezza del nostro cuore; ma il Vangelo ci ammonisce che bisogna già essere puri di cuore per vedere Dio. La questione, poi, del rapporto fra moralità e realtà è, sotto certi aspetti, simile a quella del rap– porto fra conoscenza e moralità, ed anzi rimane implicitamente risolta in questa, almeno in quanto un giudizio cli conoscenza contiene necessariamen– te nel suo soggetto qualche cosa di reale o un aspetto del reale. Ma, se è vero che la realtà non può tutta ridursi a conoscenza, o (in termini ro– sminiani) se è vero che la forma reale dell'essere
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