UOMO - Anno II - n. 3 - giugno 1944

più di sapere se, posto un essere che non è pensiero, possa la ragione presentarcelo come essere, il che si direbbe conoscerlo. Non è possibile una estra– neità allo spirito. L'impostazione puramente gno– seologica del problema critico apre o allo scetti– cismo metafisico o al dialettismo contradditorio. Lo stesso Kant ebbe viva l'esigenza di superare questo scetticismo e. ritornando nei Prolegomeni al problema metafisico, tende ad una conciliazione del– l'antitesi. Il bisogno di continuo rinascente nell'uomo di un sapere metafisico non può accordarsi con l'impos– sibilità di un tale saf)ere. L'uomo non può rinun– ciare alla metafisica. Bisogna quindi ricercare le origini di una tale esigenza e vedere in qual modo ed entro quali limiti essa può condurre a risultati accettabili. La ragione non può avere solo una funzione regolativa del sapere fenomenico; essa esercita questo ufficio logico solo perchè è mossa da una tendenza unificatrice verso un principio supremo ed assoluto. In questo senso trascendentale noi dobbiamo considerarla. Essa è sotto questo aspetto una attività pura, formale, che tende a stringere tutta l'attività dell'intelletto in unità, a ridurla sot– to principii assoluti. Essa è la facoltà metafisica per eccellenza; poichè nell'atto stesso che dà unità sistematica al sapere empirico, lo abbraccia nel suo insieme, riconosce i limiti di tale sapere, e si af– ferma nella sua essenza come ricerca del!'Asso– luto. Qui trova la sua composizione il dissidio tra fenomeno e noumeno. Non v'è iato e frattura tra il sapere empirico e metempirico, ma solo passaggio di grado verso un più alto conoscere. E anche se Kant mantiene ferma la contrapposizione e il nou– meno appare ancora come puramente negativo, 33

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