UOMO - Anno II - n. 3 - giugno 1944

30 so, del conoscere, da Kant adombrata e dal 1farti– netti accentuata). E' solo per un residuo di concezione realistica del mondo che le intuizioni a priori rimandano a pre– supporre una realtà materiale in sè, con l'inevitabile conseguenza di un circolo vizioso, da Kant chiara– mente intravisto. E la confutazione non teme accusa d'illusionismo: il mondo sensibile ci è dato solo come rapporto e come tale è per la coscienza umana assoluta– mente reale. Questo non equivale a dire che il mondo si risolve in pura apparenza, nè l'afferma– zione dell'idealità del mondo lo depotenzia di realtà. Quando si pensano le cose sensibili come un « in sè » esterno al conoscere, allora si apre veramente tra le cose e noi un abisso insuperabile e la conoscenza fallisce (Hume). Sotto questo riguardo Kant è veramente il padre dell'idealismo moderno. E' nell'idealismo empirico (Berkeley) che la realtà è abbandonata all'arbitrio del soggetto, mentre nell'idealismo critico la realtà ha una obiettività propria per virtù dei principii formali a priori, dove non ha più luogo disputare se le rappresentazioni sono vere o false, reali o il– lusorie. Tuttavia, pur legittimando la conoscenza, la fenomenicità che da tale conoscere consegue, po– ne ancora la questione: quale è la realtà che vi è al di là dei nostri sensi ? Con vigilante senso critico Martinetti si ado– pera a correggere la controversa soluzione kan– tiana, riuscendo ad una interpretazione del nou– meno, l'esito della quale è fondamentale per inten– dere il passaggio dal problema strettamente gno– seologico a quello metafisico. Mentre Kant, nell'Analitica trascendentale, dal– l'ammissione che il conoscere è relativo a noi,

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