UOMO - Anno II - n. 4 - ottobre 1944
narci, che il cnt1c1smo kantiano si è fermato alla distinzione. Ci si è fermato, perchè, con la solu– zione critica del problema della conoscenza, non si poteva uscirne. Più esattamente: dato che la conoscenza, per Kant, trova dei limiti nell'espe– rienza, giacchè le categorie sono valide solo in quanto vengono applicate all'esperienza, era neces– sario scegliere fra queste due vie: o legare anche l'etica all'esperienza, o scinderla radicalmente dalla conoscenza. E, siccome la prima decisione ripu– gna va alla sensibilità morale dell'austero pensatore di Kiinigsberg (sensibilità profondamente sana, giacchè la morale si distingue da ogni altra esi– genza pratica appunto per questo suo liberarsi dai limiti dell'esperienza), Kant si attenne alla seconda decisione, e cioè alla netta separazione della mo– rale dalla conoscenza. O se vogliamo considerare la cosa ancora più a fondo, possiamo osservare che, come la conoscenza, per Kant, è sempre giudizio, mentre il puro pensare, il semplice intuire l'essere in sè, non è considerato conoscenza, così la legge morale, che suppone appunto una tale intuizione dell'essere, giacchè senza di essa non si potrebbe distinguere la legge morale da qualsiasi altra legge pratica, e cioè l'imperativo categorico dall'impera– tivo ipotetico, la legge morale, dunque, non ha nulla a che fare con la conoscenza. Non è qui il caso di fare una digressione sulla kantiana critica del giudizio, che si propone appunto di colmare questa separazione fra ragion pura e ragion pratica; ma a noi pare che una tale separa– zione non si possa colmare finchè si considera come unica forma di conoscenza il giudizio: il giudizio, che trova sempre nella realtà sperimen– tale un suo limite ed una sua condizione neces– saria. Cosi sarebbe molto utile, ma non è affatto 13
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