UOMO - Anno II - n. 3 - giugno 1944
va - posto che Dio si alimenti di coscienze umane - è un morire glorioso e consolante; ma so io forse che se muoio e muore del tutto la mia coscienza, rimanga un Dio? Dio m'appare come la coscienza infinita ed eterna dell'unive.-so, come la mia propria co– scienza proiettata nell'infinito e nell'eterno, e se credo ch'io stesso e tutti i miei fratelli e le nostre opere tutte debbono un giorno perdersi, mi chie– do: e perchè furono create? perchè esistiamo? e se noi stessi non abbiamo finalità nell'univer– so, l'unive,·so stesso non ha finalità alcuna; e se non l'ha non v'è dunque un Dio. Nana il libro dell'Esodo (cap. XXX!ll, 20) che Dio stesso disse a Mosè che chi lo vede in viso, subito muore. Sì, chi vede Dio muore; ma che c'importa morire e morire interamente per aver visto Dio, se l'aver visto Dio faccia a faccia, l'aver sentita la sua presenza, vuol dire essere entrati in Dio, essere diventati Dio medesimo? Vedere Dio in viso significa ben altra cosa che conoscere l'esi– stenza di Dio, poichè questa, la conoscenza del– /' esistenza di Dio, è solo la conoscenza di una idea. E c'è tutto un mondo fra l'idea di Dio e Dio medesimo. La metafisica ci può condut-re all'idea di Dio, ma allo stesso Dio solamente la fede ci porta, e la fede, cioè la sostanza delle cose sperate, è in fondo la disperazione di dover morire. E questa disperazione che ha condotto molti ad affermare con Leopardi l'infinita vanità del Il
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