UOMO - Anno II - n. 3 - giugno 1944

494 e 495). E se dai cmt,ani primitivi pas– riamo all'ultimo dei grandi cristiani, a Kant, ditemi, il passaggio della critica della mgion pum alla critica della mgion pratica riconosce forse altro intimo motivo, altro motivo cordiale, motivo di vita, oltre questo di far salda la spe– ranza in una immortalità dell'anima? A rigore, per spiegarsi razionalmente l' 1miver– <0, Kant come Laplace non aveva per nulla bi– sogno d'un Dio, e se vi ricorre è perchè esso gli è necessario per spiegarsi la propria finalità, e cioè il nostro anelito di finalità, questo insa– ziabile a che? una delle categorie eminentemen– te soggettive. E non serve dire col Carducci: « meglio oprando obliar senza indagarlo questo enorme mister dell'universo!» poichè, più lavoriamo, se lavoriamo come uo– mini e non come bestie, più ci tormenta il mi– stero dell'universo, l'arcano meraviglio·so e spa– ventoso dello scopo dello stesso lavoro e della vita. A che? Tale è l'origine dell'intima disperazione che strugge il cuore di tutti gli uomini che degna– mente ed onoratamente siano tali. Lo stesso Car– ducci, colui che ci consiglia di scordare l'enorme mistero, diceva: « Sì, !a vita ha senso• per chi lavora... E si lavora per ingannarla... perchè la vita è una triste cosa... che non riesco a capire ». E così è; non possiamo comprendere la vita se non la guardiamo alla luce della finalità trascen-

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