UOMO - Anno II - n. 3 - giugno 1944
di nuovo». E questa curiosità del nuovo, que– sto desiderio di sapere per sapere, dipinge a me– raviglia l'intellettualismo attivo che preferirebbe forse la conoscenza di Dio alla salute eterna. I colti ateniesi accolsero Paolo di Tarso, il giudeo, con curiosità piuttosto che con simpatia e si disposero ad udirlo nell'areopago. Ma come giunse a parlar loro della resurrezione dei mor– ti, alcuni si ridevano di lui ed altri gli diceva– t10: « intorno a questo ti udremo un'altra volta» (vers. 32). Questo notevole passo, sia o non sia vero ciò che racconta, ci mostra a meraviglia a che met– ta capo la tolleranza dei colti ateniesi, degli in– tellettuali di tutte le epoche e di tutti i popoli. Non si può p,·oporre loro il problema dell'al di là della mol"/e in modo vivo e sentito, come la gente semplice se lo propone. Questa supersti– zione li inquieta e toglie loro il sonno. Ed esso è nondimeno, per tutti quanti noi, il vero mistero dell'universo, questo « arcano mi– rabile e spaventoso dell'esistenza universale, la quale, come diceva Leopardi nella chiusa del Cantico del gallo silvestre, si deleguerà e perde– rassi » prima che il mistero sia sciolto ed inte– so. L'a,·cano dell'esistenza universale ci si pre– senta sotto la forma della morte, e nella morte la cosa più terribile per noi è ch'essa c'impedisce di conoscere la finalità trascendente dell'uni– verso. Nella fede nell'immortalità dell'anima e nella risurrezione dei .morti, sta per molti la caratte-
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